Arthur Clarke - La città e le stelle

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Diaspar, un’immensa metropoli del futuro. Una superciviltà arrivata all’ultimo stadio dello sviluppo. Un pianeta deserto, ostile, «proibito»: è in questo scenario che si muove Alvin, il giovane eroe di questo romanzo che resta fra i più celebri di Clarke. La domanda che lo ossessiona é: come riscoprire l’antico segreto della razza umana? Come uscire dal labirinto sotto vetro e tornare al volo spaziale?

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Poi ci fu uno strappo silenzioso, violento, che confuse un poco l’immagine, e la Terra sparì quasi che fosse stata spazzata via da una mano gigantesca. Erano soli nello spazio. Soli con le stelle. La Terra era scomparsa, come se non fosse mai esistita.

Poi un nuovo strappo, seguito da un leggero ronzio. I reattori avevano cominciato a esercitare parte della loro potenza. Per qualche istante parve che non fosse accaduto niente di nuovo, poi Alvin si accorse che le stelle sfilavano lentamente accanto allo scafo. Guardò indietro per un attimo, e non vide niente. Tutto il cielo che si erano lasciati alle spalle era scomparso, cancellato da un emisfero di notte. Nei brevi istanti in cui rimase a guardare indietro vide alcune stelle sparire, come scintille cadute sull’acqua.

La nave spaziale stava viaggiando molto più veloce della luce, e aveva già lasciato l’orbita terrestre.

Quando il misterioso strappo avvenne improvvisamente per la terza volta, Alvin ebbe l’impressione che il cuore gli si stesse fermando, e gli si annebbiò la vista. Per un attimo tutti gli oggetti che lo circondavano si distorsero fino a diventare irriconoscibili. E in quello stesso istante, per una ispirazione che non avrebbe saputo spiegare, comprese il significato di quelle distorsioni. Quella era la realtà non un effetto ottico. Stava osservando, nell’attimo in cui passava attraverso il sottile schermo de! presente, i cambiamenti che avvenivano nello spazio circostante.

Subito il ronzio dei generatori si trasformò in un rombo che faceva vibrare la nave, un suono doppiamente impressionante poiché per la prima volta Alvin ascoltava il grido di protesta di una macchina. Poi tutto finì e un silenzio improvviso parve fasciargli le tempie. I grandi generatori avevano fatto il loro sforzo; ora non occorrevano più fino alla fine del viaggio.

Le stelle brillavano di un bianco-azzurro incandescente, fino a svanire nell’ultravioletto. Eppure, per chissà quale magia della scienza o della Natura, i Sette Soli erano ancora visibili, anche se adesso i loro colori e le loro posizioni erano impercettibilmente mutati. La nave correva verso di loro in un tunnel buio, oltre i limiti dello spazio e del tempo, a una velocità tanto enorme che la mente non sapeva concepirla.

Pareva impossibile credere che la nave fosse stata lanciata fuori dal Sistema solare a una velocità che, non controllata, avrebbe potuto portarli attraverso il cuore della galassia fino all’immenso vuoto esterno. Né Alvin né Hilvar si rendevano veramente conto dell’immensità del loro viaggio. Le grandi spedizioni esplorative avevano completamente cambiato nell’Uomo il concetto d’Universo, e anche in quel momento, dopo milioni di secoli, il modo di pensare era lo stesso. C’era stata un’astronave, così diceva una leggenda, che era riuscita a circumnavigare il Cosmo nello spazio di una giornata. I miliardi di chilometri tra una stella e l’altra non rappresentavano nulla davanti a una simile velocità. Per Alvin quel viaggio era poco più emozionante, e forse meno pericoloso, della prima gita verso Lys.

Fu Hilvar a esprimere il pensiero comune mentre i Sette Soli si facevano sempre più luminosi.

«Alvin, quella costellazione non può essere naturale.»

L’altro annuì. «L’ho pensato per anni, ma non riesco a convincermene.»

«Forse il sistema non è stato costruito dall’Uomo, ma deve averlo creato un’intelligenza. La Natura non sarebbe mai riuscita a formare quel circolo perfetto di stelle, tutte dello stesso splendore, che non assomigliano a nessun’altra formazione dell’Universo visibile.»

«Perché mai sarebbero state fatte?»

«Oh, si possono fare molte ipotesi. Forse è un segnale, così se qualche nave straniera entra nel nostro Universo sa dove dirigersi. Forse indica il centro dell’amministrazione galattica. O forse ancora, e sento di essere vicino alla verità, è semplicemente la più grande opera d’arte che sia mai stata compiuta. Ma è sciocco spremersi il cervello, ora. Tra poche ore sapremo la verità.»

Sapremo la verità. «Può darsi», pensava Alvin… Ma fino a che punto?

Era strano che proprio ora, mentre stava lasciando Diaspar e la Terra stessa a una velocità che trascendeva qualsiasi comprensione, il suo pensiero tornasse di nuovo al mistero delle sue origini. Poteva, forse, anche non essere sorprendente. Dal giorno in cui era arrivato a Lys aveva imparato parecchie cose, ma non aveva mai avuto un attimo di tempo per poter riflettere tranquillamente.

Ora non aveva da far altro che stare seduto e aspettare. Il suo immediato futuro era controllato da una stupenda macchina, certamente la più perfetta conquista tecnica di tutti i tempi, che lo stava portando verso il centro dell’Universo. Era adesso che poteva pensare e riflettere. Ma prima avrebbe dovuto raccontare a Hilvar ciò che era accaduto da quando si erano lasciati, solo due giorni prima.

Hilvar ascoltò senza far commenti e senza chiedere spiegazioni. Parve capire subito tutto ciò che Alvin gli descriveva, e non si dimostrò meravigliato quando venne a sapere del colloquio con il Computer Centrale e di ciò che era stato fatto per sbloccare il cervello del robot. Non che fosse incapace di esprimere meraviglia, ma la storia del passato era piena di fatti incredibili e certamente più singolari di quelli capitati ad Alvin.

«È evidente» disse, quando Alvin ebbe terminato il resoconto «che il Computer Centrale ha ricevuto istruzioni speciali a tuo riguardo, quando è stato costruito. A quest’ora dovresti sospettarne la ragione.»

«In parte; Khedron mi ha suggerito un’ipotesi spiegandomi quali misure avessero preso i costruttori di Diaspar per prevenire la staticità e il decadimento.»

«Tu pensi, come gli Unici che sono comparsi prima di te, di essere una parte del meccanismo sociale che impedisce la completa fossilizzazione?

Così, mentre i Buffoni sarebbero fattori correttivi a breve termine, voi sareste quelli cui è affidato il lungo termine?»

Hilvar espresse il concetto molto meglio di quanto non lo avrebbe saputo fare Alvin stesso. Tuttavia non era esattamente quello che lui aveva in mente. «Io credo che la vera ragione sia ancora più complessa» disse. «Si direbbe che, quando fu fondata Diaspar, esistesse un conflitto di opinioni tra quelli che volevano isolarla completamente dal mondo e coloro che volevano mantenere qualche contatto. Prevalse la prima fazione, ma gli altri non si lasciarono abbattere. Uno dei loro capi doveva essere Yarlan Zey, ma certo non era abbastanza potente per imporsi. Fece quel che poté: salvò la sotterranea per Lys e si assicurò che, a lunghi intervalli, uscisse dalla Sala della Creazione qualcuno che non conoscesse i timori dei concittadini. Infatti, vorrei sapere…» Alvin tacque all’improvviso e fissò lo sguardo nel vuoto.

«A cosa stai pensando?»

«Mi è venuta in mente una cosa… Sì, forse io sono Yarlan Zey. È possibilissimo. Può darsi che lui abbia conservato nelle Banche Memoria la sua personalità, nella speranza di riuscire a scuotere Diaspar prima o poi. Devo scoprire cosa è accaduto agli altri Unici…»

«E Yarlan Zey, o chi per lui, ha istruito anche il Computer Centrale perché desse particolare assistenza a questi Unici» completò Hilvar, seguendo il filo del ragionamento.

«Esatto. L’ironia è che avrei potuto ottenere tutte le informazioni dal Computer Centrale stesso, senza dovermi servire del povero Khedron. Mi avrebbe detto molto più di quanto avesse mai detto a lui. Comunque devo ammettere che Khedron mi ha fatto risparmiare parecchio tempo, e mi ha insegnato cose che da solo non sarei mai riuscito a scoprire.»

«A me sembra che la tua teoria spieghi tutti i fattori conosciuti» disse Hilvar. «Resta però sempre il problema principale, lo scopo fondamentale di Diaspar, cioè. Perché il tuo popolo cercava di far finta che il resto del mondo non esistesse? Questa è la domanda alla quale vorrei rispondere.»

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