Arthur Clarke - La città e le stelle

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Diaspar, un’immensa metropoli del futuro. Una superciviltà arrivata all’ultimo stadio dello sviluppo. Un pianeta deserto, ostile, «proibito»: è in questo scenario che si muove Alvin, il giovane eroe di questo romanzo che resta fra i più celebri di Clarke. La domanda che lo ossessiona é: come riscoprire l’antico segreto della razza umana? Come uscire dal labirinto sotto vetro e tornare al volo spaziale?

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Adesso Alvin poteva parlare al robot come a un altro essere umano, solo che, non essendo soli, comunicavano tra loro inviandosi immagini mentali.

Quante volte, prima si era seccato che i robot potessero parlare tra loro telepaticamente. La telepatia era una forza che Diaspar aveva perso da molto tempo, o che aveva eliminato di proposito.

Mentre aspettavano di fronte alla Sala dei Consiglio, Alvin continuò la sua silenziosa conversazione con il robot. Era impossibile non paragonare la presente situazione a quella che si era svolta a Lys, quando Seranis e gli altri avevano tentato di piegarlo alla loro volontà. Sperò che conflitti del genere non dovessero ripetersi, ma se fosse sorto qualche contrasto, lui ora si sentiva molto meglio preparato.

Gli bastò un’occhiata al volto dei Consiglieri per capire quale decisione avessero preso. Non ne fu sorpreso e nemmeno particolarmente dispiaciuto; ascoltò l’annuncio del Presidente senza mostrare emozione.

«Alvin» esordì il Presidente «abbiamo considerato a fondo la situazione che si è venuta a creare in seguito alla tua scoperta, e abbiamo preso una decisione unanime. Poiché nessuno desidera che si producano cambiamenti, e poiché nessun altro si sentirebbe di lasciare Diaspar pur conoscendone il mezzo, la sotterranea per Lys è inutile, o meglio, potrebbe essere un pericolo. L’entrata alla Camera delle Vie Mobili è stata quindi sigillata.

«Inoltre, abbiamo già iniziato le ricerche per scoprire eventuali altre uscite. Abbiamo poi considerato attentamente il tuo caso. Vista la giovane età e le circostanze peculiari delle tue origini, non puoi essere condannato per ciò che hai fatto. Anzi, poiché hai denunciato un pericolo potenziale per la nostra vita, hai reso un servizio alla città e ti diamo atto della nostra gratitudine.»

I Consiglieri, soddisfattissimi, accennarono un applauso. Una difficile situazione era stata risolta rapidamente, e la necessità di muovere un rimprovero ad Alvin era stata evitata. Se ne sarebbero andati con la convinzione di aver compiuto il loro dovere di capi della città. Forse sarebbero passati secoli prima che si dovesse svolgere una nuova riunione come quella. Il Presidente guardò Alvin in ansiosa attesa; forse sperava che Alvin rispondesse per esprimere la sua gratitudine al Consiglio. Restò deluso.

«Posso fare una domanda?» disse Alvin in tono cortese.

«Certo.»

«Il Computer Centrale ha approvato la vostra decisione?»

Una domanda del genere, fatta da un altro, sarebbe stata considerata molto irriverente. Il Consiglio non era tenuto a giustificare le sue decisioni, né a render conto di come le aveva prese. Ma Alvin era nelle buone grazie dei Computer Centrale, e veniva così a trovarsi in una posizione privilegiata.

La sua domanda causò un certo imbarazzo e la risposta fu piuttosto evasiva. «Naturalmente abbiamo consultato il Computer Centrale. Ci ha detto che si fida del nostro giudizio.»

Ecco, proprio come immaginava. Il Computer Centrale, nello stesso tempo, aveva parlato con lui e aveva discusso col Consiglio, senza contare le migliaia di altre cose di cui certo si era occupato. Sapeva, come lo sapeva lui, che la decisione del Consiglio non aveva alcuna importanza. Il futuro era sfuggito dalle mani dei Consiglieri proprio nell’attimo in cui, con troppa facilità, avevano creduto risolto l’incidente.

Alvin non provò alcun senso di superiorità mentre si congedava da quei vecchioni ingenui che si credevano i signori di Diaspar. L’incontro col vero reggitore della città aveva dissipato l’arroganza dal suo animo. Si chiese solo quale impressione avesse fatto sui Consiglieri la tranquilla indifferenza con cui aveva accolto il loro verdetto. I censori non lo accompagnarono; non era più sotto controllo, almeno non in maniera palese.

Solo Jeserac lo seguì fuori della Sala del Consiglio e per le strade affollate.

«Be’, Alvin» disse. «Ti sei comportato molto bene, ma a me non la dai a bere. Cosa stai macchinando?»

Alvin sorrise.

«Sapevo che avreste finito per sospettare qualcosa. Se volete venire con me vi mostrerò perché la sotterranea di Lys non ha più alcuna importanza.

Poi voglio tentare un altro esperimento; forse non vi piacerà, comunque non è pericoloso.»

«Benissimo. Il tutore sarei io, ma pare che le parti si siano invertite. Dove vuoi portarmi?»

«Alla Torre di Loranne. Vi mostrerò il mondo esterno.»

Jeserac impallidì, ma non batté ciglio. Poi, con un breve cenno di assenso, seguì l’allievo verso la strada mobile.

Il tutore si avviò coraggiosamente lungo il tunnel nel quale il vento soffiava incessantemente. In fondo al tunnel qualcosa era cambiato: la griglia di pietra che aveva bloccato l’accesso al mondo esterno era caduta. Il Computer Centrale l’aveva rimossa senza commenti, su richiesta di Alvin.

In seguito avrebbe istruito i Monitor di ricollocare la griglia. Ma per il momento il tunnel si apriva senza barriere sul muro esterno della città.

Jeserac era quasi arrivato al termine del corridoio quando si rese veramente conto di quello cui andava incontro. Fissò il cielo che si inquadrava nell’apertura, e i suoi passi si fecero più incerti. A un tratto si fermò. Alvin ricordò che in quello stesso punto Alystra aveva girato le spalle per fuggire, e si domandò se sarebbe riuscito a convincere Jeserac ad avanzare.

«Vi chiedo solo di guardare » disse «non di lasciare la città. Fatevi coraggio, via!»

A Lys, durante il suo breve soggiorno, aveva visto una madre che insegnava al figlio a camminare. Mentre esortava Jeserac ad avanzare lungo il corridoio, ricordò quel fatto. Jeserac, a differenza di Khedron, non era un codardo. Era ben deciso a superare l’istinto che gli suggeriva di tornare indietro, ma la lotta fu terribile. Alvin era quasi più esausto del tutore quando finalmente riuscì a trascinarlo in un punto dal quale si vedeva la piana ondulata del deserto.

Poi l’interesse e la strana bellezza della scena, così nuova per Jeserac, ebbero ragione di tutte le paure. Il vecchio fissò affascinato l’immensa distesa di dune e le colline distanti. Era chiaramente affascinato dalla visione delle dune di sabbia e delle alture che si ergevano sullo sfondo Era pomeriggio inoltrato e tra poco la notte, del tutto sconosciuta a Diaspar, avrebbe ingoiato la landa.

«Vi ho chiesto di venire qui perché so che avete più diritto di chiunque altro di vedere dove i miei viaggi mi hanno condotto. Volevo mostrarvi il deserto e vi volevo come testimone; così potrete riferire ogni cosa al Consiglio. Come ho detto ai Consiglieri, ho portato questo robot da Lys nella speranza che il Computer Centrale potesse togliere il blocco impostogli dall’uomo conosciuto come il Maestro. Il Computer vi è riuscito, e non so ancora spiegarmi bene con quale espediente. Ora ho accesso a tutte le memorie di questa macchina e posso usarne tutti i dispositivi. Osservate.»

Alvin parlò mentalmente al robot, che si lanciò fuori dell’apertura, acquistò velocità e in pochi istanti non fu che un lontano scintillio sotto il sole. Volava basso sul deserto, sfiorando le dune che s’incrociavano come onde cristallizzate. Jeserac avrebbe giurato che stesse cercando qualcosa, ma non riusciva a immaginare cosa.

Tutt’a un tratto il luccichio si arrestò a circa cinquecento metri dal suolo.

Alvin in quel medesimo istante diede un sospiro di soddisfazione e di sollievo. Gettò un’occhiata rapida a Jeserac, come per dirgli: «Ci siamo!». In un primo momento, non sapendo cosa si doveva aspettare, Jeserac non riuscì a notare nessun cambiamento. Poi, quasi stentando a credere ai suoi occhi, vide una nuvola di polvere che si sollevava lentamente dal deserto.

È impressionante veder muoversi qualcosa che dovrebbe essere immobile per l’eternità, ma Jeserac ormai non si meravigliava più di niente. Sotto le sabbie qualcosa stava agitandosi, come un gigante che si desti da un lungo sonno, e poco dopo giunse un rumore di terra smossa seguito da un potente getto di sabbia che si alzò fino a una trentina di metri dal suolo.

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