Robert Silverberg - Ali della notte

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Ali della notte: краткое содержание, описание и аннотация

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In una Terra del lontano futuro una spaventosa catastrofe ecologica ha provocato lo sprofondamento delle Americhe e la decadenza della potenza terrestre nello spazio. La società del Terzo Ciclo si è strutturata in corporazioni feudali ed attende l’arrivo degli invasori, gli alieni che hanno salvato l’umanità dall’estinzione e che verranno a reclamare il possesso del pianeta.
Quando l’invasione arriva le misere forze della Terra vengono sconfitte, e gli invasori occupano con facilità quello che considerano un loro dominio.
L’affascinante vicenda si svolge in tre città, Roum (Roma), Perris (Parigi) e Jorslem (Gerusalemme), seguendo le avventure e gli incontri di Tomis, una Vedetta il cui lavoro, proiettare la mente negli spazi per avvertire dell’arrivo degli invasori, diventerà senza senso dopo l’invasione.
La rottura dell’equilibrio della società feudale porterà gli uomini a stabilire nuovi rapporti umani e ad incrementare i loro poteri mentali, sino ad arrivare a dominare gli invasori, che non verranno combattuti con le armi ma con l’amore e la fratellanza, contribuendo a formare una società di impensabile ricchezza.
Un romanzo leggibile su più livelli e pieno di idee, un premio Hugo più che meritato.

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Al culmine della trance non riuscivo a vedere nulla, non potevo riconoscere l’ambiente in cui mi muovevo. Sapevo solo che quando la pietra s’impossessava del mio corpo ero sommerso da qualcosa di enormemente più grande di me, entravo in diretto contatto con la matrice dell’universo.

Diciamo che ero in comunione con la Volontà.

Da immense distanze udii Olmayne chiedere: — Voi credete a ciò che dice certa gente di queste pietre? Che non c’è una vera comunione, che è tutto un inganno basato sull’elettricità?

— Non ho teorie in proposito — dissi. — Le cause mi interessano meno degli effetti.

Gli scettici sostengono che le pietre di stella sono semplici strumenti d’amplificazione che fanno rimbalzare le onde cerebrali nella stessa mente che le produce: la sterminata, oceanica entità con cui si giunge in contatto, asseriscono questi miscredenti, non è altro che la poderosa risonanza ciclica di un unico impulso elettrico all’interno del cranio del Pellegrino. Forse. Forse.

20

Conoscevo bene l’Afrik. In gioventù avevo sostato per molti anni nel cuore tenebroso di questo continente. Alla fine ero ripartito, inquieto come sempre, seguendo la strada del nord fino in Agupt, dove le antiche reliquie del Primo Ciclo sono sopravvissute molto meglio che altrove. In quei giorni, però, l’antichità non aveva ai miei occhi alcun interesse. Vigilavo, e vagavo di luogo in luogo, perché una Vedetta non ha bisogno di una sede fissa; e il caso mi aveva fatto incontrare Avluela proprio quando ero pronto a fuggire di nuovo, e così avevo lasciato Agupt per Roum e in seguito Perris.

Adesso ero tornato con Olmayne. Ci tenemmo vicini alla costa, evitando le distese sabbiose dell’interno. Nella nostra qualità di Pellegrini, eravamo immuni da quasi tutti i pericoli del viaggio: non saremmo mai morti di fame, avremmo sempre trovato un rifugio anche dove non c’erano ostelli della nostra Corporazione, e tutti ci trattavano col massimo rispetto. La grande bellezza di Olmayne l’avrebbe esposta a non pochi pericoli, visto che viaggiava con, come unica scorta, un vecchio cadente, ma dietro la maschera e il saio di Pellegrino era al sicuro. Solo di rado ci toglievamo le maschere, e in luoghi dove nessuno ci potesse vedere.

Non m’illudevo certo di essere importante per Olmayne. Per lei ero una parte come un’altra dell’equipaggiamento del viaggio: qualcuno che l’aiutava durante la comunione e i rituali, che procurava l’alloggio, che le apriva la strada. Quel ruolo mi stava a pennello. Olmayne era, lo sapevo, una donna pericolosa, soggetta a strani desideri e imprevedibili capricci. Non desideravo legami troppo forti con lei.

E certo non aveva la purezza del Pellegrino. Anche se aveva superato la prova della pietra di stella, non era riuscita a trionfare sulla carne, com’è dovere di ogni Pellegrino. Si allontanava, talvolta, per metà della notte o più, e io l’immaginavo ansare tra le braccia di un Servitore in qualche luogo oscuro, dopo essersi tolta la maschera. Del resto erano affari suoi; non le facevo mai cenno di queste assenze, quando tornava.

Nemmeno nei nostri ostelli si preoccupava della sua virtù.

Non dividemmo mai una stanza, perché nessun ostello l’avrebbe permesso, ma le prendevamo sempre comunicanti, e lei mi chiamava nella sua o entrava nella mia ogni volta che ne provava il desiderio. Molto spesso era nuda; raggiunse il culmine del grottesco una notte in Agupt, quando la trovai che indossava solo la maschera, e lo splendore della sua pelle bianca smentiva lo scopo della griglia di bronzo che le nascondeva il viso. Solo una volta parve venir sfiorata dall’idea che forse potevo essere ancora abbastanza giovane da provare desiderio. Fissò il mio corpo consunto, rinsecchito, e disse: — Che aspetto avrete, mi chiedo, quando a Jorslem vi avranno rinnovato? Sto cercando di immaginarvi giovane, Tomis. Mi darete piacere, allora?

— A mio tempo ho dato piacere — le risposi ambiguamente.

A Olmayne non piaceva il caldo secco di Agupt. Quasi sempre viaggiavamo di notte, e passavamo il giorno negli ostelli. Le strade erano affollate a tutte le ore. La spinta dei Pellegrini verso Jorslem era straordinariamente forte, a quel che pareva. Io e Olmayne ci chiedevamo quanto tempo sarebbe occorso prima che potessimo entrare nelle acque del rinnovamento, in una situazione del genere.

— Non siete mai stato rinnovato? — mi chiese.

— Mai.

— Io neppure. Si dice che non accettino tutti quelli che si presentano.

— Il rinnovamento è un dono, non un diritto — dissi. — Molti sono i respinti.

— So anche — proseguì Olmayne — che non tutti coloro che entrano nelle acque ottengono un felice rinnovamento.

— Non ne so molto.

— Certi diventano vecchi anziché giovani. Certi diventano giovani troppo in fretta, e muoiono. Ci sono dei rischi.

— Voi non li accettereste?

Lei rise. — Solo un pazzo esiterebbe.

— Voi non avete bisogno di rinnovamento, adesso — le feci notare. — Siete stata inviata a Jorslem per il bene dell’anima, non per quello del corpo, se non mi sbaglio.

— Mi occuperò anche dell’anima, quando sarò a Jorslem.

— Ma parlate come se aveste intenzione di visitare solo la casa del rinnovamento.

— Certo, è l’obiettivo più importante — disse lei. Si alzò, flettendo voluttuosamente il corpo snello. — È vero, devo espiare i miei peccati. Ma credete che voglia fare tutta questa strada solo per la salvezza dello spirito?

— Io non desidero altro — le feci notare.

Voi! Voi siete vecchio e sfiorito! Fate bene a preoccuparvi dello spirito, e magari anche del corpo. Però non mi dispiacerebbe ringiovanire un po’. Non mi farei togliere molto. Otto, dieci anni, tutto qui. Gli anni che ho perso con quello sciocco di Elegro. Non ho bisogno di un rinnovamento integrale. Avete ragione: sono ancora nel fiore. — Il suo viso s’oscurò. — Se la città è piena di Pellegrini, forse non mi lasceranno entrare nella casa del rinnovamento! Diranno che sono troppo giovane, che devo tornare fra quaranta o cinquant’anni. Tomis, credete che potrebbero farlo?

— Non saprei darvi una risposta.

Tremò. — Certo lasceranno entrare voi. Siete un cadavere ambulante, saranno costretti ad accettarvi! Ma io… Tomis, non permetterò che mi respingano! Dovessi distruggere Jorslem pietra per pietra, giuro che in un modo o nell’altro ce la farò!

Privatamente mi chiesi se la sua anima era nelle condizioni più adatte per un candidato al rinnovamento. Quando uno diventa Pellegrino, gli si raccomanda l’umiltà. Ma non desideravo sperimentare la furia di Olmayne, e rimasi in silenzio. Forse l’avrebbero ammessa al rinnovamento anche con tutti i suoi difetti. Da parte mia, avevo altri scopi. Olmayne era guidata dalla vanità; le mie idee erano diverse. Avevo molto vagato e fatto un numero enorme di cose, non tutte degne d’approvazione; nella città santa avevo bisogno di purificare l’anima più che di alleggerire il peso degli anni, forse.

O era solo per vanità che pensavo così?

Molti giorni più tardi, a est di quel luogo, mentre io e Olmayne traversavamo una campagna riarsa, ci giunse incontro un gruppo di bambini che urlava di paura e d’eccitazione.

— Per favore, venite, venite! — gridavano. — Pellegrini, venite!

Olmayne parve stupita e irritata quando si attaccarono al suo saio. — Cosa stanno dicendo, Tomis? Non capisco niente, con quel loro maledetto accento agupto!

— Vogliono che li aiutiamo — dissi. Ascoltai le loro invocazioni.

— Nel loro villaggio — spiegai a Olmayne — è scoppiata un’epidemia di mal cristallino. Vogliono che portiamo la benedizione della Volontà a chi soffre.

Olmayne si trasse indietro. Immaginai la smorfia d’orrore dietro la maschera. Agitò in avanti le mani, cercando d’impedire ai bambini di toccarla. Poi mi disse: — Non possiamo andarci!

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