Robert Silverberg - Ali della notte

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Ali della notte: краткое содержание, описание и аннотация

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In una Terra del lontano futuro una spaventosa catastrofe ecologica ha provocato lo sprofondamento delle Americhe e la decadenza della potenza terrestre nello spazio. La società del Terzo Ciclo si è strutturata in corporazioni feudali ed attende l’arrivo degli invasori, gli alieni che hanno salvato l’umanità dall’estinzione e che verranno a reclamare il possesso del pianeta.
Quando l’invasione arriva le misere forze della Terra vengono sconfitte, e gli invasori occupano con facilità quello che considerano un loro dominio.
L’affascinante vicenda si svolge in tre città, Roum (Roma), Perris (Parigi) e Jorslem (Gerusalemme), seguendo le avventure e gli incontri di Tomis, una Vedetta il cui lavoro, proiettare la mente negli spazi per avvertire dell’arrivo degli invasori, diventerà senza senso dopo l’invasione.
La rottura dell’equilibrio della società feudale porterà gli uomini a stabilire nuovi rapporti umani e ad incrementare i loro poteri mentali, sino ad arrivare a dominare gli invasori, che non verranno combattuti con le armi ma con l’amore e la fratellanza, contribuendo a formare una società di impensabile ricchezza.
Un romanzo leggibile su più livelli e pieno di idee, un premio Hugo più che meritato.

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— È una contraddizione — intervenne Olmayne. — La Volontà domina ogni cosa, e voi dite che la prospettiva dei Comunicatori è limitata…

— Esistono altri temi poetici al di fuori dell’immersione nella Volontà, amici miei. L’amore di una persona per un’altra, la gioia di difendere la propria casa, la meraviglia di scoprirsi nudi sotto le stelle ardenti… — L’invasore rise. — Non può darsi che la Terra sia caduta perché gli unici poeti che aveva cantavano l’obbedienza al destino?

— La Terra è caduta — disse il Chirurgo — perché la Volontà ci ha chiesto di espiare i peccati commessi dai nostri antenati, che trattarono i vostri progenitori come bestie. La qualità della nostra poesia non c’entra affatto.

— La Volontà ha decretato che voi cadeste sotto di noi per punirvi, eh? Ma se la Volontà è onnipotente, deve anche aver decretato l’errore dei vostri antenati che ha reso necessaria la punizione. Eh? La Volontà si diverte a giocare con se stessa? Non vedete com’è difficile credere in una forza divina che stabilisca tutto? Dove va a finire il libero arbitrio, che solo può dare un significato alla sofferenza? Costringervi a peccare, e poi chiedervi di subire una sconfitta per purificarvi, mi sembra un divertimento vuoto. Perdonate se sono blasfemo.

Il Chirurgo disse: — Voi non avete compreso. Tutto ciò che accade su questo pianeta fa parte di un processo di rafforzamento morale. La Volontà non forgia ogni evento, indiscriminatamente, piccolo o grande che sia: ci fornisce il materiale grezzo per il verificarsi dell’evento, e poi ci permette di seguire la strada che ci pare più giusta.

— Per esempio?

— La Volontà ha dotato i terrestri di abilità e intelligenza. Durante il Primo Ciclo ci siamo staccati in poco tempo dallo stato di selvaggi; nel Secondo Ciclo abbiamo raggiunto la grandezza. Nel nostro momento di grandezza ci siamo gonfiati d’orgoglio, e abbiamo deciso di andare oltre i nostri limiti. Abbiamo imprigionato creature intelligenti di altri mondi col pretesto di “studiarle”, quando in realtà l’unica cosa che ci spingeva era un arrogante desiderio di divertimento; e abbiamo giocato col clima del nostro pianeta finché gli oceani si sono uniti e i continenti sono affondati e la nostra antica civiltà è andata distrutta. Così la Volontà ci ha insegnato i confini delle ambizioni umane.

— Questa cupa filosofia mi piace ancor meno — disse Rivendicatore Diciannove. — Io…

— Lasciatemi finire — disse il Chirurgo. — Il crollo della Terra del Secondo Ciclo è stata la nostra punizione. La sconfitta che voi, abitanti di un altro pianeta, avete inflitto alla Terra del Terzo Ciclo è la seconda parte di quella punizione, ma è anche l’inizio di una nuova fase. Voi siete gli strumenti della nostra redenzione. Infliggendoci l’estrema umiliazione della conquista, ci avete portati al fondo della nostra vergogna; ora rinnoviamo le nostre anime, ora cominciamo a risalire, provati dalle avversità.

Fissai, improvvisamente stupito, questo Chirurgo che riusciva a dar forma a talune idee che avevano continuato ad agitarsi nella mia mente fin dall’inizio del viaggio verso Jorslem: idee di redenzione personale e insieme planetaria. Prima di quelle parole, avevo degnato di ben poca attenzione il Chirurgo.

— Permettetemi un’affermazione — intervenne d’improvviso Bernalt. Le sue prime parole in tante ore.

Lo fissammo. Le strisce di pigmento, sul suo viso, erano scarlatte: segno di grande emozione.

Disse, accennando col capo al Chirurgo: — Amico mio, voi parlate di redenzione per i terrestri. Volete dire tutti i terrestri, o solo quelli che hanno una Corporazione?

— Tutti i terrestri, naturalmente — rispose tranquillo il Chirurgo. — Non abbiamo subito tutti la conquista?

— Però non siamo uguali per altre cose. Può esserci redenzione per un pianeta che costringe milioni dei suoi abitanti a restare al di fuori delle Corporazioni? Parlo della mia gente, è ovvio. Molto tempo addietro abbiamo sbagliato, quando abbiamo pensato di poterci così vendicare di coloro che ci avevano creato con forme di mostri. Abbiamo cercato di strapparvi Jorslem; e per questo siamo stati puniti, e la nostra punizione è durata un migliaio d’anni. E siamo ancora esclusi, no? Voi che avete una Corporazione, potete davvero considerarvi virtuosi e purificati da tutto ciò che avete sofferto, visto che infierite ancora su di noi?

Il Chirurgo parve stupito. — Le vostre parole sono sbagliate, Bernalt. Lo so che i Diversi sopportano un grave peso. Ma voi sapete al pari di me che il tempo della vostra liberazione è imminente. Nei giorni che verranno, nessun terrestre si vergognerà di voi, e sarete al nostro fianco quando riavremo la libertà.

Bernalt fissò il pavimento. — Perdonatemi, amico mio. Naturalmente, naturalmente; state dicendo la verità. Mi sono lasciato trasporare. Il caldo, questo vino meraviglioso… quante sciocchezze ho detto!

Rivendicatore Diciannove chiese: — Volete dirmi che si sta formando un movimento di resistenza allo scopo di estrometterci dal pianeta?

— Parlavo solo per astrazioni — rispose il Chirurgo.

— E credo anch’io che il vostro movimento di resistenza resterà un’astrazione — notò tranquillamente l’invasore. — Perdonatemi, ma vedo ben poca forza in un pianeta che si lascia conquistare nel giro d’una sola notte. Noi pensiamo che l’occupazione della Terra durerà a lungo, e che non incontrerà opposizione. Nei mesi finora trascorsi non c’è stato segno di un aumento d’ostilità nei nostri confronti. Anzi, tutto all’opposto: la vostra gente ci accetta con sempre maggiore facilità.

— Tutto questo fa parte dello stesso processo — disse il Chirurgo. — Come poeta, certo comprendete come le parole abbiano molti tipi di significati. Non abbiamo bisogno di sconfiggere i nostri padroni alieni, per liberarci di loro. È abbastanza poetico per voi?

— Splendido — rispose Rivendicatore Diciannove, alzandosi in piedi. — Andiamo a cenare, adesso?

21

Non ci fu modo di tornare sull’argomento. È difficile sostenere una discussione filosofica a tavola; e il nostro ospite non pareva molto apprezzare quest’analisi del destino della Terra. In breve scoperse che Olmayne, prima di farsi Pellegrino, era stata Ricordatore, e quindi rivolse a lei la sua attenzione, interrogandola sulla nostra storia e sull’antica poesia terrestre. Come molti invasori egli considerava il nostro passato con viva curiosità. Poco per volta Olmayne uscì dal silenzio che l’imprigionava, e parlò lungamente delle ricerche svolte a Perris. Parlò con grande competenza del nostro passato lontano, mentre Rivendicatore Diciannnove l’interrompeva di tanto in tanto con domande intelligenti e sicure; nel frattempo ci cibammo di raffinatezze provenienti dai mondi più svariati, importate forse da quel grasso, insensibile Mercante che ci aveva portati con sé da Perris a Marsay; la villa era fresca e i Servitori premurosi; il povero villaggio di contadini colpiti dal morbo, che distava solo mezz’ora di cammino, avrebbe potuto anche trovarsi in un’altra galassia, tanto era ormai lontano dai nostri discorsi.

Quando, la mattina seguente, lasciammo la villa, il Chirurgo ci chiese di potersi unire al nostro Pellegrinaggio. — Non c’è più nulla ch’io possa fare qui — spiegò. — All’inizio della malattia mi sono mosso dalla mia casa di Nayrob e mi sono fermato molti giorni, più per consolare che per curare, naturalmente. Adesso sono chiamato a Jorslem. Comunque, se è contro i vostri voti avere compagni di viaggio…

— Non abbiate timore, unitevi a noi — dissi.

— Ci sarà un altro compagno — c’informò il Chirurgo.

Si riferiva alla terza persona incontrata al villaggio: l’essere di un altro mondo, un enigma, che ancora non aveva pronunciato parola in nostra presenza. Era una creatura piatta, un po’ a forma di lama di lancia, un’idea più alta d’un uomo, sorretta da tre gambe da ragno unite alla loro attaccatura; il suo luogo d’origine era nella Spirale Dorata; la sua pelle era ruvida, di colore rosso brillante, e dalla sommità della sua testa rastremata scendeva lungo tre fianchi, seguendo la verticale, una serie di occhi vitrei, ovali. In precedenza non avevo mai incontrato un essere del genere. Era giunto sulla Terra, stando al Chirurgo, per raccogliere dei dati, e aveva già visitato buona parte di Ais e di Stralya. Adesso faceva il giro delle terre che circondano il Lago Medit; dopo aver visto Jorslem sarebbe partito alla volta delle grandi città d’Eyrop. Solenne, sconcertante nel suo continuo stato d’attenzione, incapace di chiudere i molti occhi o di offrire un commento su ciò che gli occhi vedevano, sembrava più una macchina stramba, un accessorio di serbatoio memoria, che non una creatura vivente. Ma era innocuo, e gli permettemmo di accompagnarci verso la città santa.

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