Uscì e s’impegnò in una lunga discussione, di cui non riuscivamo a udire nulla, con le guardie stradali. Alla fine sorse qualche difficoltà che richiese l’intervento di poteri più alti: apparvero improvvisamente tre invasori, fecero cenno agli uomini di allontanarsi, e circondarono il Mercante. Il suo atteggiamento cambiò: il viso si fece untuoso e schivo, le mani si mossero e tracciarono rapidi gesti, gli occhi s’accesero. Condusse i tre che lo interrogavano alla macchina, l’apri, e mostrò i suoi due Passeggeri, cioè noi. Gli invasori sembrarono perplessi alla vista di due Pellegrini fra tanta opulenza, ma non ci chiesero di uscire. Dopo un altro po’ di dialogo, il Mercante ci raggiunse e chiuse la macchina; la ragnatela si dissolse; riprendemmo a viaggiare verso Marsay.
Mentre la terramobile acquistava velocità, lui bestemmiò e disse: — Sapete come tratterei quello schifoso mucchio di braccioni? Abbiamo solo bisogno di organizzare un piano. Una notte dei coltelli: ogni dieci terrestri s’impegnano a far fuori un invasore. Li fregheremmo tutti.
— Perché mai nessuno ha organizzato un movimento del genere? — gli chiesi.
— È lavoro per i Difensori, e metà sono morti, e l’altra metà è al loro servizio. Non è compito mio organizzare un movimento di resistenza. Ma è così che dovremmo fare. Guerriglia spietata: prenderli alle spalle, fargli assaggiare il coltello. Buoni vecchi metodi del Primo Ciclo: non hanno mai perso d’efficacia.
— Verrebbero altri invasori — disse cupamente Olmayne.
— E noi li trattiamo allo stesso modo!
— Risponderebbero col fuoco. Distruggerebbero il nostro mondo — disse lei.
— Questi invasori pretendono di essere tanto civili, più civili di noi — replicò il Mercante. — Una simile barbarie gli darebbe una brutta fama su un milione di pianeti. No, non aprirebbero il fuoco. Si stancherebbero di essere costretti a conquistarci continuamente, di perdere tanti uomini. Se ne andrebbero, e noi saremmo di nuovo liberi.
— Senza esserci redenti dei nostri antichi peccati — dissi.
— Cosa, vecchio mio? Cosa?
— Non importa.
— Immagino che nessuno di voi due ci darebbe una mano, se decidessimo di farli fuori?
— Negli altri tempi — dissi — fui Vedetta, e dedicai me stesso alla protezione di questo pianeta contro di loro. I nostri padroni non mi piacciono più di quanto non piacciano a voi, e il mio desiderio di vederli ripartire non è meno ardente del vostro. Ma il vostro piano non è soltanto irrealizzabile: è anche moralmente sbagliato. Una semplice resistenza armata sovvertirebbe lo schema che la Volontà ha divisato per noi. Dobbiamo conquistarci la libertà in modo più nobile. Questa punizione non ci è stata imposta solo perché imparassimo a tagliare gole.
Mi guardò pieno di disprezzo e sbuffò. — Dovevo ricordarmi. Sto parlando con dei Pellegrini. D’accordo. Scordatevi tutto. Non era un’idea seria, a ogni modo. Forse vi piace il mondo com’è adesso, per quello che ne so.
— A me non piace — dissi.
Il Mercante guardò Olmayne, e anch’io la guardai: quasi mi aspettavo di sentirla raccontare che avevo già fatto la mia parte di collaborazionismo con gli invasori. Ma Olmayne, fortunatamente, non sfiorò l’argomento, come non l’avrebbe sfiorato per molti mesi ancora, fino a quell’infelice giorno all’imbocco del Ponte di Terra; quando, resa impaziente dal caldo, non esitò a ricordarmi l’unica mia caduta dalla grazia.
A Marsay lasciammo il nostro benefattore, passammo la notte in un ostello per Pellegrini, e il mattino dopo ci rimettemmo in viaggio a piedi lungo la costa. E così traversammo, io e Olmayne, bellissime terre gremite di invasori; a tratti camminavamo, a tratti salivamo sul carro di qualche contadino, una volta fummo addirittura ospiti di uaa comitiva di conquistatori. Giunti in Talya evitammo Roum, dirigendoci subito a sud. E così arrivammo al Ponte di Terra, e lì ci fermarono, e conoscemmo l’agghiacciante momento dell’alterco, e poi potemmo proseguire su quella stretta lingua di terreno sabbioso che unisce l’uno all’altro i continenti bagnati dal lago. E così giungemmo in Afrik, infine.
Per la prima notte sull’altra sponda, dopo il cammino lungo e polveroso, ci rifugiammo in una squallida locanda quasi in riva al lago. Era una costruzione di pietra di forma quadrata, dipinta all’esterno di bianco, praticamente priva di finestre, affacciata su un desolato cortile interno.
Quasi tutti i clienti erano Pellegrini ma c’erano anche membri di altre Corporazioni, soprattutto Venditori e Trasportatori. In una stanza d’angolo dormiva un Ricordatore, che Olmayne evitò anche se non lo conosceva; semplicemente voleva che nulla le ricordasse la sua ex Corporazione.
Tra coloro che presero alloggio con noi c’era il Diverso Bernalt. Secondo le nuove leggi promulgate dagli invasori, i Diversi potevano fermarsi a ogni locanda pubblica, non solo a quelle riservate appositamente per loro; eppure sembrava un po’ strano vederlo lì. Mentre passavo nel corridoio, Bernalt si provò a lanciarmi un sorriso, quasi fosse sul punto di parlare di nuovo, ma il sorriso morì e la luminosità lasciò i suoi occhi. Parve comprendere che non ero pronto ad accettare la sua amicizia. O forse ricordò che i Pellegrini, in virtù delle leggi della loro Corporazione, non debbono mescolarsi troppo con la gente priva di Corporazione. Quella legge era ancora valida.
Io e Olmayne ci sfamammo con una tazza di brodo untuoso e un po’ di stufato. Più tardi l’accompagnai alla sua stanza; stavo già dandole la buonanotte, quando lei m’interruppe: — Aspettate. Entriamo in comunione assieme.
— Mi hanno visto venire nella vostra stanza — le feci notare. — Se mi fermo troppo nasceranno chiacchiere.
— Andiamo nella vostra, allora!
Olmayne gettò un’occhiata in corridoio. Tutto vuoto: mi prese per il polso e scivolammo in fretta nella mia camera, che stava di fronte alla sua. Sbarrando a catenaccio la porta rosa dal tempo, lei disse: — La vostra pietra di stella, subito!
Tolsi la pietra dalla tasca in cui la nascondevo, e lei tirò fuori la sua; le nostre mani si chiusero su di esse.
Nel Pellegrinaggio, la pietra di stella era per me un grande conforto. Molte stagioni erano ormai trascorse da quando avevo provato per l’ultima volta la trance della Vigilanza, ma ancora non mi ero perfettamente adattato alla scomparsa di quella vecchia abitudine; la pietra di stella sostituiva, in un certo senso, l’estasi dilagante che avevo conosciuto nella Vigilanza.
Le pietre di stella provengono da uno dei mondi lontani, non saprei dire quale, e si possono ottenere solo entrando nella Corporazione. È la pietra stessa a decidere se il candidato è degno di farsi Pellegrino, perché brucia la mano di chi non è adatto a indossarne l’abito. Dicono che tutte le persone che sono entrate nella Corporazione dei Pellegrini, senza eccezione alcuna, si siano sentite a disagio quando hanno ricevuto la pietra per la prima volta.
— Quando vi hanno dato la vostra — chiese Olmayne — avevate paura?
— Naturalmente.
— Io pure.
Aspettammo che le pietre s’impossessassero di noi. Io strinsi con forza la mia. Nera, scintillante, più liscia del vetro, brillava nella mia stretta come un pezzo di ghiaccio, e io cominciai a sentirmi parte dell’immenso potere della Volontà.
Dapprima s’acuì enormemente la percezione dei particolari intorno a me. Ogni crepa nel muro di quest’antica locanda sembrava adesso una valle. Il morbido soffio del vento si trasformò in una nota acuta. Al pallido bagliore della lampada accesa nella stanza vedevo colori al di là dello spettro visibile.
La qualità dell’esperienza offerta dalla pietra di stella è molto diversa da quella che provavo con gli strumenti della Vigilanza. Ma anche allora si trattava di trascendere il proprio Io. Nello stato di Vigilanza ero capace di abbandonare la parte di me legata alla Terra e di volare a velocità infinita su distese infinite, e avevo coscienza d’ogni cosa, e mai l’uomo potrà giungere più vicino a sentirsi Dio. La pietra di stella non forniva nessuno dei minuziosi dati che erano parte essenziale della Vigilanza.
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