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Connie Willis: Il sogno di Lincoln

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Connie Willis Il sogno di Lincoln

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Vincitore del John W. Campbell Memorial Award, ambito premio statunitense riservato agli autori più promettenti, (1987) è il primo romanzo importante di Conie Willis, un’autrice che si è poi segnalata con opere di tutto rispetto. Che accadrebbe se una donna dei nostri tempi scoprisse di poter viaggiare nel tempo grazie ai suoi poteri mentali, in particolare a una specie di ponte psichico stabilito con il generale Robert Lee, il grande sconfitto della guerra civile? Da questa premessa parte un romanzo appassionante, una cruda e realistica ricostruzione della guerra civile americana e del suo mondo, ma anche un’avventura ricca di imprevisti: per esempio; che ruolo ha nella vicenda il cavallo di Lee, Traveller? E perché un uomo dei nostri glomi sembra inspiegabilmente identificarsi con lui? Lo scoprirete con Connie Willis.

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— Di che cosa è morto? — chiesi. — L’acromegalia?

— No — rispose la moglie del veterinario. — Di un attacco di cuore.

— Quali sintomi aveva? Intendo dire, prima dell’attacco di cuore?

— Mio Dio, non saprei. Viveva con la sorella di Hank e noi non lo vedevamo spesso. Si lamentava che il braccio gli faceva molto male, questo lo so perché la sorella di Hank pensava che fosse artrite, ma il medico poi le disse che si era trattato probabilmente di angina; mi ricordo che si sfregava continuamente il polso.

La ringraziai per i messaggi e riappesi. Poi andai alla finestra, e rimasi là in piedi, a guardare il Rappahannock. La mia diletta Annie.

Quando Annie si svegliò dissi, con il tono più naturale che potevo: — Si prevede che il tempo peggiori, questa notte. Forse è meglio partire nel pomeriggio.

— Pensavo che avessi detto domani — fece.

— È vero, ma non vorrei incontrare una tormenta, come mi è successo tornando dalla Virginia.

Si alzò, ancora stringendo il braccio. — E le bozze?

— Possiamo fermarci da qualche parte a pranzare e finirle. Rimangono solo poche pagine.

Stava guardando il mucchio disordinato di coperte. — Che cosa è successo? — chiese. — Ho fatto un altro sogno? — Si voltò verso di me, il viso innocente e fiducioso, come se questo sogno fosse uguale a tutti gli altri e io le raccontassi di Antietam o delle Nuove Avventure di Little Hen. Non c’era nulla sul suo viso a mostrare che lei si era resa conto che qualcosa non andava, che con la resa i sogni avrebbero dovuto finire. Finire.

— Non lo so — dissi, e misi di lato le coperte per appoggiare la sua valigia sul letto. — Hai mormorato qualcosa sul freddo un paio di volte. Allora ti ho messo delle coperte in più e ho rincalzato il copriletto.

— Ho ancora un po’ freddo — disse, e rabbrividì. Iniziò a prendere le sue cose dall’armadio e a metterle in valigia, e io notai che ora, da sveglia, usava entrambe le mani, ma si muoveva un po’ rigida, come se le facesse male la schiena.

— Vado a sistemare le cose di sotto — dissi.

— Aspetta un attimo. E il dottor Barton? Non dovevamo aspettare che tornasse a casa?

— Ha chiamato — risposi. — Sua sorella gli ha detto che il padre non ha mai menzionato sogni particolari. — Chiusi la porta e discesi, pensando a com’era stato facile, facile come svuotarle una capsula nel cibo. Per il suo stesso bene.

Attraversai la strada fino alla cabina del telefono e chiamai l’ospedale. — Ho un’amica che sta male — dissi, ma poi mi fermai. Non sarei mai riuscito a farla entrare in ospedale. Avrebbero voluto sapere il nome del suo medico, avrebbero fatto compilare migliaia di schede e mentre io le riempivo lei avrebbe preso un taxi e sarebbe scomparsa.

Chiamai l’Istituto del Sonno e chiesi del dottor Stone. — Mi dispiace — disse la segretaria — il dottor Stone è in California. Vuole lasciare un messaggio? — Chiamai l’albergo di Broun a Los Angeles. Se n’era andato. Insistetti per sapere dove, ma l’impiegato ripeté solo — Il signor Broun è partito.

Aveva lasciato l’albergo, e io non sapevo dove si tenesse il ricevimento, quel giorno, o quale neurologo dovesse incontrare lunedì, così avrei dovuto aspettare martedì, che era fra tre giorni.

Annie insistette per pranzare alla caffetteria per salutare la cameriera dai capelli rossi, ma lei non c’era. La sua bambina si era ammalata, ci disse la proprietaria. — Allora le dica addio da parte mia — le chiese Annie, e poi proseguimmo con le bozze come se non fossimo tagliati fuori ormai da tutti, la retroguardia distrutta a Sayler’s Creek, Sheridan già ad Appomattox Station, Meade che incalzava avanzando veloce, e Grant che già scriveva i termini della resa.

— No — esclamò Nelly quando glielo disse, e lui poté sentire la disperazione nella sua voce. E questa volta era lui a provocarla, e non c’era nulla che potesse fare. — Il battaglione non ti prenderà. Non puoi nemmeno marciare.

— Posso camminare abbastanza bene — fece Ben. — Forse non mi prenderanno subito, ma verrà un momento in cui mi prenderanno e saranno contenti di me.

— Perché vuoi farlo?

— Devo. Non so perché. È lo stesso di quando mi sono arruolato. So solo che devo.

— Non saprò mai che cosa ti è successo — disse lei.

— Ci ho pensato. — Trasse dalla tasca della camicia un foglio di carta ripiegato. — Un mio amico mi ha detto di mettere il nome e cognome nello stivale, ma non funziona. L’altra volta lo stivale è stato sparato via dal colpo, e il nome con lui. Voglio che lo tenga tu.

— A che cosa servirà?

Ben la rivide seduta accanto al letto di Caleb, a tenergli la mano fredda. — Dopo che la guerra è finita tu mostra questa carta e indica uno dei corpi e di’ ‘È lui’ e allora metteranno il mio nome su una tomba e anche il cognome, così tutti sapranno che cosa mi è successo.

Va bene — disse lei.

Dopo che se ne fu andato aprì il foglietto di carta e lo lesse. “Toby Banks” c’era scritto. “Big Sewell Mountain, Virginia.”

Annie si fermò.

— Adesso ricordo di aver sognato — disse. — Questa mattina. Ero in una chiesa, mi pare, la chiesa presbiteriana del mio paese, e stavano raccogliendo le offerte, ma non era un servizio religioso. Era un incontro non so per cosa.

Un incontro in sagrestia. Alla Grace Church.

— Non me lo ricordo bene. Non era come gli altri sogni. — Un accenno di panico le tornò sul viso, mentre si sforzava di ricordare. — Faceva freddo. Ricordo di aver pensato che avrei dovuto indossare il cappotto più pesante e speravo che smettessero di discutere così sarei potuta tornare a casa.

Stavano discutendo sulla raccolta di cinquantacinque dollari per il pastore. L’incontro era proseguito per tre ore e alla fine Lee aveva detto “Darò io la somma” per far terminare quella discussione. Lee indossava solo il mantello militare e dovette tornare a casa sotto la pioggia gelida.

La famiglia lo stava aspettando per andare a cena. Lui si sedette pesantemente sul divano, stringendosi il braccio sinistro, e sua moglie disse; scherzosamente — Dove sei stato? Ti abbiamo aspettato per un secolo — e gli chiese di rendere grazie. Lui si alzò e sembrò voler dire qualcosa, poi cadde sul divano.

— Che cos’è? — chiese Annie.

— Probabilmente la chiesa di Dunker ad Antietam. Andiamo.

— Non ho salutato il gatto. — Insistette per arrivare alla scala esterna. La bestiola non c’era e il mucchietto di avanzi era mezzo sepolto dalla neve — E se gli fosse successo qualcosa, Jeff? — disse Annie, sfregandosi il polso.

— Non gli è successo nulla. È raggomitolato da qualche parte al calduccio, magari in una soffitta piena di topi. Non ha senso star qui a cercarlo. Vieni, andiamo.

Dormì per tutto il viaggio come se avesse preso un sonnifero. Non si svegliò nemmeno quando mi fermai a far benzina vicino a Woodbridge. Lassù pioveva, una pioggia gelata che pareva autunnale e che avrebbe potuto trasformarsi in neve da un momento all’altro.

Entrai nella stazione di servizio e chiamai la segreteria. “Centro!” disse Broun. “Sapevo di essere sulla pista giusta.” Non avevo cancellato il messaggio. Lo riascoltai di nuovo, per intero, tentando di capire da qualche indizio dove Broun si trovasse.

L’agente di Broun disse “Ho detto a Mc Laws e Herndon che le bozze sarebbero arrivate mercoledì al più tardi. Devi portarle anche se non riesci a contattare Broun.”

“Devi chiamarmi immediatamente” disse Richard. Prima avevo riappeso a questo punto, ma ora ascoltai ancora sperando che Broun avesse chiamato di nuovo per dirmi dove si trovasse. Per paura di mancare la chiamata non feci andare avanti il nastro in fretta. “Ho appena avuto i risultati degli esami dal laboratorio. C’è un problema nell’elettrocardiogramma. Non so dirti di preciso cosa possa essere. Hai notato dolori al petto? Dolori al polso o alla schiena o lungo il braccio? Se IÌ dolore si sposta potrebbe avere un infarto miocardico in qualsiasi momento. Devi tornare immediatamente.” Non c’erano altri messaggi. La macchina arrivò alla fine e si spense da sola.

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