Ben si alzò e arrotolò la coperta, tentando di svegliarsi del tutto. Toby stava fischiettando qualcosa, una canzoncina, ma quando Ben si voltò a fissarlo smise. Stava scrivendo qualcosa su un fazzoletto bianco piuttosto sporco. — Voglio che quegli yankees sappiano chi gli sta sparando — spiegò. Lavorò uno stecco con il coltello e lo usò per appuntarsi il fazzoletto sulla camicia. — Anche se nessuno riuscirà ad avvicinarsi tanto da leggere. Si accostò al fuoco e tirò fuori una delle pannocchie. Il cartoccio di foglie era carbonizzato. Ne usciva un profumo delizioso.
Mi svegliò da un sonno profondo. Avevo la sensazione che fosse mattino e mi chiesi chi stava chiamando a un’ora simile. Alzai il ricevitore e, mentre lo facevo, esso suonò di nuovo; allora pensai “È la segreteria” e premetti il pulsante solo per scoprire che non c’erano messaggi, mi meravigliai, e poi mi resi conto definitivamente, al terzo squillo, che si trattava del campanello della porta.
Annie era in piedi sui gradini. Indossava il giaccone grigio e teneva in mano una sacca di tela, Una piccola valigia era per terra accanto a lei. Era scuro e nebbioso e pensai “La nebbia sparirà con il sorgere del sole e dopo farà fin troppo caldo”.
— Posso restare qui? — disse lei.
Avevo ancora in niente che il telefono avesse suonato. — Hai chiamato? — le chiesi.
— No — rispose. — So che avrei dovuto avvertirti, ma… se è un problema, Jeff, posso andare in albergo.
— Mi pareva di aver sentito il telefono — dissi, sfregandomi la faccia come se avessi una barba ispida come Broun. — Che ore sono?
Dovette trasferire la borsa nell’altra mano per guardare l’orologio. — Le dieci e mezzo. Ti ho svegliato, vero?
No. non mi hai svegliato, fui li lì per rispondere. Era quello il problema. Non era riuscita a svegliarmi, pur con tutti gli squilli di campanello. Ero ancora addormentato e la stavo sognando, e non era il sogno di qualcun altro. Era bellissima, là in piedi nel giaccone grigio, i capelli chiari leggermente mossi dall’umidità. Sembrava essersi appena svegliata da un lungo sonno ristoratore, aveva gli occhi chiari e brillanti e le guance rosate.
— Certo che puoi rimanere — dissi, ancora non abbastanza sveglio per chiederle come mai si trovava lì, o per stupirmene. Aprii la porta e mi chinai a prendere la valigia. — Puoi restare tutto il tempo che vuoi. Broun non c’è. È in California.
Le feci strada su per la scala fino allo studio, ancora incapace di scacciare la sensazione che fosse molto tardi. La segreteria stava lampeggiando a veloci scatti intermittenti; probabilmente a causa di ciò che avevo schiacciato ancora addormentato. Mi chiesi che cosa avrebbe mai udito un povero diavolo che stesse chiamando. Rimisi le cose a posto e sbadigliai. Ancora non ero del tutto sveglio mi ci voleva un caffè.
— Vuoi del caffè? — chiesi ad Annie, che rimaneva in piedi nel vano della porta, tranquilla e riposata, era bellissima.
— No — rispose.
Ero ancora vicino al telefono. — Sono stato in pensiero per te. Ho provato a chiamarti un po’ di volte. Hai fatto un altro sogno?
— No — rispose ancora. — I sogni sono cessati.
— Cessati? — feci. — Così senza niente? — Evidentemente non ero ancora sveglio.
La segreteria stava ancora lampeggiando. Premetti il pulsante e udii il nastro partire. — Annie se n’è andata — diceva Richard. — Penso che stia venendo da te. Devi convincerla a ritornare. È ammalata. L’ho fatto solo per aiutarla. Non mi restava altra scelta.
— Fatto cosa? — chiesi.
Lei tirò fuori qualcosa dalla borsa. — Mi metteva queste nel cibo — disse, e mi tese due capsule dentro a un sacchettino di plastica. Una delle capsule era rotta e aveva depositato della polvere biancastra sul fondo del sacchetto.
— Che cosa sono? — chiesi. — Elavil?
— Thorazine — rispose. — Ho trovato la boccetta nella sua borsa medica.
Thorazine. Una medicina forte abbastanza da fermare un cavallo a metà del balzo. — Richard ti ha dato quelle? — feci, fissando stupidamente il sacchetto di plastica.
— Sì — rispose. Sedette in poltrona. — Ha iniziato a mettermele nel cibo dopo che tornai da Arlington.
Quando l’avevo chiamata le avevo chiesto se avesse dormito, e lei aveva detto che Richard le aveva dato una tazza di tè e l’aveva mandata a letto. Era così assonnata che a malapena riusciva a rispondermi. Perché Richard aveva messo il Thorazine nel tè. — Il Thorazine si usa negli ospedali psichiatrici. Con i pazienti fuori controllo.
— Lo so — disse lei.
— Quante capsule te ne ha date?
— Non lo so. Lui… Io non ho mangiato niente ieri sera e per tutta la giornata di oggi.
L’avevo portata ad Arlington tre giorni prima. Non poteva aver preso quella sostanza per più di due giorni e mezzo, e quindi non poteva averne troppa in circolazione, ma che dosi aveva somministrato Richard? Qualsiasi dose era già troppo.
— Annie, senti, lascia che chiami l’ospedale. Loro sapranno che cosa fare. Dobbiamo farti togliere quella roba dalla circolazione.
— Jeff, raccontami che cosa ne è stato del cavallo — disse lei tranquilla. — Il cavallo grigio che ho visto nel sogno. Non era solo caduto in avanti sulle ginocchia, vero? — Le guardai le mani, aspettandomi di vederle aggrappate convulsamente ai braccioli della poltrona. Invece le riposavano calme in grembo. — Per favore dimmelo.
Mi inginocchiai di fronte a lei e le presi le mani. — Annie, il sogno non è importante. Ciò che è importante è che hai una droga pericolosa in circolazione. Io non so che cosa possa provocare, ma dobbiamo scoprirlo. Ci possono essere conseguenze anche per averla sospesa d’improvviso. Dobbiamo andare in ospedale. Loro sapranno che cosa fare.
— No — rispose, ancora tranquilla. — Mi daranno qualcosa per impedirmi di sognare.
— No, non è così. Tenteranno di toglierti i residui del Thorazine dal sangue e poi ti faranno dei test per capire esattamente quanta ne hai presa, e per quanto tempo. Come facciamo a essere sicuri che Richard non abbia continuato a somministrartela per settimane? E se il Thorazine non fosse l’unica cosa che ti ha dato?
— Non capisci. Mi metteranno in trattamento.
— Non potranno farti nulla senza il tuo consenso.
— Richard l’ha fatto. Io non posso entrare in ospedale. I sogni sono importanti. Sono la cosa più importante.
— Annie…
— No, devi ascoltarmi, Jeff. Ho pensato che mi stesse dando qualcosa dopo la tua telefonata. Quando mi alzai per rispondere ero stordita, e poi quando mi domandasti se Richard mi aveva dato qualcosa capii che doveva essere così. Ma non te lo dissi.
— Perché no? — le chiesi piano.
— Perché aveva fatto cessare i sogni. — Le sue mani erano ghiacciate. Le sfregai gentilmente fra le mie. — Quando chiamasti io avevo dormito per tutto il pomeriggio, e non avevo fatto nessun sogno. Mi parlasti dell’Ordine Speciale 191 e io non volevo nemmeno sentire. Volevo solo tornare a dormire. Volevo dormire per sempre.
— Era per il Thorazine — intervenni.
— Volevo dormire per sempre, ma non potevo. Persino sotto l’effetto del Thorazine, persino mentre stavo dormendo, sapevo che i sogni erano importanti e che io devo continuare a farli. È per questo che sono venuta qui. Perché sapevo che tu mi potevi aiutare. Sapevo che avresti potuto spiegarmi che cosa significano i miei sogni.
— Annie, ascolta. — La guardai ansiosamente dentro gli occhi azzurro-grigi, tentando di vedere se non fossero dilatati. Non lo erano. Erano chiari e ben svegli. Forse era vero, aveva preso il Thorazine solo per un paio di giorni. — Mi vuoi lasciare almeno chiamare il medico di Broun? Non è uno psichiatra o qualcosa del genere. È un medico generico.
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