Sheri Tepper - Cronache del dopoguerra

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Cronache del dopoguerra: краткое содержание, описание и аннотация

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Sono passati duecento anni dall’ultimo olocausto ma il dopoguerra dura ancora. Una parte del genere umano (le donne di Marthatown e di altri centri abitati pacifisti) hanno imparato la lezione e giurato di non riprendere più le armi, ma altri la pensano diversamente. Per molti fare la guerra è sinonimo di onore, di uno stile di vita eroico e irrinunciabile. Così, in alcuni avamposti militari disseminati sul pianeta attecchisce una civiltà aggressiva che si identifica con uomini non disposti a fare ammenda del passato. Per Stavia, una giovane dottoressa, non è facile convincere il compagno Chernon a rinunciare alla via della violenza, tanto più che i due devono compiere insieme una missione che non si prospetta facile. Presto dovranno misurarsi entrambi con mille difficoltà e pericoli, e allora non sarà Chernon il solo a dover fare una scelta radicale: anche Stavia si renderà conto che l’utopia potrebbe avere i giorni contati.

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— Mi sarebbe piaciuto che tu lo lasciassi a me — disse Corrig.

— Dovevo farlo io — disse Joshua mentre gli altri uscivano lentamente dagli alberi per prendere i due cadaveri e caricarli sui muli per portarli via. — Nel Paese delle Donne impariamo a non nutrire gelosie, Corrig. Ci insegnano a essere calmi, a godere di ciascun giorno, a guardarci dalla possessività. Eppure, nonostante questo…

— Nonostante questo dovevi ucciderlo.

— Sì — disse Joshua con un’espressione piena di vergona. — Sì.

Trascorse il resto della notte, poi un altro giorno e un’altra notte ancora.

Quasi fosse stato il caso a volerlo, fu Chernon il primo a scendete nel campo della parata, alle prime luci dell’alba, il giorno dopo. Non riusciva a dormire bene da quando aveva fatto ritorno alla guarnigione. Tutto il giorno, ogni giorno, gli uomini lo interrogavano sugli abitanti di Terrasanta e su come vivevano. Chernon aveva visto Risoluzione Brome con una mezza dozzina di mogli, non aveva fatto caso a quanti fossero gli uomini che non ne avevano. Non aveva visto molto di come vivevano le donne, e comunque non era sua intenzione raccontare l’intera verità. Quello che aveva visto era stato sufficiente. Era una prova, un prova sufficiente a dimostrare che gli uomini potevano fare come volevano, che potevano avere i loro comandamenti, governare la società, piegare le donne alla loro volontà. Questo aveva detto, più e più volte, parlando soprattutto di quegli uomini che avevano a disposizione molte donne, pronte a esaudire i loro desideri, a procurare loro piacere.

Avrebbe dovuto sentirsi sollevato ma non riusciva a dormire bene dopo aver finito di parlare. Quando si assopiva vedeva il viso di Stavia, come era stato quando l’aveva vista per la prima volta, com’era stato quando erano stati assieme, quando le aveva tolto quella cosa, qualunque cosa fosse, come era stato quando l’aveva vista l’ultima volta, pallida come un panno di lino, esangue, gli occhi infossati. Quattro volti. Eccitazione. Gioia. Orrore. Morte. Quegli occhi sembravano seguirlo dovunque andasse, qualunque cosa facesse. Interesse. Piacere. Rabbia. Morte.

Era un ragazzo intelligente, come avevano notato Kostia e Tonia. Non era da lui farsi trascinare da simili interferenze. Quello che aveva visto era realmente ciò che desiderava? In tutti i suoi sogni di viaggio, nei sogni eroici di ricerca, non aveva mai visto volti con l’espressione degli ultimi due che continuava a vedere, e tuttavia Odisseo doveva averne visti molti di volti prima di terminare la sua ricerca. Aveva ucciso e distrutto in ogni luogo dove era approdato. Nelle saghe sembrava bello. Le saghe non parlavano delle facce delle donne. Perché non lo facevano mai? Odisseo diceva: “Il vento mi portò a Ismarus che era la città dei ciconi. Saccheggiai la rocca e piegai la gente con la mia spada; prendemmo le loro donne…”.

“Piegare la gente con la spada.” Significava che avevano ucciso gli uomini, e probabilmente anche i bambini. E poi avevano preso le donne, ma Odisseo non diceva nulla dei loro volti. Nulla.

Perché? Perché Odisseo non raccontava come si erano sentite le donne? Come lo avevano guardato? Perché nessuna delle saghe ne parlava?

Quelle domande lo tormentavano, tenendolo sveglio la notte; svegliandolo la mattina presto e costringendolo a uscire sul campo della parata e a stancarsi in modo da cacciare quelle facce dalla mente.

E mentre correva verso il monumento della vittoria, vide un altro volto, un volto insanguinato, rivolto verso di lui e credette di aver sognato. Era il viso di Michael. Il corpo di Michael, il corpo di Stephon, appesi per i piedi al monumento della vittoria, morti.

Lanciò un urlo che uscì stridulo dalle sue labbra, un poco per lo shock, un poco per il conato di vomito provocato dal panico. Il suo grido attirò gli uomini di guardia, e in pochi minuti ogni uomo della guarnigione seppe cosa era stato trovato.

Chernon se ne stava nel dormitorio, rannicchiato tra le coperte, morto di paura. Aveva a che fare con Stavia. Ne era certo. E se aveva qualcosa a che fare con Stavia, lui sarebbe stato il prossimo.

A mezzogiorno le Guide del Concilio chiesero udienza al centurione Hammis che era l’ufficiale più anziano e lo informarono di aver scoperto chi aveva compiuto quell’atrocità. Erano state delle spie di Tabhitatown che avevano ucciso i comandanti per rendere debole e indifesa Marthatown in caso di attacco, per distruggerne il morale.

La guarnigione fu percorsa da un ansito di rabbia e si preparò alla guerra.

Fu Beneda a portare le notizie a Stavia.

I capelli di Stavia erano ricresciuti e formavano una sorta di corona che riusciva a nascondere le cicatrici nei punti in cui Cappy l’aveva colpita con la pala e dove i dottori avevano ricucito il cranio. I segni delle frustate sulla sua schiena andavano impallidendo lasciando solo delle tenui striature che indicavano dove era stata colpita. Aveva potuto lasciare l’ospedale ed era tornata nella sua vecchia camera nella casa di Morgot.

Beneda entrava e usciva dalla sua camera quasi tutti i giorni, portandole sempre fiori freschi e dolci appena sfornati. A volte veniva anche Sylvia. Non importava quanto Sylvia cercasse di trovare nuovi argomenti di conversazione, finivano sempre a parlare di Chernon. Quel giorno volevano parlare di Chernon e della guerra.

— Gli hai parlato da quando è tornato? — chiese Stavia domandandosi se lui avesse detto a Beneda almeno parte della verità.

— Una volta — ammise Beneda — dal muro. Gli ho detto quanto gravemente eri stata ferita e lui ha assunto quella sua strana espressione. So che si rimprovera per non essere rimasto con te e averti protetto, Stavvy.

— Dubito che avrebbe pouto fare qualsiasi cosa — disse Stavia con le labbra secche.

— La mamma ha sofferto molto per tutto quello che è successo — disse Beneda. — Voglio dire, lei lo ha scacciato per un certo periodo, poi lui è tornato. Poi ha scelto di rimanere nella guarnigione. Ha cominciato a corteggiarti ed è scomparso, pensavamo che fosse morto ma è tornato. E ora è andato in battaglia…

— Deve essere stato molto duro per lei — disse Morgot che era entrata nella stanza durante quella confessione. Posò la mano sulla spalla di Stavia, confortante, consolatoria. — Dille che ha la mia più profonda comprensione, Beneda.

La ragazza assentì. — Oh, lo farò. — Poi si protese verso Savia stringendola guancia a guancia e mormorò: — Non è solo la mamma. Anch’io. Continuo a preoccuparmi per lui… non so cosa farei senza di te, Stavvy. Sei la mia migliore amica. Dopo la mamma e Chernon, sei la persona che amo di più…

Quando se ne fu andata, Stavia mantenne lo sguardo nel punto dove era stata seduta, con le labbra tremanti e le lacrime che le ricadevano sul viso.

— Stavvy? — Morgot posò le mani sulle spalle di Stavia scuotendola.

— Lasciami sola! — si alzò volgendosi, alzando le mani alle spalle come se volesse allontanare quelle della madre. — Non capisci che inferno sto passando? Non posso dire nulla di quello che provo. Neanche a Beneda. Non posso raccontare nulla. Continuo a sentirla parlare di Chernon che ritornerà dalla battaglia e io… mi sento una sporca ipocrita. Una traditrice. Mi odio.

— Anche Sylvia è mia amica, Stavia. Spesso mi sento indegna della sua amicizia. Ma che altro posso fare? Avere amiche solo tra le componenti del Concilio? Allora la gente penserebbe che siamo un clan chiuso, ma se le componenti del Concilio sembrassero un clan privo di amicizie al di fuori della loro cerchia ciò porterebbe a una perdita di fiducia.

— È come se fossimo due razze — disse Stavia — una che pensa e una che agisce. Che recita una parte in una commedia.

— Sì — disse la madre con un cenno di assenso. — È esattamente così.

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