— Ci sono almeno due differenze tra te e Myra.
— Non capisco.
— Tu sei stata forzata e lei no. E tu stai portando in grembo il figlio di un guerriero.
— Anche Myra… — la voce di Stavia svanì in un silenzio doloroso.
Morgot scosse il capo. No. Come un pendolo che oscilla avanti e indietro. No.
Il silenzio divenne più profondo, più vibrante di significati, cose non dette che improvvisamente divennero più importanti di ogni altra frase mai pronunciata. Qualcosa che avrebbe dovuto aver compreso, immaginato.
— Il primo figlio di Myra… il piccolo Marcus. Non era il figlio di Barten — non aveva detto quelle parole come fossero una domanda. Non lo erano infatti.
— Non era figlio di Barten. Non era il figlio di un guerriero. I guerrieri non mettono al mondo figli. Non per noi.
Stavia chiuse gli occhi e una sensazione di torpore s’impadronì nuovamente di lei, trascinandola in una serie di percezioni che la investirono come se la stanza fosse stata spazzata da un forte vento. Qualcosa dentro di lei non funzionava. Qualcosa si era rotto e lei non riusciva a comprendere di cosa si trattasse, era una verità che Morgot non poteva capire, qualcosa si era infranto ed era bruciato come un fuoco dentro di lei. Una frattura che si stava allargando sempre più lasciando penetrare le tenebre.
Quando parlò lo fece così a bassa voce che non riuscì neppure a comprendere se Morgot l’avesse sentita. — Le renne — disse mentre perdeva conoscenza.
— Le renne.
Stavia nel ruolo di Ifigenia, Joshua in quello di Achille e tutto il resto del cast (tra cui la regista che finalmente aveva deciso cosa voleva dagli attori) stavano provando per l’ultima volta la commedia. La rappresentazione avrebbe avuto luogo la sera stessa. Il teatro d’estate era festoso di bandiere e i chioschi stavano già esponendo le vivande che avrebbero venduto al tramonto. Il piccolo cast stava provando la commedia già abbigliato e truccato, per abituarsi a calcare la scena con tutti gli accessori. Recitavano le battute a voce alta per coprire il coro che stava provando nel prato vicino. Le mura di Troia erano in rovina intorno a loro. Ecuba abbracciava Andromaca. Quasi in cima alle mura di Troia, Achille stava in ginocchio, in lacrime. Stavia nel ruolo di Ifigenia si chinò su di lui sfiorandogli la guancia con la mano, come le era stato ordinato dalla regia.
IFIGENIA: Achille, perché piangi?
ACHILLE: È finito, tutto finito. L’onore e la gloria. Teti, mia madre, mi promise che il mio nome sarebbe stato immortale come quello di Giove stesso. Eppure io sto qui, tra queste mura sventrate, solo, solo…
IFIGENIA: Non ho detto che sei solo.
ACHILLE: E chi c’è con me? Il mio amico Patroclo è forse qui? Dove sono gli argivi morti? E tutti i miei coraggiosi mirmidoni, dove sono?
ECUBA: Cosa dice il figlio di Agamennone?
IFIGENIA: Piange per gli eroi, Ecuba. Implora i suoi amici e ogni altro greco morto di tenergli compagnia.
ECUBA: Si sente solo, vero? Eppure noi ci curiamo di lui…
POLISSENA: Un ingrato, vero? Achille! Non siamo qui forse a tenerti compagnia? O preferiresti essere da solo?
ACHILLE: ( Con passione ) Cosa possono dire le donne a un guerriero?
CASSANDRA: Oh, una donna può aver molto da dire se un uomo vuole stare ad ascoltarla. Ma gli uomini non ascoltano. Disprezzano ciò che diciamo come fossimo uccelli in gabbia che cantano inutili canzoni. Per esempio ho detto ad Agamennone cosa lo aspetta, ma lui ride di me…
IFIGENIA: ( Scuotendo il capo ) Non ha mai ascoltato un buon consiglio prima d’ora. Perché dovrebbe farlo adesso?
ACHILLE: ( Continuando come se non fosse stato interrotto ) Cosa può avere una donna da dire a un guerriero, e cosa potrebbe dire un guerriero a una donna?
ANDROMACA: Potresti spiegarci come hai fatto a farci innamorare. Io avevo un padre, una volta, della benedetta Tebe, città dei cilici. Sei venuto qui, o guerriero. Hai saccheggiato il palazzo, ucciso mio padre e i suoi sette figli. Quale gloria hai portato ai miei fratelli, o grande Achille, ucciso da un uomo grande come te? Di questo puoi parlare.
IFIGENIA: O parlare delle tue imprese; raccontaci di come hai ucciso gli uomini di Biresi. Raccontaci di come l’hai stuprata nella tua tenda dicendo che era “bottino di guerra”. I guerrieri hanno molte cosa da dire alle donne, se solo vogliono farlo.
ACHILLE: Non è colpa mia se voleva il mio abbraccio. Si è gettata davanti ai miei piedi, allungando braccia d’avorio per stringere le mie coscie. Quello che tu chiami uno stupro fu solo una dolce violenza che gli alberi conoscono bene quando vengono investiti da una tempesta estiva e sbattono tra di loro nella foresta…
IFIGENIA: Una tempesta che provocò la morte di molti uomini. Quella tempesta estiva ci ha ucciso tutti. Mariti, fratelli, figli uccisi. Non c’è dubbio che siano stati uccisi da colpi gentili, accarezzati dalle lame.
POLISSENA. Se Biresi si è gettata ai tuoi piedi deve averlo fatto per chiedere pietà. Non ci hai pensato?
ACHILLE: ( Testardamente ) Se Patroclo fosse qui, capirebbe. Noi uomini ci capiamo.
IFIGENIA: Be’, Patroclo è andato nell’Ade con tutti gli altri greci morti.
ECUBA: E i troiani…
IFIGENIA: E i troiani. Avrai compagnia a sufficienza quando ci andrai anche tu. Io ci sono stata e lo so.
POLISSENA: È vero. Sei stata uccisa da più di dieci anni.
IFIGENIA: Dieci anni, così poco… ma è un tempo sufficiente per conoscere come sia la Via dell’Inferno e farvi ritorno.
— Stavia — disse la regista vedendola barcollare. — Stai bene?
— Naturalmente — disse Stavia sentendo svanire la momentanea emozione che si era impadronita di lei. — Mi spiace, non volevo interrompere la prova.
Erano passati dieci anni da quando aveva portato Dawid ai guerrieri e poche settimane da quando suo figlio aveva scelto di restare con la guarnigione. Un tempo sufficiente per conoscere la Via dell’Inferno e farvi ritorno.
La ferita al capo era più grave di quello che avevano pensato. L’ufficiale medico chirurgo aveva tappato i buchi nel cranio, estratto un frammento simile a un pezzo di tazza, e rimosso la scheggia che premeva contro il suo cervello, poi aveva rimesso a posto l’osso con lo scalpo ordinatamente rasato e coperto di bende. In tutto quel periodo Stavia aveva continuato a sognare le renne.
Ci fu un lungo periodo di tempo durante il quale udì altre voci che parlavano nelle altre stanze, un tempo in cui tutto era lontano e niente era abbastanza importante da attirare la sua attenzione. Non udiva realmente le conversazioni tra Septemius Bird e Morgot quando sedevano al capezzale del suo letto a osservare la sua respirazione, respirando per lei quando dimenticava di farlo. Tuttavia la sostanza di quei discorsi penetrò dentro di lei come avevano fatto i sogni.
— Come lo hai scoperto? — chiese Morgot.
— Ah — Septemius ci pensò sopra un poco. — Direi attraverso l’occhio di un innocente, signora. Attraverso la semplice osservazione, con la quale di solito noi percepiamo il tessuto delle vostre vite, celato dagli schemi che siete abituate a mostrare agli altri. Tuttavia noi siamo abituati a comporre altri schemi con i fili che vediamo. Sciogliamo tutti i vostri fili per portare alla luce la verità. La nostra attenzione per esempio si è focalizzata sulla quantità di attenzioni mediche fornite alle donne dopo il carnevale…
— Per prevenire le malattie — disse con calma Morgot.
— Forse c’è molto di più. Dopo tutto noi itineranti abbiamo esperienza di quello che fate per prevenire le malattie. Siamo stati nella casa di quarantena e non si tratta di processi molto lunghi. No, tutte quelle cure mediche hanno a che fare con qualcos’altro. Evitare di rimanere incinta durante il carnevale, per esempio, e assicurare la gravidanza dopo di esso. Immagino che i servitori scelti per mettere al mondo dei figli forniscano il necessario… occorrente.
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