Septemius era là, e nessuno cercava di nascondere i segreti a Septemius perché lui già sapeva tutto. Quello che potevano fare Joshua e Corrig potevano farlo anche Kostia e Tonia. Era un segreto, ma qualcuno ne era a conoscenza.
Questo è ciò che Stavia aveva compreso. Sapendo alcune cose di Joshua non ci mise molto a comprendere. L’unico fatto che la sorprese fu che anche Corrig faceva parte di tutto ciò.
Dal momento in cui Chernon l’aveva ferita, c’erano voluti quaranta giorni per rintracciarla; secondo Corrig era stata una cosa facile anche se aveva richiesto parecchio tempo. Potevano stabilire dov’era ma non quanto lontano si trovasse. E, sulle prime, lei non era rimasta in un solo luogo. In alcune direzioni non riuscivano a sentire nulla. I nuovi uomini sembravano impagabili perché avevano un senso unico della distanza che agli altri mancava. Avevano impiegato più tempo di quello che avrebbero voluto ma alla fine l’avevano localizzata, fortunatamente un solo giorno dopo che era stata colpita da Cappy.
Sulla strada, nel carro di Septemius avevano discusso cosa avrebbero dovuto fare e come, tradendosi così davanti al vecchio e mandando in fumo tutte le illusioni che potevano aver creato sulla loro natura di servitori. Alla fine era stato Septemius che aveva suggerito che compissero un’incursione nella Terrasanta mascherati da demoni, lasciando ambigue prove di natura soprannaturale ogni volta che fosse stato possibile dietro di loro.
— Sono superstiziosi — aveva detto. — Lo ricordo. Sono inflessibili, superstiziosi, paurosi e vendicativi. Se andaste semplicemente da loro a prenderla potrebbero reagire solo in termini di vendetta e questo metterebbe il campo fortificato in pericolo. Se angeli e demoni arriveranno a salvarla gli abitanti di Terrasanta non sapranno cosa pensare o contro chi vendicarsi. Un bel raid demoniaco dovrebbe confonderli per parecchie generazioni.
Joshua si era dichiarato d’accordo. Pensava che fosse una cosa decisamente saggia dopo quello che Septemius gli aveva detto riguardo a Chernon.
— Il ragazzo non ha architettato tutto da solo — disse Joshua.
— È quello che abbiamo pensato io e le mie nipoti. — Convenne Septemius — penso che lo abbiano spinto a farlo e che gli ufficiali siano d’accordo. Non che quello che ha fatto fosse contro i suoi desideri. È un vanaglorioso. Entrambe le ragazze lo hanno detto.
— In caso si sia lasciato andare a parlare con quei barbari faremmo meglio a screditarlo. — Dire che Chernon era amico dei demoni, decisero, sarebbe stato sufficiente a distruggere ogni credibilità egli avesse potuto procurarsi tra i barbari. Joshua non voleva riferire a Morgot che Chernon era stato lasciato vivo tra gli abitanti di Terrasanta e provocare così altri problemi.
Una volta che l’avevano localizzata avevano aspettato sino a notte per preparare il loro tentativo di salvataggio.
— Avete aspettato quasi troppo — momorò a Corrig a Joshua. Gli altri tre servitori li avevano lasciati per andare verso nord a maggior velocità e arrivare a casa molto prima di Stavia, Joshua e Corrig. Per quello che riguardava Marthatown, Stavia aveva avuto un incidente durante il viaggio di esplorazione e i servitori di famiglia erano andati a recuperarla. Il fatto che altri servitori fossero contemporaneamente assenti era una coincidenza casuale; i servitori andavano e venivano continuamente occupati in compiti diversi.
— Non ce l’avrei fatta ancora per molto — momorò Stavia.
— Mi spiace, piccola — disse Joshua appoggiandole la testa sulla sua spalla per darle ancora un poco di zuppa. — Non sapevamo che avessi cercato di fuggire.
— Non potevo sopportarlo — mormorò lei tra una cucchiaiata e l’altra di verdura. — Non potevo sopportarlo.
— Sì — disse Corrig. — È comprensibile.
A volte era Septemius a sorreggerle il capo per nutrirla. Fu a lui che sussurrò il suo terribile segreto, quello che aveva dimenticato sino a quel momento e che scordò il momento successivo.
Entrarono a Marthatown di notte, conducendo il carro scricchiolante per le strade sino al piccolo ospedale dove Morgot e una piccola stanza tranquilla l’aspettavano. Morgot riservò una veloce occhiata a Stavia poi se ne andò mentre la sua voce le arrivava strana, come lontana: — Jeanine, Winny, volete occuparvi di lei, per favore? — Poi se ne andò e per un poco non fece ritorno. Jeanine e Winny lavarono Stavia asciugandola e distendendola nel letto pulito, appoggiandole la testa su un cuscino pulito.
Morgot tornò con gli occhi rossi e la voce perfettamente calma. — Ci vorrà un poco perché tu guarisca, piccola. Suggerisco un bel po’ di sonno, tanto per cominciare.
— Chernon ci ha accusate di conoscere dei segreti — disse Stavia girando la testa sul cuscino. Aveva cercato di dormire come aveva suggerito Morgot ma non vi era riuscita. Era in preda alla febbre e all’agitazione. Per tutta la notte aveva sbarrato gli occhi a ogni rumore, a ogni movimento. Adesso era tornata la luce del giorno e Morgot era ritornata. Stavia sentiva la necessità di raccontarle tutto. — Ha detto che le donne hanno dei segreti. Cose che lui voleva sapere per acquisire potere.
Seguì un lungo silenzio carico di significati, un silenzio che le ricordava altri momenti simili che si ripresentavano di tanto in tanto da quando era bambina (silenzi che altre persone avevano imposto quando si erano accorti che lei stava ascoltandole) cosicché aprì gli occhi, aspettandosi quasi di essere tornata di nuovo bambina. Morgot stava guardandola con intensità. — Abbiamo dei segreti — disse. — Naturalmente.
— Lo so — disse Stavia. Nelle penose ore notturne ci aveva pensato, a quelle cose che aveva detto a Chernon inconsapevolmente. — Temo di averne rivelati alcuni a Chernon.
— Per esempio?
— Per esempio come facciamo a sapere di chi è figlio un neonato… il test del sangue.
Morgot non disse nulla per qualche attimo. — Be’, questo non è veramente un segreto, Stavia. Chernon potrebbe non tornare mai qui. Se lo farà e se racconterà ai guerrieri tutto quello che ha saputo da te, non ha veramente importanza.
— Gli ho detto degli impianti contraccettivi.
— Avremmo preferito che non lo sapessero ma questo non provocherà dei danni gravi. Usiamo gli impianti per parecchie cose oltre che per la contraccezione. Si può sistemare tutto, credo. — Cadde un altro silenzio di attesa. — Sei incinta, vero?
— Penso di sì. Chernon mi ha tolto l’impianto un po’ di tempo fa.
— È stato questo che ha spaventato Joshua e Corrig. Ho visto il taglio. Un lavoro non molto ben fatto.
— Non credo a Chernon importasse.
— No, forse no. Ma la domanda è un’altra: lo vuoi o no questo bambino?
Stavia girò il capo con aria stanca; lo voleva quel figlio? Oltre la rabbia che provava verso Chernon c’erano molte ragioni per non volerlo, la sensazione bruciante che provava quando pensava a lui come a una ferita che andava cauterizzata, qualcosa che richiedeva un dolore lancinante per poter guarire. — C’è qualche ragione di salute perché non dovrei tenerlo? — chiese lei, cercando una scusa.
— Non ne siamo sicure. Le ferite che hai sulla schiena sono solo superficiali. Dolorose perché si sono infettate. A meno che non ci sia qualcosa d’altro, qualcosa che non riusciamo a vedere, potrai portare a termine la gravidanza senza danni fisici.
— Bene allora. Cosa aveva detto Myra, quella volta? “Prima o poi si deve pur cominciare.” — Non era così che la pensava ma era troppo malata per rendersi conto realmente di quali fossero i suoi sentimenti. Se si fosse lasciata andare all’ira, essa l’avrebbe sopraffatta, trascinandola via e non avrebbe più ritrovato se stessa. Sebbene ogni giorno fossero più lunghi i periodi in cui era cosciente, non si sentiva più forte; e neppure in grado di affrontare la vita. Non voleva sentire nulla, decidere nulla.
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