— Ne avrai bisogno — le dissero — se vivrai, saranno la tua dote.
Udì la voce di un uomo piena di furia repressa. — Rimettetela nella piccola stanza sul retro e chiudetela dentro.
Chernon obiettò a quella decisone. — Sta morendo. Non può muoversi. Deve esserci qualcun’altra che sappia guarire…
— Susannah era l’unica. Non perderemo altro tempo andando in giro per le montagne a cercare qualcun altro; lascia che muoia se deve morire. Dipende tutto dalla volontà del Padre di Tutti, comunque.
La voce di Chernon ancora, e il rumore di un colpo e poi nulla, salvo il silenzio e una fitta oscurità con tutte le renne intorno a lei, con il loro odore acido, animalesco che le riempiva le narici.
— Se vivrai — le dissero le renne — avrai bisogno di noi. — Rimasero con lei, guidandola attraverso la profonda oscurità fino a quando lei credette di essere svanita per sempre.
Diligenza, il figlio di ventotto anni di Riscelta Brome, aveva riportato indietro una pecora recalcitrante che sembrava posseduta da un demone. Era uno dei piccoli arieti catturati alle donne-demonio, il che spiegava la cocciutaggine dell’animale, ma che lo rendeva anche di valore. Questo significava che Diligenza non poteva limitarsi a ucciderlo e lasciarlo in pasto ai coyote, sebbene sperasse ardentemente che questo avvenisse uno di quei giorni, quando lui non sarebbe stato considerato responsabile. Non osava sfidare il padre per il momento; nessun osava farlo per il momento, neanche nelle piccole cose. Era stato solo il giorno prima che Susannah si era impiccata con quella vecchia corda, solo ieri che la donna-demone era stata rinchiusa nella stanza in fondo alla casa di papà per vedere se fosse vissuta o sarebbe morta. Non era trascorso neppure un giorno che quel giovanotto proveniente dal mondo esterno aveva sfidato papà ed era stato messo fuori combattimento. Non aveva avuto neppure il tempo di creare fastidi, da come la vedeva Diligenza, così era andato dietro all’agnello finché non lo aveva trovato, cosa che gli aveva portato via tutto il giorno.
Aveva appena chiuso l’animale nel recinto al calar delle tenebre, ed era sul punto di avviarsi sul sentiero che portava alla Casa degli Scapoli quando qualcosa uscì dagli alberi gettandosi su di lui.
Aveva zanne e le zanne scintillavano. Vide solo quello. Aveva un muso troppo grande per qualsiasi animale di sua conoscenza; la mente gli si ottenebrò per il panico e cercò di evitarlo saltando tra gli alberi lungo il sentiero ma qualcosa di invisibile lo teneva legato a lui e la cosa successiva di cui si rese conto fu che giaceva sulla pancia con la testa tenuta per i capelli e quell’invisibile cosa era seduta su di lui, mentre le zanne luccicanti e gli occhi scintillanti si muovevano come se ci fossero tre o quattro altre cose che venivano verso di lui nella notte.
— Chernon? — chiese una voce orribile e riecheggiante. — Dov’è il nostro amico Chernon?
Diligenza non riusciva a pensare. Non sapeva chi fosse Chernon. Gemette, schizzando qualcosa dalla bocca mentre una delle orribili cose gli provocava un forte dolore alla mano. — Aaaggh — gemette quasi urlando. — Non lo so. Cosa è? — La cosa lo lasciò per un attimo — La tua gente ha preso un uomo e una donna. Il nome dell’uomo è Chernon. Non è veramente un uomo. È un demone; è un nostro amico e noi vogliamo sapere dove si trova.
— Nella casa di papà — gemette Diligenza. — È nella casa di papà con la donna. Cappy l’ha colpita con una pala e lei non riesce più a parlare da quel momento…
— Ahh — disse la voce profonda che già sapeva che Stavia era stata ferita malamente. — C’è un angelo che verrà a prendere la donna. Non avreste dovuto ferirla. Era una cosa che non dovevate fare. — Più tardi, ricordando, Diligenza ebbe la strana idea che nella voce ci fosse una sfumatura di dolore, ma al momento non riuscì a pensare a nulla del genere perché qualcosa lo colpì dietro l’orecchio con una specie di lampo fiammeggiante e non capì più niente.
— Cappy — disse una delle invisibili creature. — Deve essere uno dei giovani che vivono nelle baracche; mi occuperò io di lui.
— Terremo le maschere in modo da creare ancora l’idea che si tratti di demoni — disse la voce profonda — la Casa del Padre dovrebbe essere in cima a quella collina.
— Ci vorrà un’ora.
— Circa.
— Chi ha le penne?
— Io. Le ho portate io.
Quasi per un colpo di fortuna, Cappy Brome stava lasciando la Casa degli Scapoli per andare al bagno quando la cosa invisibile lo prese e lo gettò a terra con il viso nella polvere, schiacciandolo.
— Cappy? — gli sussurrò un voce. — Tu sei Cappy?
Sebbene quasi paralizzato dalla paura Cappy riuscì a fare un cenno di assenso. La cosa seduta su di lui sembrò soddisfatta. — Quella donna che hai colpito con la pala, era una santa donna — disse la voce — È una guaritrice.
Cappy si contrasse cercando di liberarsi del suo avversario. — È una puttana — urlò. — Se ne va in giro mostrando i capelli e il corpo. Avrebbe dovuto essere una puttana di Babilonia. Stava cercando di fuggire…
— Umm — disse la voce. — È ovvio che questa discussione non ti farà cambiare idea; lo farò io, del resto, semplicemente segnando il mio marchio col sangue. — In quel momento Cappy sentì che un pugnale gli lacerava la camicia. — Un angelo è venuto a salvarla — disse la voce sottolineando l’osservazione con punture e tagli del pugnale. — Ricordalo! — Poi qualcosa colpì Cappy sulla testa e la creatura scomparve.
Dalla valle vennero grida confuse; il fuoco stava bruciando nel fienile del vecchio Brome.
— Buona idea — disse la cosa invisibile, muovendosi verso la Casa degli Scapoli. Dopo un poco il fuoco raggiunse anche quest’ultima e fu nutrito da manciate di paglia.
All’interno della piccola e disordinata stanza della casa del vecchio Brome, Stavia giaceva stupefatta nelle tenebre. Di tanto in tanto, l’oscurità ondeggiava aprendo uno spiraglio, lasciando scorgere al centro uno spazio grigio dal quale, a volte, proveniva un suono. Quella volta si trattava di uno colpo battuto alla finestra, dolcemente, come se un ramoscello spinto dal vento avesse colpito il vetro. Persino nel suo dolore, nella nebbia grigiastra che l’avviluppava, stordendola, si disse che non era vento, che non c’erano alberi quindi non poteva essere un ramo ad aver colpito la finestra. Nella sua mente il ramoscello ondeggiò, diventando un albero, una foresta e ancora una volta si fece tenebra, piena di enormi belve cornute che muggivano al cielo. — Vieni, Stavia — gridavano.
— Stavia — sussurrò qualcuno evocando nuovamente la zona grigia.
Lei poteva solamente gemere. Era quello che ci voleva, un gemito imperativo, forte a sufficienza in modo che il ramo, la foresta e le tenebre potessero sapere dove si trovava. Eppure gemette piano. Poi fece nuovamente sentire la sua voce; il rischio di provare altro dolore valeva la pena se serviva per esprimere la sua sofferenza. Qualcosa le faceva male. Da qualche parte aveva male. Stava nel mezzo di un gorgo di dolore.
Forse era un sussurro quello che aveva udito fuori dalla finestra. Non poteva esserne sicura. Non importava. Il gemito le aveva preso sin troppa energia. Non se ne stupì. Di nuovo calarono le tenebre ululanti.
Lontano, fuori, forse sopra la collina oppure oltre qualche crepaccio nella notte tenebrosa, si udiva un grande rumore cui era difficile dare una definizione. Uno scoppio, che si propagava in tutte le direzioni, accompagnato da un clangore di voci e grida di agonia.
Sopra di lei in casa qualcuno urlava, si muoveva, imprecava; passi pesanti risuonarono lungo la scala che portava al piano di sotto. Voci che urlavano tutte assieme. Porte sbattute. Una confusione di rumori là, un’altra là e poi le due voci che si muovevano verso una terza, con cui si mescolavano come brutti colori nell’acqua.
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