Sheri Tepper - Cronache del dopoguerra

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Cronache del dopoguerra: краткое содержание, описание и аннотация

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Sono passati duecento anni dall’ultimo olocausto ma il dopoguerra dura ancora. Una parte del genere umano (le donne di Marthatown e di altri centri abitati pacifisti) hanno imparato la lezione e giurato di non riprendere più le armi, ma altri la pensano diversamente. Per molti fare la guerra è sinonimo di onore, di uno stile di vita eroico e irrinunciabile. Così, in alcuni avamposti militari disseminati sul pianeta attecchisce una civiltà aggressiva che si identifica con uomini non disposti a fare ammenda del passato. Per Stavia, una giovane dottoressa, non è facile convincere il compagno Chernon a rinunciare alla via della violenza, tanto più che i due devono compiere insieme una missione che non si prospetta facile. Presto dovranno misurarsi entrambi con mille difficoltà e pericoli, e allora non sarà Chernon il solo a dover fare una scelta radicale: anche Stavia si renderà conto che l’utopia potrebbe avere i giorni contati.

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I nove decimi del suo pensiero cosciente erano occupati da pensieri lubrichi, non poteva negarlo, né faceva alcuno sforzo — una volta che le tenebre scendevano e gli effetti fisici delle sue fantasticherie diventavano ovvi — per tenere a freno quei pensieri che erano sempre più strani, impazienti ed estremamente piacevoli. Oh, sì, la voleva, la voleva per lui, per lui, senza preoccuparsi di incertezze o problemi. Gli costava fatica attendere di percorrere la distanza che separava la sua posizione attuale dal luogo dove tutto sarebbe accaduto. Fino a quel momento preferiva non preoccuparsi senza ragione per questioni secondarie e scrupoli di coscienza. — Di quali carte stai parlando? — ripeté con la voce roca di tumida impazienza. Tonia protese il capo dalla porta aperta nella parte frontale del carro, dietro il sedile, e gli mostrò il mazzo di carte a faccia in su che teneva nel palmo della mano. — Le carte del destino, Chernon. Non le hai mai viste prima?

— Ti spiegherò cosa sono — disse Kostia sbucando da dietro la spalla di Tonia. — Ci sono quattro semi nel mazzo, uno per ogni stagione; ogni seme ha un Re e una Regina e un’altra figura come la triade reale — porse a Septemius una bottiglia di vino e quattro coppe, badando di distribuirne equamente il contenuto; c’era un’altra bottiglia dietro di lei. Kostia e Tonia avevano deciso di far ubriacare Chernon almeno un poco.

— Nel seme di Primavera — disse Tonia — il Re porta uno scettro di fiori e la Regina è incinta, mentre il Mago di Primavera guarda sia verso i campi pieni di frutti e il caldo sia verso il freddo.

— Nel seme d’Estate il Re conduce una coppia di buoi — continuò Kostia, porgendo a Chernon la coppa ricolma. Indicò una carta. — Sono questi i buoi. Una specie di mucche. Non ce ne sono più. La Regina porta abbondanza di grano, frutta e verdure. La Profetessa d’Estate è nuda sotto la veste trasparente; indossa una foglia di edera e porta davanti a sé un aspersorio d’incenso. Il fumo le nasconde il volto.

Tonia continuò la storia. — Il Re d’Autunno ha la barba grigia e porta un bastone di quercia in cima al quale ci sono delle foglie rosse. La Regina alza le mani e da esse cade la pioggia sui campi. Il Guerriero d’Autunno si appoggia alla sua spada.

— Alla fine — concluse Kostia — in Inverno si vede il Re trascinato dalle renne sul suo cocchio. Non ce ne sono più neanche di quelle…

— So cosa sono le renne — borbottò Chernon, che aveva quasi prosciugato la sua coppa di vino.

— Il Re ha una barba bianca e una veste rosso sangue. Poi ci sono la Regina con la cappa scura che si staglia davanti alle stelle e la Principessa d’Inverno, avvolta in una pelliccia, con gli occhi di fuoco che possono gelare o ardere a sua scelta. Ha un pugnale in una mano e una spiga di grano nell’altra per nutrire gli animali. Il segno del seme di Primavera è il bocciolo, dell’Estate il grano maturo, dell’Autunno la foglia di quercia e dell’Inverno la foglia di agrifoglio. Ci sono dieci carte numerate in ogni seme — tornò a riempire la coppa di Chernon.

Chernon porse le redini a Septemius e prese le carte che la ragazza gli aveva offerto, sfogliandole. Erano magnificamente dipinte a mano e verniciate, solo i bordi erano leggermente consunti. Ne depose due sul sedile del carro. Il cinque di agrifoglio e l’asso di grano. Kostia sospirò.

— Un sospiro pesante — la canzonò Chernon — carte sfortunate?

— L’asso di grano significa distruzione — rispose lei.

— Perché? — Mostrava un uomo con un falcetto alla cintura con una singola spiga tra le mani. La testa dell’uomo era rivolta all’indietro in modo che fosse impossibile vederne gli occhi, ma la bocca era aperta e i nervi del collo erano tesi come se avesse appena urlato o imprecato. — A me sembra rappresenti un raccolto.

— Ha tagliato il grano ma non ha seminato — disse Tonia. — Il cinque di agrifoglio mostra un albero con cinque rami, gravato dalla neve con lo sfondo del cielo grigio. Si trova a metà del mazzo, non troppo presto, non troppo tardi. Non ci sono figure in questa carta. È una carta di attesa. Una carta che simboleggia il passaggio del tempo.

— Non puoi fermarti a due carte — intervenne Kostia — devi scartarne ancora una, almeno.

— Perché? — chiese nuovamente lui con cocciutaggine.

— Tre, cinque, sette, undici, o tredici — disse Kostia. — Numeri che non possono venir separati in parti uguali.

— Numeri primi — suggerì Septemius. — Numeri divisibili solo per se stessi. Hanno sempre avuto un significato arcano.

— Oh, va bene — disse Chernon, con un sorriso che voleva lasciar intendere che non credeva o comunque che non si preoccupava di tutto ciò. Prese un’altra carta e la mise vicino alle altre due che già stavano sul sedile. Kostia trattenne il fiato e gli portò via le carte. — Be’, hai scelto la Principessa d’Inverno, Chernon.

— E cosa significa? — Vuotò la sua coppa un’altra volta e riprese le redini dalle mani di Septemius. — Senza dubbio qualcosa di orribile.

— No — disse lei. — Solo che ti aspetta una donna che può essere sia un’amante che una nemica.

— Stronzate — disse lui rudemente. — Ecco cosa sono. Naturale che il tempo passi, che avvengano delle distruzioni e tutte le donne possono essere amanti o nemiche, a volte entrambe le cose. Mi avete detto solo cose ovvie o inevitabili.

Kostia gli lanciò uno sguardo offeso e chiuse la porta silenziosamente lasciando la bottiglia sul sedile del carro.

Chernon rise mentre riempiva nuovamente la coppa. Ne aveva abbastanza delle fattucchiere. Lanciò a Septemius un’occhiata di sguincio sorprendendo un’espressione turbata sul suo volto. — Non crederai mica a quella roba, eh, mago? Proprio tu? Tu che per vivere prendi in giro la gente con questi trucchi? — Chernon aveva già da lungo tempo deciso che era necessario che lui non si preoccupasse di quello che Septemius poteva dire, fare o pensare. Nessuno avrebbe dato credito a un mago vagabondo, e quando i guerrieri avessero preso la città, il vecchio e le ragazze avrebbero fatto quello che veniva detto loro di fare.

— Oh, sì — ammise il vecchio. — È così che mi guadagno da vivere. Fare in modo che la gente pensi di vedere quello che non vede. Far credere alla gente che ho fatto quello che non ho fatto. Conosco tutte le bugie che la gente ama raccontarsi. Io li aiuto a mentire a se stessi, è la mia abilità. E io, Septemius Bird, ti dico, Chernon, che quando Kostia e Tonia leggono le carte, spesso dicono più verità di quello che io voglia sapere.

— Meglio per me, allora, che ho letto da solo le carte — replicò Chernon — aizzando i muli. Aveva fretta di giungere a destinazione. — Be’, le carte hanno ragione, Septemius. Il tempo passerà. Posso tagliare qualche ramo lungo la strada, per il nostro bivacco e questo sicuramente avvererà la predizione riguardo alla distruzione. Potrei trovare la Sacerdotessa d’Estate, lo sai? Quella con il viso nascosto. Quando incontrerò Stavia, vedrò il suo corpo — scoppiò in una risata volgare, lubrica, che tradiva molto più di quello che immaginava — ma forse non il suo volto. Nessuna di loro, delle abitanti del Paese delle Donne, ci mostra mai il suo vero volto, non lo sai?

— Mi soprende che tu lo dica — nella voce di Septemius c’era una nota più aspra di quanto egli volesse. Questa volta fu lui a riempire la coppa di Chernon.

— Oh, non sono stupido, mago. Ci ho pensato molto, sai? Ho potuto leggere dei libri prima che Stavia decidesse di tradirmi e di non darmeli più; sono riuscito comunque a tenermene uno, che apparteneva a mia sorella Beneda. Gliel’ho rubato. Non se ne è neanche accorta; Beneda non è molto portata alla lettura comunque.

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