Sheri Tepper - Cronache del dopoguerra

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Cronache del dopoguerra: краткое содержание, описание и аннотация

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Sono passati duecento anni dall’ultimo olocausto ma il dopoguerra dura ancora. Una parte del genere umano (le donne di Marthatown e di altri centri abitati pacifisti) hanno imparato la lezione e giurato di non riprendere più le armi, ma altri la pensano diversamente. Per molti fare la guerra è sinonimo di onore, di uno stile di vita eroico e irrinunciabile. Così, in alcuni avamposti militari disseminati sul pianeta attecchisce una civiltà aggressiva che si identifica con uomini non disposti a fare ammenda del passato. Per Stavia, una giovane dottoressa, non è facile convincere il compagno Chernon a rinunciare alla via della violenza, tanto più che i due devono compiere insieme una missione che non si prospetta facile. Presto dovranno misurarsi entrambi con mille difficoltà e pericoli, e allora non sarà Chernon il solo a dover fare una scelta radicale: anche Stavia si renderà conto che l’utopia potrebbe avere i giorni contati.

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— Sono sufficienti? — chiese l’uomo spingendo alcune scatole vuote attraverso la soglia. — Ho pensato che sarebbe stato più facile spostarne diverse più piccole piuttosto che una grossa e nel magazzino ce ne sono parecchie.

— Non lo so — disse lei alquanto incerta, osservando la stanza. — Puoi ripetermi il tuo nome?

— Corrig. Sono ritornato dalla porta con Habby.

— Davvero? Io me ne sono andata all’Istituto poco dopo. — Si volse per osservarlo più da vicino. Era alto, magro, tuttavia dotato di lunghi muscoli: strano, aveva una luce negli occhi molto simile a quella che lei stessa e Morgot possedevano, teneva la spessa capigliatura scura raccolta in una treccia come era abitudine dei servitori, salvo alcune ciocche che ricadevano sulla fronte e sulle orecchie. Aveva la bocca larga, mobile, con il labbro superiore arricciato verso il basso in modo che si vedeva chiaramente solo la pienezza di quello inferiore. Aveva mani grandi molto ben modellate. Possedeva anche una voce profonda e vibrante che aveva già attirato l’attenzione della direttrice del coro. — Dove eri andato? Non sei venuto qui subito. Donal era ancora qui, quando me ne sono andata.

— Ero stato assegnato alla casa di una componente del Concilio che viveva verso la porta orientale. Ci sono rimasto per tre anni, finché non è morta. Donal è stato mandato fuori città per ricevere un qualche tipo di istruzione, e io sentivo già di conoscere la vostra famiglia a causa di Habby. Così ho chiesto di essere assegnato qui al posto di Donal. Ora mi sembra che sia sempre stata casa mia. Ti pare strano?

— Devono essere avvenuti dei cambiamenti a Marthatown — disse lei divertita. — La gente cresce. La gente va. Il Comandante Sandom è morto.

Corrig assentì. — Assieme al Vicecomandante e ad altri ufficiali.

— Sono scomparse anche diverse delle componenti più anziane del Concilio.

— Volevo chiedere se ti sembra strana questa casa.

— È strana ma la casa mi è familiare. È solo questa stanza che mi sembra singolare. Estranea, per la verità. Ti piace questo posto? Sei soddisfatto?

— Tua madre è una donna forte e interessante. Sono molto compiaciuto della compagnia di Joshua. L’associazione è fonte di sostegno e comprensione. Tua sorella era molto turbata quando venni qui. Penso che Morgot le abbia chiesto di andarsene poco dopo la mia venuta.

— Sì — mormorò Stavia. — Ho sentito.

Stavia aveva incontrato Myra un giorno al granaio.

— Non sapevo che fossi tornata dai tuoi studi — le aveva detto Myra con freddezza.

— Oh, sì, infatti sono tornata qualche tempo fa.

— Direi che sei cambiata. — Myra le aveva riservato un’occhiata clinica. — Sei bellissima. Ma immagino che tu lo sappia.

— No, non lo sapevo; è carino da parte tua dirlo. Ti piace il posto dove vivi adesso?

— È meglio che a casa di Morgot — aveva detto Myra con una smorfia di disagio. — Non ci sono servitori, per prima cosa. Zia Margaret è molto più comprensiva di quanto non lo fosse Morgot. Capisce i sentimenti degli altri.

— Be’, sono certa che Morgot abbia provato…

— No. Non la perdonerò mai per avermi scacciato. Mai!

— Ma tu non sopportavi di vivere con i servitori, Myra.

— Morgot ha scelto chi tenere — aveva detto lei cupamente. — Ha scelto di tenere lui e mandare via me. Non le è mai importato nulla di me. Ho la mia vita da vivere. Marcus è andato alla guarnigione. Il Baby Barten andrà presto e ne rimarrà solo uno a casa…

— Ne avrai degli altri.

— No, non posso. Ho avuto un’infezione dopo l’ultimo. Le dottoresse mi hanno dovuto fare una isterectomia…

— Mi spiace — aveva mormorato Stavia. — Mi spiace veramente.

— A me no. Tre figli sono sufficienti. Anche Morgot è d’accordo; ora posso fare quello che voglio.

Stavia non le aveva chiesto delle spiegazioni in proposito. L’espressione ferita comparsa sul viso di Myra le aveva ricordato troppo da vicino quella di un’altra persona. Non aveva voluto sapere cosa Myra volesse; le era stato difficile considerarla ancora sua sorella.

Stavia tornò al presente rivolgendo una domanda a Corrig. — Myra non viene mai qui in visita?

— Una volta ogni tanto, sì. Di tanto in tanto lascia qui il piccolo quando lei va da qualche altra parte. Ne sono felice anche se mi fa molta pena.

— Povera Myra.

— Myra avrebbe dovuto essere un uomo. Le sarebbe piaciuta la vita della guarnigione e sarebbe stata felice. Lei è come i guerrieri, vive di carnevale in carnevale, di gioco in gioco, di guerra in guerra, raccontandosi nel frattempo delle romanticherie sull’onore e sulla gloria. Va persino a vedere le gare sportive dalle mura, per fare il tifo per la centuria alla quale aveva appartenuto Barten.

Stavia assentì, rattristata. — Non so cosa farà quando tutti i suoi figli saranno andati alla guarnigione.

Corrig le posò una mano sulla spalla, comportandosi con una tale confidenza come se l’avesse conosciuta da sempre. — Danzerà. Penso che sia tutto quello che abbia sempre voluto fare.

Era vero. La danza era l’unica cosa che Myra avesse amato, se le fosse stato permesso di non far altro che danzare, avrebbe avuto molto successo. I comandamenti però imponevano che assieme all’arte una persona si impratichisse anche in un’attività scientifica e in una artigianale e Myra non aveva trovato niente che l’avesse soddisfatta, anche se Morgot aveva fatto tutto quanto era in suo potere per aiutarla. Ceramica, carpenteria, giardinaggio, costruzione, Myra aveva rifiutato di impegnarsi in tutte quelle attività così come in medicina, ingegneria e chimica. Non aveva voluto aver nulla a che fare con nessuna attività che non fosse la danza. Ma di quale utilità avrebbe potuto essere una donna che si occupava solo di danza? Una volta vecchia, cosa mai avrebbe potuto fare? Così, Myra si era dedicata con scarso impegno alla matematica, e al cucito a sufficienza per tessere alcune coperte e per insegnare alle ragazzine dell’asilo, odiando ogni attimo che non poteva trascorrere in palestra.

Forse, se l’avessero lasciata danzare senza imporle altre attività, non sarebbe finita nelle braccia di Barten in maniera così famelica come era avvenuto. Come se non avesse avuto niente di suo. Come se avesse avuto bisogno di lui per essere qualcuno. Forse se i comandamenti non fossero stati così esigenti, Myra avrebbe potuto essere più felice con se stessa. Non era la prima volta che Stavia aveva di quei pensieri.

— Myra è così… oh, non so; ha comincianto a coltivare tutte quelle idee per colpa di Barten? È strano il modo in cui riescono a inculcare le loro idee. Morgot e io abbiamo sempre sperato che le avrebbe superate ma non è andata così. Si comporta sempre così male con Joshua? E con te?

Lui si strinse nelle spalle con un sorriso. — La ignoriamo, Stavia, il che offende la sua convinzione di essere importante. Be’, sono sufficienti queste scatole?

— Vedremo — disse lei, spostandosi con aria interrogativa tra gli scaffali mentre cominciava a riporre le sue cose: un brutto soprammobile fatto di conchiglie, un orsetto mal intagliato in un tocco di legno, un alfabeto stampato a grandi lettere chiaramente usato da generazioni di bambini. Senza dire una parola il servitore aprì il sacco di stracci che aveva portato con sé e cominciò a riporre gli oggetti che Stavia gli porgeva.

Un’ora dopo, la stanza era più vuota. Aveva tenuto pochi libri, lo specchio nella sua cornice intarsiata, le bellissime bambole che le aveva scolpito Joshua quando era bambina e i cuscini che aveva cucito Morgot con lana multicolore. Tutto il resto era stato spazzato via per lasciar spazio solo a un letto, alla sedia, agli scaffali vuoti e a un tavolo da lavoro spoglio come le pareti.

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