Sheri Tepper - Cronache del dopoguerra

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Cronache del dopoguerra: краткое содержание, описание и аннотация

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Sono passati duecento anni dall’ultimo olocausto ma il dopoguerra dura ancora. Una parte del genere umano (le donne di Marthatown e di altri centri abitati pacifisti) hanno imparato la lezione e giurato di non riprendere più le armi, ma altri la pensano diversamente. Per molti fare la guerra è sinonimo di onore, di uno stile di vita eroico e irrinunciabile. Così, in alcuni avamposti militari disseminati sul pianeta attecchisce una civiltà aggressiva che si identifica con uomini non disposti a fare ammenda del passato. Per Stavia, una giovane dottoressa, non è facile convincere il compagno Chernon a rinunciare alla via della violenza, tanto più che i due devono compiere insieme una missione che non si prospetta facile. Presto dovranno misurarsi entrambi con mille difficoltà e pericoli, e allora non sarà Chernon il solo a dover fare una scelta radicale: anche Stavia si renderà conto che l’utopia potrebbe avere i giorni contati.

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Ogni volta che la vita della guarnigione si faceva noiosa, triste o spaventosa, lui si perdeva in sogni a occhi aperti di altri luoghi dove avrebbe voluto andare. Poteva così ignorare le seccature della vita di guarnigione. La guarnigione era solo il posto che conosceva, un luogo che avrebbe lasciato molto presto, in un battito d’occhi, quando ne avesse avuto voglia. Per il momento, non aveva ancora deciso di farlo; nel frattempo avrebbe fatto quello che la guarnigione gli richiedeva; ma sarebbe venuto il giorno in cui ciò non sarebbe stato più necessario. Del resto, per il momento non poteva abbandonare i feriti, non poteva lasciare Casimur.

Infine Casimur morì, permettendo a Chernon di tornare a dormire alle camerate dei quindicenni, nelle quali continuò ad agitarsi martoriando il cuscino come prima. Anche se era venuto il momento di pensare all’onore, non pensava all’ onore di Casimur, né al suo. Il suo sogno lo portava in luoghi che stavano oltre l’onore; posti scuri e misteriosi al termine di un viaggio che ancora non aveva iniziato. Nel sogno andava in cerca di quei posti, attraverso profondi tunnel e riecheggianti taverne, e, a volte, quasi riusciva a trovarli. — Segreti? — sussurrò una volta nel sogno pregando le tenebre prive di volto di spiegargli perché lui si trovava ancora là, ancora nella guarnigione quando c’era un altro luogo che lo aspettava.

Dal tetto dell’ armeria rullava un tamburo.

I soliti rumori mattutini. Nella camerata c’era più silenzio del solito perché quello era il giorno della scelta e alcuni dei giovani di quindici anni stavano per attraversare la Porta delle Donne. Tutti nella centuria lo sapevano da qualche tempo; non che qualcuno dicesse qualcosa. Quelli che pensavano di andarsene potevano cambiare idea. All’ultimo momento potevano decidere di compiere il loro dovere e comportarsi con onore, purché non fossero stati insultati. Così nessuno diceva nulla.

Chernon si sedette, facendo penzolare le gambe dal bordo della branda, evitando di guardare Habby che stava alla sua sinistra. Habby avrebbe attraversato la Porta delle Donne. E con lui Breten, e Garret e Dorf. E Corrig, naturalmente. E questo era un bene!

— Chernon! — era solo un mormorio, ma lo costrinse ad alzare lo sguardo. Habby gli stava tendendo la mano. — Chernon, non avrò altra occasione per salutarti.

Chernon ignorò la mano. Non voleva che lo vedessero stringere la mano ad Habby. Habby era il fratello di Stavia e non voleva che nel Paese delle Donne circolassero delle storie. Michael comunque diceva che avevano ancora bisogno di Stavia. Meglio lasciare Habby con un gesto che Stavia avrebbe apprezzato.

— Wills e il suo gruppo potrebbero tentare di suonarle a te e ai tuoi dannati amici — disse con calcolato candore. Avvertirlo non significava prendere le sue parti. Si era ripromesso di non farlo.

— Lo so, ma noi siamo cinque e ci terremo uniti. Hai qualche messaggio per Stavia?

Chernon scosse il capo, mantenendo distante il tono della voce. Anche se avesse avuto un messaggio per la ragazza non glielo avrebbe mandato tramite il fratello. — Le ho spiegato perché ho deciso di restare.

— La guerra è finita, Chernon.

— Sarebbe da vigliacchi tornare indietro adesso. — Era un commento duro. Era quello che aveva già detto altre volte. Erano le parole rudi di un guerriero e nessuno poteva rimproverarlo per averle dette.

— Trovano sempre un modo di farti sembrare un vigliacco. Non importa quando lo fai. — Habby gli stava rivolgendo uno sguardo strano, grattandosi la fronte come se gli facesse male.

— È una questione d’onore — disse lui cocciuto. — Bisogna comportarsi con onore. — Sebbene avesse sognato di lasciare la guarnigione migliaia di volte non aveva pensato mai neanche una volta di passare attraverso la Porta del Paese delle Donne. La sua partenza, nei sogni, era stata sempre diversa da quella. Un caso del destino. Qualcosa di totalmente inevitabile. Qualcosa che sarebbe semplicemente accaduto, come una tempesta, l’inverno. Qualcosa per cui non avrebbe potuto essere rimproverato. — È una questione d’onore — ripeté.

Habby si strinse nelle spalle. — È solo il modo in cui lo chiama la guarnigione, Chernon. Io non la penso così e non voglio litigare con te.

Chernon si volse, tentando di dominare l’ira. Stavia gli aveva detto la stessa cosa. E anche Beneda.

E anche sua madre. — L’onore è solo un’etichetta per quello che loro vogliono che tu faccia, Chernon. Loro vogliono che tu rimanga e allora dicono che è una cosa onorevole.

— Vuoi che torni? Pensi che sia onorevole?

— No — aveva detto sua madre Sylvia. — Anche se ci costa un grande sforzo cerchiamo di non definire cosa sia tornare, Chernon. Ti stavo solo dicendo che ti vogliamo bene e che vorremmo che tu tornassi a casa.

E Stavia gli aveva detto la stessa cosa. Niente libri. — Devi fare la tua scelta, Chernon. Non posso continuare a infrangere le regole mentre aspetto che tu faccia la tua scelta. Io devo decidere adesso se confessare ed essere punita per quello che ho fatto. Devi scegliere un modo di vita o l’altro. Non entrambi.

Lui poi si era messo a piangere, soprattutto per la rabbia. In seguito aveva rimpianto di aver versato quelle lacrime. Quando piangi dai agli altri un potere su di te. Non devi piangere mai. Aveva cercato di vedere ancora una volta Stavia, per dirle che quelle lacrime non significavano nulla, ma lei se n’era andata. Andata via. Per molto tempo. Anni forse.

Si alzò e cominciò a vestirsi, senza rivolgere più la parola ad Habby. Non c’era nessun vantaggio a complicarsi la vita. Wills non faceva molto caso a chi pestava e se non fosse riuscito a mettere le mani su Habby si sarebbe accontentato di Chernon. Wills era un poco come Barten. Un bullo che non la smetteva mai di picchiare sulla grancassa. Era sempre là a gridare “all’attacco!” anche quando non c’era ragione per farlo. Era sempre pronto a dare a qualcuno del servitore, del poppante o del mostro. Ora, Corrig era veramente un mostro, un uomo selvaggio. Corrig sarebbe tornato dalla porta e a nessuno sarebbe importato. Lui e quei suoi strani occhi che vedevano cose che gli altri non potevano scorgere, lui che sapeva cose che gli altri non volevano sapere. Tutti sarebbero stati meglio senza di lui.

Era una mattina fredda, maleodorante, umida e il vento sibilava dal mare. Chernon indossò la sua cappa e infilò i calzettoni di lana lunghi sino alla coscia prima di mettere gli stivali. I calzettoni si allacciavano alla cintura e lui lottò con la fibbia. Intorno a lui tutti gli altri stavano facendo la stessa cosa, salvo Habby, Corrig e gli altri tre. Si erano riuniti assieme in fondo alla stanza, in attesa di uscire a piedi nudi, vestiti di nient’altro che delle tuniche. Habby era furbo. Habby doveva aver pianificato tutto ciò. Una tunica si leva in fretta. Nulla da togliere o da sbottonare. Non c’era la possibilità di colpire uno che si era chinato a slacciare gli stivali se era già a piedi nudi. Meno vestiti si era quando si faceva la scelta, più veloci ci si spogliava. E così si offrivano meno opportunità agli altri di picchiarti mentre ti stavi spogliando.

— Nudi passate dal grembo di vostra madre e nudi dovete tornare dalla Porta delle Donne. — Gli ufficiali avrebbero detto quelle parole quando li avrebbero introdotti nella stanza del cerimoniale sotto il muro. — Siete venuti al mondo sanguinanti e sanguinanti tornerete al Paese delle Donne — avrebbero potuto dire altri, sottolineando le parole con un lancio di pietre.

Poi sarebbero venuti gli insulti dalla guarnigione.

Chernon considerò la pratica degli insulti; in un certo modo, era quello che Vinsas aveva cercato di fare con Sylvia, una sorta di insulto… per ferirla. Qualcosa in tutto quel ragionamento era sgradevolmente disgustoso, come un piatto che uno non sa decidersi se apprezzare o meno e lui scacciò quei ragionamenti abbottonando strettamente la tunica per riparassi dal vento. Habby e gli altri non sembravano accorgersi del freddo. Se ne stavano silenziosi, pronti a tutto. Fuori, nell’ingresso, Wills stava cercando di aizzare alcuni dei suoi compagni senza grandi risultati. Habby era un buon combattente e, naturalmente, Corrig era pazzo. Corrig poteva ucciderti se lo voleva. Persino Wills, per quanto fosse stupido, lo sapeva.

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