Sheri Tepper - Cronache del dopoguerra

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Cronache del dopoguerra: краткое содержание, описание и аннотация

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Sono passati duecento anni dall’ultimo olocausto ma il dopoguerra dura ancora. Una parte del genere umano (le donne di Marthatown e di altri centri abitati pacifisti) hanno imparato la lezione e giurato di non riprendere più le armi, ma altri la pensano diversamente. Per molti fare la guerra è sinonimo di onore, di uno stile di vita eroico e irrinunciabile. Così, in alcuni avamposti militari disseminati sul pianeta attecchisce una civiltà aggressiva che si identifica con uomini non disposti a fare ammenda del passato. Per Stavia, una giovane dottoressa, non è facile convincere il compagno Chernon a rinunciare alla via della violenza, tanto più che i due devono compiere insieme una missione che non si prospetta facile. Presto dovranno misurarsi entrambi con mille difficoltà e pericoli, e allora non sarà Chernon il solo a dover fare una scelta radicale: anche Stavia si renderà conto che l’utopia potrebbe avere i giorni contati.

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Joshua le aveva suggerito cosa dire; — Non vogliamo fare sesso, signora, per favore; è come se fosse mio fratello, ha appena compiuto i quindici anni e vuole parlare con me. Lo sa come è… non ci sono posti tranquilli dove parlare.

Dopo aver scartabellato per un poco i registri la donna assentì: — Capisco. È il figlio di Sylvia, Chernon. Siamo vicini di casa.

— Sì, signora.

— Ti assegnerò l’ultima stanza vicino alla piazza, il primo giorno del carnevale alle sei del mattino. Un’ora prima che la casa sia aperta agli amanti, così avrai modo di chiacchierare in pace. — Aveva un’espressione differente adesso, quasi struggente, come se avesse avuto anche lei un fratello una volta, o un caro amico, e avesse voluto a sua volta avere a disposizione un momento di tranquillità. — Ti auguro buona fortuna, bimba mia. Convincilo a tornare a casa, se puoi.

Stavia avvampò. Era un segreto che tutte loro condividevano. Qualcuno da riportare a casa. Qualcuno che non sarebbe venuto.

Come sembrava stesse accadendo per Chernon.

— Devi darmi quel libro, Chernon. — Erano seduti fianco a fianco su una grande divano senza toccarsi, imbarazzati dal luogo e dall’occasione.

— Se me ne porterai uno in cambio, Stavia, come abbiamo sempre fatto — disse lui testardamente; con il labbro inferiore contratto per la rabbia. Si era aspettato che la ragazza venisse da lui molto prima accondiscendendo a tutte le sue richieste, come era avvenuto prima che rifiutasse di dargli altri libri. Michael gli aveva assicurato che lo avrebbe fatto.

— Non in cambio di niente? Oh, Chernon, possibile che tu non ti preoccupi per me? O per te stesso?

Cosa stava succedendo? Era sfuggente, si mordeva le guance, con gli occhi sfavillanti come se pensasse che lei lo stava intrappolando. — Sì, siamo amici.

— Non rischiare le nostre vite, Chernon.

Lui spalancò la bocca. — Cosa vuoi dire?

— Che se non lo riporto indietro dovrò parlarne al Concilio, Chernon. Ho infranto i comandamenti. Adesso stai veramente per diventare un guerriero; e io non posso continuare a infrangere le regole. Se non me lo ridai dovrò…

— Non farlo! — ribatté lui velocemente, sin troppo velocemente. Michael non avrebbe voluto che accadesse una cosa del genere. Michael non avrebbe voluto che il Concilio sapesse di lui e di Stavia!

— Del resto dovresti preoccuparti di quello che potrebbero farti i guerrieri!

Doveva distogliere la sua attenzione, distrarla. Alzò una mano per sfiorarle il viso, la soffice punta delle sue dita tracciò delle linee gentili sulle gote sino alla mascella, sulla sua bocca atteggiata come una maschera tragica. — Ti sei veramente preoccupata per me. Non so; pensavo semplicemente che stessi… che tentassi… di farmi tornare.

Lei stava veramente tentando. Stava ancora tentando, ma nulla sembrava avere successo.

— Io… te lo porterò questo pomeriggio — disse lui. — Te lo porterò al buco. — Lo avevano allargato quel buco. Adesso era quasi una finestra, che permetteva di far passare anche un libro. Quando Stavia si protendeva dalla parte interna delle mura e lui a da quella esterna, potevano toccarsi con le mani nel buio della pietra mentre l’albero oscurava la luce che colpiva il suo volto. Non riusciva mai a vederla ma lei poteva vedere lui. Lo sentiva vicino a sé in quei momenti, pur separato dallo spessore del muro, vicino eppure lontano come in quel momento.

Il ragazzo si preparò ad andarsene, ma Stavia lo fermò. — Rimani, Chernon. Abbiamo a disposizione questa stanza ancora per un’ora.

— No, no — rispose lui come se si sentisse ancora intrappolato. — Non posso. Non posso stare. Oh, Stavia…

Poi si mise in ginocchio vicino a lei con il capo posato sulle sue ginocchia, in lacrime, mentre lei cercava freneticamente di confortarlo.

— Non so cosa fare — piangeva, sorpreso a causa di quelle lacrime sincere e non premeditate. — Penso che dovrei rendertelo, ma poi non ne sono sicuro. A volte penso che dovrei fare qualcosa d’altro ma che sarebbe peggio. Non potrei far nulla che ti costringesse a odiarmi, Stavia. Ed è la stessa cosa per Michael… io non potrei. Lo sai. Non dovrei. Deve esserci qualcos’altro che io possa fare…

Lei lo abbracciò. Non chiese neppure cosa volesse dire con quelle parole. Non c’era nulla che potesse dire. Se gli diceva di amarlo lo avrebbe intrappolato ancora di più! Non poteva chiedergli di tornare a casa da lei, lo aveva già fatto. Era tutto nei comandamenti, quei comandamenti che lei aveva infranto. Tutto quello a cui riusciva a pensare erano le parole di Myra quando aveva visto il cadavere di Barten: “Oh, hanno ucciso anche lui alla fine!”. Era come se lei avesse ucciso Chernon. Se non gli avesse dato il primo libro, forse ora non avrebbe pianto. Lo aveva costretto a sbagliare, ferendolo. Si sentiva in colpa. In qualche modo, avrebbe dovuto provvedere. Giurò a se stessa che lo avrebbe fatto. In qualche modo.

Lo tenne stretto, cullandolo. Rimasero là finché una delle addette non venne a bussare alla porta dicendo che era venuto il momento di andarsene.

Joshua la stava aspettando a casa. La vide e la sua espressione cambiò. — Hai il libro?

— Mi ha detto che probabilmente lo porterà. Questo pomeriggio. — Si sentiva stordita per l’emozione, sofferente, colpevole.

— Raccontami, Stavia!

Lei temporeggiò. — È confuso, Joshua, questo è tutto. Non credo che si renda conto del pericolo che corre.

— Oggi verrò con te.

— Non dovresti…

— Per la Signora! Stavia, mi hai già coinvolto in questo affare fin sopra i capelli.

Tutto questo desiderio di infrangere le regole non era un bene. Quando andarono al buco nel muro, il libro era là, ma Chernon non c’era. Joshua, dopo una lunga e riflessiva occhiata al viso afflitto di Stavia, decise che era necessario fare qualcosa di drastico.

13

Le prove di Ifigenia a Troia. Stavia recita la parte di Ifigenia.

CASSANDRA: Ho visto il sangue…

ECUBA: Cassandra, siediti qui. ( Rivolta a Polissena ) Odisseo ha gettato dalle mura il figlio di Andromaca.

POLISSENA: Un peccato, sebbene non c’era d’aspettarsi altro da questi greci.

IFIGENIA: Provano altrettanta gioia a generare i figli che a ucciderli. Non c’è guerriero che non vorrebbe che suo figlio divenisse un guerriero a sua volta. ( Rivolta ad Andromaca ) Se Ettore fosse sopravvissuto non avrebbe forse insegnato a suo figlio a uccidere e a morire?

ANDROMACA: Lo avrebbe fatto, sì. Se fosse vissuto a sufficienza. Si sarebbe sentito disonorato se suo figlio non avesse scelto la spada.

IFIGENIA: ( Sorridendo al piccolo ) Allora è solo un bene che non sia sopravvissuto.

ANDROMACA: Parli di mio figlio o di mio marito?

IFIGENIA: Quale differenza fa? Parlo di entrambi.

POLISSENA: Chi sei tu per prenderti cura del figlio di Ettore?

IFIGENIA: Ifigenia, la figlia di Agamennone. Sono venuta a Troia per vendicarmi di chi mi ha assassinato.

CASSANDRA: Ho visto il sangue…

ECUBA: Taci, figlia, ti prego.

CASSANDRA: Sangue e corpi martoriati.

ECUBA: Shh, Cassandra. Lo sappiamo, cara. Abbiamo visto abbastanza sangue per tutto il resto della nostra vita. Sangue, bimbi uccisi e uomini massacrati. Non riesco a comprendere come i guerrieri possano vivere in mezzo a questo macello. Sembrano ricavare forza dai morti come gli Dei prendono forza dai sacrifici.

CASSANDRA: Bianchi altari rossi di sangue. Lordi di sangue che sgorga dal cuore. Corpi massacrati e sanguinanti.

ECUBA: Shh.

14

Per cinquanta giorni dopo la guerra con Susantown, Casimur, un guerriero di trentun anni, aveva atteso che la morte venisse a chiamarlo… aveva aspettato, diffondendo attorno a sé un odore nauseabondo e urlando finché tutti, nella casa dei Vecchi Guerrieri, erano stati costretti a tapparsi le orecchie con batuffoli di lana e a ubriacarsi per rendersi insensibili. Sarebbe stato un atto di pietà ucciderlo, un atto di pietà portargli l’Acqua della Fontana della Dolce Fine che le donne gli avevano offerto ma che lui aveva rifiutato. Anche adesso che era sicuro di morire, Casimur era molto preoccupato per il suo onore. Urlava a proposito di questo argomento continuamente, finché la gola non diventava secca per le grida e riusciva a emettere solo un rauco lamento, simile al rumore che produce una forchetta sfregata contro una pentola.

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