Sheri Tepper - Cronache del dopoguerra

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Cronache del dopoguerra: краткое содержание, описание и аннотация

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Sono passati duecento anni dall’ultimo olocausto ma il dopoguerra dura ancora. Una parte del genere umano (le donne di Marthatown e di altri centri abitati pacifisti) hanno imparato la lezione e giurato di non riprendere più le armi, ma altri la pensano diversamente. Per molti fare la guerra è sinonimo di onore, di uno stile di vita eroico e irrinunciabile. Così, in alcuni avamposti militari disseminati sul pianeta attecchisce una civiltà aggressiva che si identifica con uomini non disposti a fare ammenda del passato. Per Stavia, una giovane dottoressa, non è facile convincere il compagno Chernon a rinunciare alla via della violenza, tanto più che i due devono compiere insieme una missione che non si prospetta facile. Presto dovranno misurarsi entrambi con mille difficoltà e pericoli, e allora non sarà Chernon il solo a dover fare una scelta radicale: anche Stavia si renderà conto che l’utopia potrebbe avere i giorni contati.

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Chernon sedeva accanto a Casimur per accudirlo. Doveva stare sempre vicino al suo giaciglio, pronto a ricevere le sue ultime volontà o istruzioni o quant’altro Casimur volesse rifergli. C’era sempre un ragazzo accanto a chi stava per morire, incaricato di quell’onorevole incombenza. Cinquanta giorni era rimasto là, cambiandogli le fasciature e lavandolo quando, cercando di mangiare, si sporcava.

Quando Casimur non urlava, Chernon tentava di riposare. Nel sonno, Chernon tormentava il cuscino alla ricerca di una via d’uscita, lontano da qualunque cosa gli stesse accadendo nel paese dei sogni. Questo luogo immaginario grondava sangue. Chernon sognava di camminare coperto di ferite orribili, sollevando le mani lorde di sangue, vomitando a causa del fetore dei cadaveri. Vagolava nelle paludi del paese del sonno, inoltrandosi in una profonda caverna, guidato dal sogno. — Passa di qui la via per uscire? — Non importava con quanta gentilezza ponesse la domanda, non era mai abbastanza gentile da provocare una risposta. A volte in quei sogni si ritrovava potente ed eccitato. Non c’erano mura o catene in grado di trattenerlo eppure non riusciva a trovare una via di uscita. Nei suoi sogni oscuri non c’erano mappe o, se ce n’erano, non erano scritte sul cuscino sul quale si destava.

Si rigirava nel sonno, sudando, sporgendosi tra i pilastri di roccia della caverna, sperando di vedere una strada, un segnale, un dito che gli indicasse la via, ma dappertutto vedeva solo il volto agonizzante di Casimur che sbraitava parlando dell’onore.

Chernon credeva nell’onore, così come lui lo intendeva e come Michael e gli altri gli avevano spiegato. Era onorevole proteggere le donne perché i guerrieri avevano bisogno di loro per concepire e allevare i loro figli e — così diceva il dogma — erano incapaci di proteggersi da sole, sebbene potesse esserci qualche dubbio riguardo a questo, ora che si parlava di una strana arma, o forse di un potere, diffuso tra di loro. Michael diceva che le donne non erano abbastanza forti per servirsi del potere o delle armi e, se si fosse scoperto che quelle voci erano vere, sarebbe stato perfettamente onorevole sopraffarle per portar via loro quella cosa. Le donne non possiedono il tipo giusto di mentalità per servirsi di certe cose adeguatamente, sarebbe stato molto onorevole sottrarle a quel pericolo. Michael gli aveva parlato di Besset. Gli aveva spiegato come, per il bene comune, a volte fosse necessario fare delle cose spiacevoli. Per esempio lasciar libero Besset di unirsi ai banditi in modo che potesse raccogliere informazioni. Anche se quei banditi avevano ucciso delle persone, le informazioni erano più importanti delle vite sacrificate.

Tutti erano concordi nell’affermare che era un disonore ritornare dalla Porta del Paese delle Donne. Solo i codardi lo facevano. I codardi e coloro che erano fisicamente deboli; sebbene questi ultimi potessero essere messi al lavoro nelle cucine della guarnigione o adibiti a qualche incarico di sussistenza, se confessavano la loro debolezza al Comandante. Al di là del fatto che venivano derisi non se la passavano male.

Era un disonore costringere una ragazza a unirsi agli zingari perché questo la rendeva inutile per la procreazione, o costringere un ragazzo a prostituirsi perché lo si sottraeva alla vita dei guerrieri. Tutti dicevano che era un disonore, tuttavia gli uomini a volte facevano tali cose. Erano disonorevoli ma non meritevoli di disprezzo. Tornare attraverso la Porta delle Donne, quello sì che suscitava disprezzo. In quanto al fatto di portare qualche ragazza fuori dalla città, be’, nessuno ti avrebbe sputato addosso per questo.

Era un disonore, durante il carnevale, bere a tal punto da non ricordare con quali donne si era stati, ma erano molti gli uomini che si rendevano colpevoli di una cosa del genere. Più di un uomo aveva ricevuto una lettera dalla donna addetta agli appuntamenti dopo il carnevale, firmata da una donna che il guerriero non riusciva a ricordare. Le cartoline dicevano sempre la stessa cosa: “Se sarà un maschio lo porterò da suo padre guerriero quando avrà cinque anni”. Le missive erano appuntate nei registri degli uomini al quartier generale. Un uomo poteva non ricordare esattamente ma nessun uomo con una tale cartolina nel suo registro si sarebbe azzardato a ripudiare il figlio quando il ragazzo gli veniva consegnato sei anni dopo. Sarebbe stato come ammettere una mancanza di virilità. Naturalmente alcuni guerrieri erano semplicemente troppo vecchi per fare del sesso e altri preferivano rivolgersi alle zingare e avere meno problemi e, per così dire, non c’era nulla che glielo impedisse.

L’opinione dominante nella guarnigione era che non aveva molta importanza se un uomo ricordava più o meno chiaramente di essere andato con una donna. Anche se tutti sapevano che le donne erano pettegole per altri argomenti, di solito erano oneste e sincere per quel che riguardava i figli dei guerrieri, perché era nel loro interesse esserlo. Le donne sapevano che i guerrieri le proteggevano solo perché potevano mettere al mondo i loro figli; così era interesse delle donne fare in modo di procreare e allevare i figli che sarebbero stati affidati ai loro padri legittimi. Sebbene Chernon nutrisse dei seri dubbi in proposito, era vero che ogni guerriero aveva almeno un figlio. Erano molto pochi i guerrieri che non partecipavano ai carnevali. E molto pochi degli uomini che potevano fare sesso non lo praticavano, anche se molti dopo non ricordavano granché. I figli erano la cosa più importante nella vita di un guerriero e le donne lo sapevano. “Mettendo al mondo un figlio per un guerriero una donna si guadagna la vita.” Erano quelle le frasi usate per indottrinare i ragazzi. “Tua madre si è guadagnata la vita così.” Un altro detto recitava: “Non c’è utilità o giustificazione per una donna senza bambini”. Tuttavia, naturalmente, tutti si rendevano conto che in realtà esistevano molte scusanti. Senza le vecchie che tessevano, seccavano il pesce e tosavano le pecore, le riserve di cibo e abiti sarebbero state scarse. Tutti lo sapevano. Quando i centurioni requisivano parte del raccolto di grano per produrre la birra, qualcuno levava il calice alle “nonne” che avevano raccolto il grano.

Tutte queste cose avevano qualcosa a che fare con l’onore; ma da nessuna parte in quel groviglio di onore e disonore, da come la vedeva Chernon, c’era qualcosa che parlava di dover stare per cinquanta giorni vicino a un moribondo. Casimur avrebbe dovuto prendere l’Acqua della Fontana della dolce Fine. Morgot stessa era andata da lui e gliela aveva offerta per tre volte. Ogni volta Chernon si era nascosto per non farsi scorgere, perché non voleva pensare né a lei né alla sua famiglia. Non voleva pensare a Stavia.

Era andato tutto per il verso sbagliato con Stavia. Lui si era comportato esattamente come Michael gli aveva suggerito ma non aveva funzionato. Invece di diventare l’informatrice di Chernon, Stavia si era allontanata da lui. Un pomeriggio era stata là, a cullarlo mentre piangeva lacrime ingiustificabili, da bambino. Cinque giorni dopo, quando aveva cercato di rintracciarla per dirle che quelle lacrime non significavano nulla, se ne era andata. Era andata ad Abbyville all’istituto medico, gli aveva detto Beneda. Se n’era andata due anni prima di quanto ci si fosse aspettati. Si era allontanata per nove anni e avrebbe potuto tornare a casa in visita solo una o due volte. Ciò lo faceva sentire furioso, non tanto perché se ne fosse andata, ma perché non lo aveva mai avvertito delle sue intenzioni. Non gli veniva in mente che forse non gliene aveva parlato perché non avrebbe voluto andare.

No, si disse, aveva semplicemente sbagliato a pensare che Stavia si sarebbe comportata in maniera diversa dalle altre donne. Tutte le donne mentivano. Sua madre mentiva, pure Beneda, e anche Stavia.

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