Sheri Tepper - Cronache del dopoguerra

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Cronache del dopoguerra: краткое содержание, описание и аннотация

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Sono passati duecento anni dall’ultimo olocausto ma il dopoguerra dura ancora. Una parte del genere umano (le donne di Marthatown e di altri centri abitati pacifisti) hanno imparato la lezione e giurato di non riprendere più le armi, ma altri la pensano diversamente. Per molti fare la guerra è sinonimo di onore, di uno stile di vita eroico e irrinunciabile. Così, in alcuni avamposti militari disseminati sul pianeta attecchisce una civiltà aggressiva che si identifica con uomini non disposti a fare ammenda del passato. Per Stavia, una giovane dottoressa, non è facile convincere il compagno Chernon a rinunciare alla via della violenza, tanto più che i due devono compiere insieme una missione che non si prospetta facile. Presto dovranno misurarsi entrambi con mille difficoltà e pericoli, e allora non sarà Chernon il solo a dover fare una scelta radicale: anche Stavia si renderà conto che l’utopia potrebbe avere i giorni contati.

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Non sembrava possibile che fosse passato un anno da quando Jerby se ne era andato da suo padre guerriero. Era venuto a casa a metà estate e Myra era rimasta incinta. Poi a metà dell’inverno, Jerby era tornato a casa di nuovo. E così Chernon le aveva chiesto di dargli degli altri libri perché quelli che aveva non erano quelli giusti, e lei doveva dargliene altri, perché già gliene aveva procurati molti. Non poteva rifiutarsi ma… Stavia scacciò quel pensiero. Poi era nato il piccolo Marcus ed era quasi venuto il momento del carnevale estivo.

— Myra non prenderà parte al carnevale questa volta, vero?

— Tu cosa ne pensi? — chiese lui.

Stavia sospirò. — Lo farà se Barten glielo chiede. Lei ha partecipato l’ultima volta, grossa come un melone. Mi sono sorpresa che lui abbia voluto passare il carnevale con lei. Visto che era incinta ho pensato che… be’, lo sai.

— Lo sai perché lo ha fatto?

La ragazzina scosse il capo. — No. Be’, forse. Forse voleva mostrare a tutti che poteva fare il padre.

— Potrebbe essere stato così — replicò Joshua, scuotendo la testa, dubbioso.

— Joshua, ogni coniglio può diventare padre!

— Lo sappiamo io e te, Stavvy, ma Barten può avere le idee confuse al riguardo. Forse ha pensato di dover provare qualcosa.

— Myra andrà al carnevale se lui la vorrà. Solo per impedire che se la spassi con qualcun’altra.

— Penso di sì.

— Non dovrebbe restare incinta un’altra volta così presto.

— E questo probabilmente è giusto — Joshua trovò una mela conservata dall’inverno. — Questa dovrebbe andar bene con il pollo, una salsa di mela.

— Se non potremo prendere gli gnocchi mi piacerebbe della purea.

— Ci sono rimaste delle patate ma siamo a corto di farina.

— Chi cucinerà quando io, tu e Morgot saremo via?

— Sylvia ha invitato Myra a trasferirsi con la sua famiglia.

— Povera Sylvia… Myra probabilmente non sarà una bella compagnia.

— No. Non direi.

— Joshua. Lo so che non dovrei chiederlo ma voglio veramente saperlo. È stato difficile tornare?

— Probabilmente la cosa più difficile che io abbia mai fatto — rispose lui. Vuoi che ci fermiamo alla sala da tè?

— Davvero possiamo? Ci sono rimasti dei buoni per il tè? Mi parlerai di quell’esperienza, non voglio insistere se non sono affari miei.

— Non penso che tu stia insistendo, Stavvy. No. Te ne parlerò se mi prometti di non ripeterlo a nessuno, salvo a Morgot, naturalmente. — Attraversarono la strada e imboccarono un vicolo sinuoso che terminava in una piccolissima piazza, protetta dal vento da grandi mura, nella quale si trovano dei tavoli. Si sedettero a uno di essi, posando il cestello e la borsa della spesa sopra una sedia vuota.

Quando fu loro portata la teiera fumante con un vassoio di dolcetti ripieni di marmellata, Joshua versò per entrambi e poi si protese sulla tavola, con le mani a coppa intorno alla tazza fumante. — Sono tornato, parzialmente a causa della guerra tra Annville e Abbyville.

— Non sapevo che ce ne fosse stata una.

— Non c’era ragione che lo sapessi. È stato venti anni fa. Avevo diciotto anni. Ero nella guarnigione di Abbyville ma ero troppo giovane per combattere, naturalmente, e quando le centurie marciarono io stavo in un canto a osservare… Avevo un amico tra i guerrieri. Si chiamava Cornus. Noi lo chiamavamo Corny. Un burlone, un pagliaccio. L’uomo più divertente che abbia mai conosciuto. Ci faceva ridere tutta la notte a volte. Mi sarebbe piaciuto avere la capacità di scrivere, solo per mettere sulla carta alcune delle sue battute.

“Be’, fu ucciso in battaglia. Seppi che era stato ferito nel momento in cui accadde, anche se mi trovavo a chilometri di distanza. Riuscii a sentire il suo dolore, mi accorsi del momento in cui morì perché il dolore terminò. Non me lo hai chiesto, Stavvy. Posso vedere che ti mordi le labbra. Morgot ti ha detto di non chiederlo, ma io te lo dirò lo stesso. È una qualità che abbiamo noi servitori. Noi lo chiamiamo Lunga-Sensazione o Lungo-Tempo. Non tutti ce l’hanno. Ma alcuni di noi sì.”

— Solo i servitori? — sussurrò. — Non i guerrieri?

— Mettila così. Io non so di nessuno che abbia… chiamala come vuoi… che stia nella guarnigione. Se gli ufficiali e i compagni si accorgono che ce l’hai, ed è difficile a volte non farlo notare, non lo gradiscono. Gli ufficiali non si fidano di coloro che ce l’hanno. Be’, in ogni caso, la morte di Cornus gravò su di me. Non avevo pensato di chiederlo prima, ma lo feci quando la guerra terminò. Perché avevano dichiarato guerra ad Annyville? E gli ufficiali mi risposero che la guarnigione di Abbyville era stata insultata, o forse era stata la città a esserlo o forse il monumento alla guarnigione.

— Insultata come?

— Non lo so. C’erano delle voci che dicevano che alcuni dei nostri guerrieri erano caduti in un’imboscata ed erano morti, ma non si sapeva niente di certo. Da quello che posso dirti nessuna delle donne fu mai in pericolo. Abbyville non era in pericolo e neppure Annville. Ma noi andammo alla guerra e una gran parte della guarnigione fu uccisa.

— E questo ti convinse a tornare?

— No, non solo questo; sai, nella guarnigione spendi circa un quarto del tempo a esercitarti e ad addestrarti per la battaglia, poi un poco di tempo viene impiegato per la manutenzione dell’equipaggiamento e dei campi di addestramento, ma molte ore le passi a partecipare alle competizioni. Ad Abbyville non si giocava a palla-corpo, come qui. Palla-battaglia la chiamavano. Ogni centuria ha una squadra che affronta le altre. Poi le centurie vincenti si affrontano nel secondo turno. Ci sono dodici uomini a squadra e porte a ogni limitare di campo. Lo scopo del gioco è tirare la palla dentro la porta superando le guardie avversarie e segnare un punto.

— Più o meno so di cosa si tratta.

— Be’ è una specie di guerra. La gente di solito non viene uccisa giocando a palla-battaglia ma viene ferita e la squadra vincente ha diritto a ogni tipo di onore e riconoscimento. Lasciatelo dire, se sei un buon giocatore di palla-battaglia e scoppia una guerra il tuo comandante può decidere di metterti nelle retrovie o trovarti qualcosa da fare di completamente differente dal combattimento. Nessun comandante vuole che i suoi giocatori migliori vengano feriti o uccisi. Alla fine dell’anno, quando rimangono due squadre, non c’è un uomo nella guarnigione che non vesta i colori dell’una o dell’altra. Ci sono bevute e risse. È proprio come una guerra, solo che gli uomini vi prestano più attenzione. Voglio dire, non è che la guerra ci sia continuamente mentre ci sono dei campionati di palla-battaglia tutti gli anni.

— Tu giocavi?

— Giocare? Diavolo, Stavia, io ero una star in porta. Ero così bravo che il mio comandante mi aveva assegnato come porta ordini solo per evitare che mi facessi male durante le esercitazioni. Ero così bravo proprio perché ero in grado di capire cosa stava per fare ciascun giocatore e da dove sarebbe arrivata la palla. Lo sapevo…

Lei lo guardò cercando di capire.

— Vedi, Stavia, quando tutte le gare terminavano, niente era cambiato. Se la mia squadra vinceva o perdeva ci sarebbero stati vantaggi o svantaggi è vero. Se vincevo avevo nastri da indossare e tutti bevevano con me e ci ubriacavamo insieme. Se perdevo nessuno brindava a me ma erano tutti comunque ubriachi. In ogni caso non cambiava niente. Il sole sorgeva il giorno dopo, come sempre; il fiume continuava a scorrere. La pioggia cadeva come al solito; la notte calava, le stelle brillavano, gli uomini andavano all’armeria, le donne andavano agli appuntamenti d’amore, i bambini nascevano e i ragazzi andavano dai loro padri guerrieri e niente cambiava. Corny era morto e nulla era cambiato. Oh, certo ebbe un funerale da eroe. Diedero a un ragazzo le sue insegne da portare quando la centuria sfilò in parata; i tamburi rullarono e la gente pianse, ma lui era morto. Non fu sino a quando mi misero di servizio come portaordini che mi resi conto di tutto, ma una volta che compresi la verità decisi di tornare al Paese delle Donne.

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