No. Non avrebbe potuto dir nulla a Morgot. E, in quanto a Chernon, avrebbe dovuto dirgli con fermezza che avrebbe potuto avere tutti i libri che voleva se fosse tornato a casa.
Solo che lui non le avrebbe lasciato affermare una cosa del genere. Chernon aveva chiesto i libri adesso, non in un futuro domani.
Picchiò il piede irritata, mordendosi la guancia su un lato fino a farsi male. Non poteva smettere di dare libri a Chernon. Non adesso; ma non era una cosa veramente sbagliata, non ancora. Non era ancora un guerriero. Non lo sarebbe stato fino a quando non avesse compiuto quindici anni…
— Merda — mormorò rivolta alle pietre sotto i suoi piedi. — Oh, merda.
Sebbene ogni allieva nel Paese delle Donne imparasse Ifigenia a Troia , la tragedia veniva rappresentata in realtà solo dalle donne del Concilio di ogni città. Visto che faceva parte del Concilio, Stavia salì sulla scena del teatro d’inverno al centro di Marthatown con una mezza dozzina di altre compagne-attrici del Concilio, per la prima prova generale della produzione di quell’anno. Le sere erano ancora fredde per provare all’esterno nel teatro d’estate, così loro tutte andavano nell’ampia stanza dal basso soffitto che era stata predisposta per essere riscaldata solo dalla presenza dei loro corpi. Visto che erano presenti solo il cast e le maestranze di scena, non c’era abbastanza gente per rialzare sufficientemente la temperatura. Stavia rabbrividiva sotto il vestito.
Avevano provato l’entrata in scena di Cassandra in tre modi differenti nessuno dei quali era riuscito a soddisfare la regista.
— Cassandra entra da sinistra — disse la regista stancamente. Era un’anziana componente del Concilio, ma poco avvezza al lavoro di regia, che non aveva ancora imparato a coordinare.
CASSANDRA: Madre! Andromaca! Sono venuta per dirvi addio.
ECUBA: Cassandra? Tu? Ancora qui? Oh, figliola, sono così stanca di addii… di saluti prima di andare nel mondo dei morti. Lunghi e tristi addii senza alcuna speranza in vista. Non c’è sonno che possa guarire da questi addii. Sei qui e io pensavo che fossi già andata via.
CASSANDRA: Altri sono partiti, ma Agamennone rimane. Dice di aver avuto dei problemi con le vele, sono rimaste su queste coste così a lungo che son piene di buchi.
ANDROMACA: Qualsiasi moglie avrebbe potuto dirglielo. Le spiagge attirano la muffa come spugne.
ECUBA: Una tale difficoltà che viene a intralciare i piani di un tiranno.
IFIGENIA: La forza, a volte, viene da direzioni inaspettate, forse più spesso da quelle imbarazzanti.
ACHILLE: È Polissena?
IFIGENIA: È Cassandra, o grande Achille. Guarda da vicino. Lei è ancora viva.
CASSANDRA: Spettri. Chi sono questi spettri?
ANDROMACA: Riesci a vederli anche tu?
CASSANDRA: È Achille questo? E il bambino… Andromaca, è tuo figlio?
ANDROMACA: È mio figlio. Odisseo l’ha ucciso.
CASSANDRA: ( Piangendo ) Ahimé. Questo è il destino dei figli dei guerrieri…
Erano poche le madri nel Paese delle Donne che parlavano dei propri bambini chiamandoli “figli di guerrieri”. Myra era un’eccezione. Quando era nato il suo primo figlio, Myra aveva usato quella frase in ogni occasione possibile. Non lo chiamava mai “il mio piccolo Marky” e neppure “Marcus”: era sempre “il mio piccolo guerrriero”.
Era nato con capelli e grandi occhi neri. Questa rassomglianza con Barten veniva ricordata a tutti almeno dieci volte al giorno. Quando, dopo un mese, tutti i capelli neri caddero e gli occhi divennero chiari, Myra sembrò considerare questo cambiamento un affronto personale, operato da qualche umano.
Morgot perdeva raramente tanto la pazienza come quando si affrontava questo argomento. In una stagione così fredda come quella che stavano passando, la famiglia era costretta a trascorrere molte ore nella cucina riscaldata ad ascoltare le lamentazioni di Myra. Quando non ne poteva più, Morgot esplodeva: — Myra, se dici ancora una parola sugli occhi o sui capelli di tuo figlio, andrò al Concilio e suggerirò che lo mandino all’orfanotrofio. Se continui con questa storia quel povero bambino crescerà insicuro e infelice e sarà colpa tua. — Morgot era pallida e aveva le labbra serrate per la rabbia.
— Ho solo detto…
— Hai solo detto che la levatrice ha commesso qualche mostruosità scientifica per cambiare il codice genetico del bambino (cosa impossibile) o che le infermiere hanno scambiato i bambini. Questa è un’affermazione ridicola perché Marcus non ha mai lasciato la stanza dove sei stata dal momento in cui è nato, e tu l’hai portato con te a casa il giorno dopo. — Morgot aprì la porta di metallo del forno e vi gettò due ceppi posizionandoli con cautela, cercando di riprendere il controllo di sé.
— Del resto — suggerì Stavia — Marcus è molto carino. — Raccolse la scopa, spazzando il pavimento e volgendosi per scaldarsi al fuoco prima che Morgot chiudesse il portello. La pentola sopra il fornello aveva cominciato a fumare e l’aria nella stanza era quasi estiva, con la sua nebbiolina e l’odore dell’erba. — Il bimbo assomiglia molto a Jerby; ha sicuramente una forte rassomiglianza con il resto della famiglia.
— Con questa famiglia — soggiunse Myra con disgusto.
— Sì, la nostra famiglia. La Margotsdaughters. E che cosa c’è che non va? Barten è bello ma è come un serpente a sonagli. Immagino che sia fantastico a letto ma al di là di quello è un serpente. Tutti lo dicono… — Frugò nella dispensa tra i canestri di tè alle erbe cercandone uno alla frutta.
— Chernon lo dice, vuoi dire — ringhiò Myra.
Stavia si sentì avvampare, il calore saliva dentro di lei come se avesse una fornace nello stomaco. — Chernon dice che tutti lo pensano alla guarnigione. Quello che voglio dire è che, se Marcus non assomiglia a Barten, forse non si comporterà come lui e tu dovresti esserne contenta. — Con dita tremanti, Stavia misurò la quantità di tè da deporre nella teiera e poi vi versò l’acqua calda.
Myra si rinchiuse in un silenzio oltraggiato; il suo sogno romantico di maternità si era infranto grazie agli allattamenti a notte tarda, alla continua necessità di lavare pannolini, e a un bambino che continuava a sembrare e a comportarsi come un bambino, non come un giovane eroe. Era più che convinta che quando avesse portato quel bambino da suo padre guerriero a cinque anni, Barten probabilmente lo avrebbe ripudiato.
Morgot scosse il capo e tornò a impacchettare delle provviste in grandi sacchetti di tela; lei e Stavia sarebbero partite l’indomani per un breve viaggio verso Susantown. — Stavia, hai preparato i vestiti e il resto del necessario?
— Sì, mamma.
— Joshua mi ha detto che gli farebbe piacere se lo accompagnassi per le spese.
— Joshua verrà con noi, domani?
— Penso che sia una buona idea, sì. Ci sono stati diversi attacchi degli zingari sulla strada per Susantown negli ultimi mesi.
— Chissà di che aiuto potrà esservi — soggiunse Myra — un servo!
— Stai di nuovo citando Barten? — le chiese la madre con un tono pericolosamente irritato.
— Be’, quando ho portato il bambino a vedere suo padre, Barten ha detto…
Morgot trasse un profondo sospiro. — Myra. Almeno un anno fa ti ho detto di non ripetermi mai le opinioni di Barten sul modo in cui viviamo nel Paese delle Donne. Non ci interessa l’opinione dei guerrieri sulla vita nel Paese delle Donne, soprattutto sulle cose che non conoscono. Non si tratta solo di cattive maniere, è fondamentalmente una mancanza di rispetto… per me, per il Concilio, per i comandamenti; lo hai fatto già due volte. Un’altra volta ancora e andrai davanti al Concilio.
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