— Non ti piace molto, vero? — Appese un’altra molletta in un angolo del panno osservandolo sventolare al vento.
— Barten piace a se stesso abbastanza per tutti noi. Soprattutto a causa di suo padre.
— Chi è?
— Michael. Sono sempre insieme. Non lo sai?
Stavia scosse il capo senza credere alle sue orecchie. Così, in definitiva Barten poteva essere suo fratellastro. Myra era la sua sorellastra? No. No, se fosse stato così, Morgot avrebbe detto qualcosa. Non che una relazione con un fratellastro fosse considerata una cosa cattiva. Dipendeva dalle circostanze. Si sedette sul terrazzo guardando oltre il cortile, verso il mare.
— Cosa stai pensando? — le chiese il ragazzo.
— Genetica.
— Cosa?
— La scienza di come le persone passano le loro caratteristiche alla propria prole.
Ci fu un lungo silenzio. Lui si sedette sul terrazzo vicino a lei, con la testa girata. Se avesse potuto vedere il suo volto, Stavia avrebbe potuto accorgersi che il ragazzo era pensoso, come colto da un pensiero improvviso.
— Cosa c’è? — domandò lei.
— Mi fai sentire… ignorante — rispose con una voce ferita. — Io non le so queste cose.
Stavia gli rivolse uno sguardo sorpreso. — C’è in tutti i libri; la guarnigione ha una biblioteca.
— Romanzi, Stavia. Racconti di battaglia, saghe. Dipinti di armature. Igiene. Mantenimento delle proprietà della guarnigione. Lo sai! Niente delle cose della vita; niente di medicina, ingegneria o amministrazione.
— Sono studi riservati alle donne.
— Lo so che lo sono. Ho solo detto che mi fai sentire ignorante; questo è tutto — sembrava ancora ferito. — Non è una bella sensazione.
— Posso prestarti dei libri quando vieni a casa. Potrei anche dartene alcuni vecchi da portare con te alla guarnigione, se vuoi. — Aveva fatto l’offerta prima di pensarci e una parte di lei si rivoltò, furiosa, per quello che aveva detto. Dare dei libri del Paese delle Donne ai guerrieri era strettamente proibito.
— Non potrei farlo — le sue labbra avevano parlato ma gli occhi la guardavano di sottecchi, valutando la sua offerta. — Mi procurerebbero delle punizioni.
Lei quasi sospirò di sollievo. — Non ti permettono di leggere?
— Non cose del genere. Non argomenti femminili.
— Ah — lei cercò un compromesso. — Beneda ha dei libri che puoi leggere quando torni a casa.
— Non ha il genere di cose che vorrei sapere — disse lui con tristezza calcolata, lo sguardo si spostava da lei verso qualcosa di distante, un atteggiamento che aveva sempre commosso Sylvia costringendola a implorarlo di dirgli che cosa c’era che non andava, a chiedergli cosa avrebbe potuto fare per aiutarlo.
Produsse un effetto simile anche su Stavia. La ragazzina si scoprì a domandarsi cosa avrebbe potuto fare. Dopo tutto, non c’era nessun comandamento che le impedisse di leggere per lui, o di parlargli di qualcosa che aveva letto. Che differenza c’era? Questo non faceva altro che dimostrare quanto fossero stupidi alcuni comandamenti. — Non avevo mai pensato che un guerriero potesse volere dei libri, ma, se sei interessato…
Lui si volse verso la ragazzina, avvampando, con un’espressione avida quanto lo sarebbe stata quella di Jerby se gli avessero promesso le caramelle. E la sua riluttanza le sembrò arbitraria e ingiusta. E tuttavia… era contro i comandamenti.
Stavia cercò deliberatamente di sdrammatizzare. — In cambio devi farmi un favore…
— Chiedi.
— Dimmi come i guerrieri chiamano il monumento che c’è in fondo al campo delle parate.
— La statua di Odisseo?
— No. Quella più alta.
Lui divenne rosso. — Lo chiamo la postazione di osservazione.
Lei scosse il capo esasperata. — È stupido. Non ci si può stare sopra.
Nuovamente il ragazzo arrossì.
— Andiamo Chernon, come la chiamate?
— È l’erezione del campo delle parate — bofonchiò lui.
Stavia ci impiegò un po’ a comprendere. — Capisco. Cosa è veramente?
— Quello che sembra — borbottò lui nuovamente. — I veri guerrieri vi prestano giuramento d’onore. È un simbolo della virilità.
— L’adorazione del pene?
— È una cosa simbolica — rispose lui risentito.
— Sì — assentì Stavia stupita. — Certamente lo è.
E venne il momento del carnevale. Habby, Byram e Jerby vennero tutti a casa. Joshua e Morgot prepararono il pranzo facendo regali a tutti. Popcorn dal forno, torte per la vacanza, tutta la famiglia uscì assieme per vedere i maghi e i fuochi artificiali. Tutti salvo Myra. Lei usciva ogni mattina con le guance rosse e un sorriso stupido, aveva cambiato i pantaloni che portava di solito con vesti più corte e colorate — per le quali Habby e Byram usavano un nome più corto e volgare — andando due volte al giorno alla casa degli appuntamenti a bere vino e birra e a ballare con Barten nelle taverne del carnevale per tutta la notte.
Non c’era tempo per sentire la sua mancanza o per preoccuparsi di lei con tutti quei maghi e saltimbanchi itineranti, i razzi che salivano urlando nel cielo notturno, gli acrobati e la città piena del suono della musica dei tamburi e dei cori. C’erano dei concorsi di canto tra guerrieri e donne ma erano quasi sempre i guerrieri a vincere. I guerrieri avevano molto tempo per far pratica, quando non erano occupati a combattere o a esercitarsi alla pratica delle armi o nelle loro interminabili gare sportive. Cantavano soprattutto di epiche battaglie, sebbene si esibissero anche in alcune divertenti canzoni popolari o d’amore che tutti conoscevano: “Va’ via, Oh, va’ via guerriero” e “La centuria perduta” e “Cosa porta il guerriero sotto il kilt” e “Ho perduto il mio amore al carnevale”, una canzone veramente lagnosa. Le donne non avevano molto tempo per esercitarsi ma cantavano anche loro e la città risuonava delle loro voci.
Dopo cinque o sei giorni, Stavia ebbe l’impressione che Myra fosse stanca.
— Solo perché ho sbadigliato — la rimbrottò la sorella — non vuol dire che sia stanca.
— Puoi saltare un giorno, se vuoi — disse Morgot.
— Non voglio.
— Bene, forse potresti bere un po’ meno stasera e magari dormire un poco.
— Barten non vuol bere da solo.
— Non vuol stare da solo, Myra — sbadigliò Habby, scimmiottando la smorfia di sua sorella. — Troverà qualcun’altra.
— Habby — Myra rossa in viso era veramente arrabbiata. O comunque ferita.
— Habby — osservò Morgot — terrei i miei suggerimenti per me se fossi in te.
L’ottavo giorno, Myra non uscì del tutto. Dalla sua camera venivano improvvisi singhiozzi e lamenti.
— Hanno litigato — spiegò Morgot.
— Hanno litigato — disse Stavia — Chernon me lo ha detto; tutti i guerrieri hanno deciso di litigare con le loro ragazze dopo sei o sette giorni. Così possono cercarsi delle altre ragazze.
— Un proposito fondamentalmente autodistruttivo — sospirò Morgot — visto che anche le altre stanno piangendo.
Sembrava esserci un certa logica in quel ragionamento. Un messaggero portò le scuse di Barten che chiedeva a Myra di tornare da lui.
Lei andò, raggiante.
— Oh, merda — disse Stavia — non ha veramente nessun giudizio.
— No — sbadigliò Morgot — nessuna di loro ne ha. Neanche io ne avevo alla sua età.
— Rifiuto di avere la sua età.
— Ti auguro buona fortuna.
E infine anche il carnevale terminò. Chernon tornò alla guarnigione. Altrettanto fecero Habby, Byram e Jerby, i primi due con rassegnazione, il terzo in lacrime. Era facile capire quale fosse il loro stato d’animo, ma Chernon? Chi poteva sapere quali erano i sentimenti di Chernon?
— Gli piaci, vero? — esclamò Beneda con gli occhi sfavillanti. — Quando sarete grandi forse diventerete amanti.
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