— Non lo sapevo — borbottò Stavia. Si sentiva ancora furiosa, ma non poteva adirarsi con Morgot. Quella non era una delle situazioni di cui le avevano parlato al corso che spiegava il ruolo della donna; non era una di quelle cose di cui le avevano parlato Habby o Byram.
— Non tutti lo fanno, Stavvy. Non credo che Habby si comporti così. E neppure Byram.
— Come fai a spere che stavo pensando a loro?
— Io penso a loro. Sempre.
Nella carrozza, Myra guidava tenendo il viso paonazzo fisso davanti a sé e le labbra serrate in una smorfia, senza profferire parola. Tally era sdraiata sul fondo della carrozza, in preda a rumorosi singhiozzi. L’altra donna, Vonella, borbottava che una settimana di quarantena era una catastrofe.
“Probabilmente lo è per noi” pensava Stavia. “Avrà la possibilità di fare docce regolari e di avere un letto pulito, cibo ben cucinato e troppi dei nostri preziosi antibiotici.”
— Ho una figlia da qualche parte a Marthatown — disse Vonella. — E un figlio alla guarnigione di Susantown.
— E allora cosa ci fai qui? — domandò Stavia, dimenticando per un momento di essere una bambina e che quindi non poteva porre domande personali.
— Stavia! — l’avvertì Morgot.
— Oh, non si preoccupi, dottoressa — disse la donna — non mi dà fastidio rispondere alle domande della bambina. Non ero fatta per vivere in città, sai? Troppo pulito, troppo ordinato. Tutti si aspettano troppo da te. Studio, lavoro e artigianato, non hai più tempo per te stessa di quanto ne abbia un cane con il prurito. C’è sempre qualcuno che ti dice che devi cuocere meglio, cucire meglio e che devi essere responsabile per qualcosa. Preferisco star qui fuori, viaggiare. Jik è un vecchio bastardo, ma non è poi così male, dopotutto. Alcuni degli uomini sono delle brave persone. Abbiamo tempo per noi stesse.
Morgot sospirò. — Sei mai rimasta incinta da quando stai con Jik?
La donna non rispose.
— Tuo figlio è scomparso? Jik lo ha ucciso? O è morto?
— È morto — rispose in fretta la donna.
— Quanto ricevi di quello che Jik ricava dai vostri clienti? La metà? O meno?
La donna non rispose.
— Quante volte ti sei beccata una malattia? Se cominci ad ammalarti frequentemente ti verrà il cancro. Non possiamo curarlo il cancro; una volta la gente arrivò vicino a scoprire una cura, almeno così dicono, ma ora se ne è perduta la memoria. Dopo le Convulsioni, non possiamo curare molte malattie come avveniva in precedenza. — Morgot aveva pronunciato quelle parole con tono quasi distratto, ma Stavia sapeva che non era così. — Non sei meglio di una schiava, Vonella. Sei prigioniera e neanche lo sai.
La donna alzò le mani esclamando rabbiosamente: — Oh, lo so. Lo so. Morirò presto. Fumo e droga non fan certo bene ai polmoni. Beviamo parecchio al campo. Jik fa della buona birra…
— Con il granturco rubato — osservò Morgot.
— Be’, prende quello che può. Fumare, bere e scopare; una di queste cose mi ucciderà prima o poi, giusto. Ma chi vuol diventare vecchia? Non ho mai voluto invecchiare — Vonella agitò le mani ancora una volta come per esorcizzare la vecchiaia e l’infermità.
— Sarai accontentata, probabilmente — convenne Morgot. — Gli schiavi per la maggior parte son destinati a morire giovani, succedeva anche nei tempi passati. È la tua vita dopotutto, ma non possiamo lasciare che infetti il Paese delle Donne.
Si fermarono davanti alla casa di quarantena per lasciare Vonella e Tally.
— Stavia, va’ con loro e prendi i nomi di tutti i guerrieri e gli zingari che sono stati con loro, per favore.
— Oh, signora, non mandare tua figlia in quella casa di appestati solo per questo. Sono stata con un solo uomo in tutta la settimana. Quello con la barba bianca e un occhio solo. Viene sempre da me.
Stavia esitò, aspettando che l’ordine fosse ritirato. Dopo un momento Morgot le fece un cenno con il capo. — A meno che tu non voglia fare compagnia a Tally…
Era uno di quegli “a meno che” di sua madre che potevano essere interpretati in una dozzina di modi differenti. Poteva significare “a meno che tu non sia curiosa di vedere la quarantena e voglia dare un’occhiata” o “a meno che tu pensi sarebbe una buona cosa aiutare Tally a riacquisire la sua tranquillità” o “a meno che tu non pensi che sia il caso di far vedere a Myra di cosa si tratta ancora per un poco”.
— Andrò con Tally — disse Stavia — devo scrivere un tema per il mio corso di medicina, potrei farlo sul centro di quarantena.
Morgot assentì e condusse via il carro in un modo tale da suggerire un altro dei suoi a meno che. “A meno che tu non pensi che sarebbe una buona idea che Myra ed io scambiamo due parole in privato.”
Dopo un’altra notte insonne trascorsa a macerarsi nel dolore a causa di Dawid, Stavia si trascinò sino all’ospedale, per il suo turno di lavoro. Morgot uscì dal suo ufficio, le lanciò uno sguardo e le disse di andare a casa. — Stavvy, di solito hai l’aspetto di una venticinquenne, ma oggi sembra che tu abbia cinquant’anni… Ti ho sentita muoverti e rigirarti per la casa tutta la notte. Va’ a casa a riposa un poco.
Stavia, che sentiva sempre più vicino il suo trentottesimo compleanno, era particolarmente irritata dai commenti che Corrig soleva fare sul suo aspetto. — Stavo controllando le finestre.
— Per paura di cosa, dei fantasmi?
— Pensavo che potesse piovere dentro.
— Ha smesso di piovere ieri a mezzogiorno. Va’ a casa, Stavvy. Questo posto è quasi vuoto. Sembra che a Marthatown stiano tutti disgustosamente bene, a quanto pare. Molto meglio di quanto sembri stare tu. Non che la cosa mi sorprenda, sai? Non credo che ci sia una sola donna a Marthatown che creda realmente di aver perso suo figlio sin quando non arriva a quindici anni e la ripudia. Si cerca di essere preparate ma in realtà è impossibile. È come perdere un braccio o una gamba. Va’, concediti un po’ di convalescenza.
— Oh, Morgot, avevo sperato…
— Lo so, amore. Te lo avevamo detto tutti di non farlo ma non saresti un essere umano se non avessi sperato. Ripetiti i comandamenti, ti aiuteranno a prendere sonno. Se non puoi dormire, almeno riposati. Questa notte c’è una riunione del Concilio.
— Me n’ero dimenticata! — si morse un labbro, irritata con se stessa; non era una cosa da scordare quella!
Stavia riabbottonò la sua veste imbottita e lasciò l’ospedale; sbottonando il colletto quando uscì alla luce del sole; la fredda pioggia dell’inizio di primavera per il momento era cessata lasciando posto a una parvenza d’estate, un calore transitorio che induceva a un falso ottimismo. Prima dell’arrivo della vera primavera il freddo sarebbe ricomparso, a dispetto di quanto il sole e il mare cospiravano per suggerire. Era troppo presto per il pranzo. A casa non c’era nessuno; le ragazze erano a scuola e Corrig era andato all’associazione dei servitori, dove insegnava i misteri. Avrebbe avuto la casa a disposizione se avesse voluto schiacciare un pisolino ma non ne aveva voglia, non ancora.
Vagabondò un poco per il mercato, senza rendersi conto che aveva voluto raggiunere le mura finché non raggiunse le botteghe dei fabbricanti di candele al limitare della piazza.
— Stupida sentimentale — si disse mentre saliva le scalinate. — Cosa pensi di poter vedere là sopra?
Ciò che Stavia vide fu il piazzale delle parate deserto con la sua torre e il monumento a Telemaco e dietro questo le palizzate istoriate delle baracche illuminate dal sole. Dietro di esse scorgeva delle macchie nere che correvano sui campi da gioco; la guarnigione era grande solo la metà di quello che era stata quando era bambina e ogni suo componete sembrava o giocare o guardare dai bassi spalti del terreno di gioco. Tre o quattro uomini stavano in osservazione dalla terrazza degli alloggi degli ufficiali. Scuotendo la testa Stavia trovò un angolo riparato e cercò un libro nella tasca della veste. Aveva cercato un punto ombreggiato perché, nei punti dove batteva il sole, faceva troppo caldo. Avrebbe trascorso un paio d’ore ripassando Ifigenia , poi avrebbe acquistato qualcosa da mangiare alla sala da tè prima di tornare a casa per un riposino. A quell’ora sarebbe stata sufficientemente stanca da poter dormire, si disse, sfogliando le pagine per ritrovare il punto dove lei e Corrig si erano interrotti quella mattina.
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