— Penso che sia venuto il momento della mia entrata in scena — disse Stavia riempiendo due tazze di cereali per entrambi. — Non sei stanco di leggere, Corrig?
— Mi piace il suono della mia voce. Ora preparati, tocca a te — e riprese a leggere.
ECUBA: Chi è? Chi cammina su queste mura tra i guerrieri?
— Il grido si ripete — citò a memoria Stavia — e lo spettro di Ifigenia appare in scena. Tra le braccia, mentre scende per la scala, porta lo spettro del bimbo.
ANDROMACA: Non hanno pietà i guerrieri? Che coraggio hanno? Sono forse fatti di pietra? Cos’hanno al posto del cuore? Non si accorgono che sono uguali, i nostri figli e i loro, e che la nostra carne è simile a quella delle donne che si sono lasciati alle spalle.
IFIGENIA: ( Gridando come un gabbiano ) Che differenza farebbe? Fanno le stesse cose alle loro donne.
ANDROMACA: Chi parla? È forse mio figlio?
IFIGENIA: ( Reggendo il bambino ) Tuo figlio? O il figlio di un’altra? Due bambini morti. Una vergine e un poppante. Vedi, siamo qui, vaghiamo insieme ( Comincia a danzare ) .
ECUBA: ( Spaventata ) Chi sei?
IFIGENIA: La figlia di Agamennone che viene all’Ade per cercare vendetta contro chi la uccise.
ECUBA: La figlia di Agamennone? L’uomo che dice che porterà via Cassandra?
IFIGENIA: Ah, bene, sappiamo la verità, vecchia. Non la porterà lontano né la terrà a lungo con sé. E non hai bisogno di maledirlo. L’ho maledetto io stessa a sufficienza senza bisogno delle tue maledizioni.
ANDROMACA: E quello è mio figlio?
IFIGENIA: Se io sono la figlia di mio padre questo è tuo figlio. No, questo è stato un figlio migliore per te, di quanto non lo sia stata io per mio padre. Lui infatti non ti ha mai maledetto. Vedi? Sorride.
ECUBA: Tu maledici tuo padre?
IFIGENIA: Io maledico chi mi uccise. E chi costrinse mia madre a lasciarglielo fare.
ANDROMACA: Ridammi mio figlio. ( Si avvicina a lei ma non può prendere il bambino )
IFIGENIA: Non puoi prenderlo, mia infelice regina. Ma vedi? Sorride ancora. Sii contenta che venga con me; ha molti amici che camminano tra noi spettri. Polissena lo cullerà tra le braccia e gli darà poppate di asfodelo.
ECUBA: Polissena è morta! Ma Taltibio ha detto che avrebbe servito alla tomba di Achille.
IFIGENIA: È stata uccisa sulla tomba di Achille, in questo consiste il suo servizio.
ECUBA: Ah, Taltibio mentitore! Mi hai ingannato con parole di serpente. Mia figlia è morta.
IFIGENIA: La sua gola fu recisa sulla tomba di Achille proprio come la mia fu recisa su quella di Artemide. Puzzano di sangue di vergine quegli uomini.
ECUBA: Dicci quali sono gli dei che si compiacciono del sangue dei morti.
IFIGENIA: Shh shh, non maledire gli dei, vecchia. È l’uomo che ha messo loro l’odore del sangue nelle narici e ha sparso le viscere sulle loro labbra.
( Fa il suo ingresso in cima alle mura lo spettro di Achille )
ACHILLE: Dov’è la mia ancella Polissena?
Gli occhi di Stavia erano quasi chiusi come se si fosse addormentata.
Corrig l’osservò per un momento poi chiese gentilmente: — Chi farà la parte di Achille?
— Joshua, credo. L’ha fatto molte volte prima — disse lei sbattendo le palpebre.
— Il buon vecchio Joshua.
— Buono davvero — disse Stavia. — Lo sai, Corrig, ricordo una volta quando avevo undici anni, Myra stava leggendomi la tragedia, come fai tu adesso… — la sua voce tremava quando pensava a Myra.
Corrig non parlò per un certo periodo di tempo. Poi chiese: — Hai rivisto Myra di recente?
Stavia riprese il controllo di sé con uno scossone. — No, da mesi. La vedo solo se mi capita di imbattermi in lei al mercato o da qualche altra parte. Non credo che abbia mai perdonato Morgot di averle ordinato di andarsene.
Corrig scosse il capo stancamente: — No, non ha mai perdonato te, Stavia. Perché tu sei rimasta.
Che Myra abbandonasse la casa di Morgot era stato inevitabile dal momento in cui aveva incontrato Barten. Non che questi l’avesse costretta o che Myra stessa l’avesse previsto o che Morgot avesse saputo che sarebbe successo. Nessuno lo sapeva, ma era stato comunque inevitabile.
Il giorno in cui era iniziata la rottura tra Myra e Morgot, Stavia aveva appena compiuto undici anni. Lei e Myra si trovavano nella sua camera, recitando le prime battute della commedia, entrambe più che annoiate.
— Sai, Stavia — disse Myra con il tono drammatico che usava quando assumeva il ruolo della sorella maggiore — hai recitato bene la maggior parte delle battute, ma sembri scordarti che questa è una commedia.
— Non me lo dimentico — obiettò Stavia, rotolando sul suo letto con il viso rivolto al soffitto. L’inverno precedente la pioggia era filtrata attraverso le tegole del soffitto lasciando un lunga striscia di umidità che a volte sembrava un uomo con una lunga barba e altre ricordava qualcos’altro di indefinito. — Mi sento a mio agio sin quando non arrivano al punto in cui si parla di buttare il bambino giù dalle mura, allora mi viene in mente Jerby e non la trovo più tanto divertente.
— Ma l’hai vista ogni anno, per carità del cielo! Ci andiamo sempre tutte prima del carnevale estivo. Usano quel pazzesco manichino con la faccia da clown per simulare il bambino. Non sembra neanche un bambino vero. Nessuno ha la pretesa che lo sembri. E la vecchia non è realmente vecchia. Le vergini non sono vergini. Dovrebbe essere una satira, non lo sai? — Si rabbuiò cercando di ricordare qualcosa che le aveva detto la sua insegnante. — Una satira di alcune particolari abitudini della società prima delle Convulsioni.
— Lo so — Stavia sapeva che si trattava di una satira, ma sapere ed essere convinta erano due cose differenti. Lei interpretava la commedia in maniera diversa.
Myra proseguì: — Ecuba e Andromaca sono tutte agghindate come una coppia di zingare del fiume, con le gote e le labbra dipinte di rosso come Taltibio. Lui dice che anche Andromaca è ancora giovane e la tocca con una mano, sai? E poi arriva Achille dalle scale con l’uccello di fuori tutto eccitato alla ricerca di Polissena…
— Lo so , Myra. Solo che continuo a pensare a Jerby, questo è tutto.
— Andrà tutto bene per lui — disse Myra, sebbene dal suono della sua voce si capisse che non ne era perfettamente convinta. Non amava parlare a lungo del fratello. Il fatto che fosse alla guarnigione la confondeva. Voleva che tornasse indietro anche se gli uomini che ritornavano erano considerati dei codardi e dei mammoni, secondo le parole di Barten, il giovane guerriero con il quale passava tanto tempo a parlare in cima alle mura. Tutti i guerrieri dicevano la stessa cosa. Fino a poco tempo prima non aveva mai considerato Joshua un codardo o un mammone e non era certa dell’effetto che aveva la castrazione su un uomo, ma immaginava che fosse così se Barten lo diceva. — Jerby tornerà presto in visita.
— Mancano due mesi prima del carnevale estivo.
— Lo so — Myra si alzò dal pavimento dove si era seduta per ripassare la parte con Stavia. — Oh, lo so. — Si guardò allo specchio; girando il capo da una parte all’altra, assumendo la posa da ballerina con le braccia tese sopra la testa.
— Avrai un appuntamento d’amore, vero?
— Forse — scosse i capelli rossi — uno dei guerrieri mi sta facendo la corte.
— È carino?
— Mmm — Myra ruotò gli occhi e fece un gesto civettuolo — ha le spalle larghe, un bel culo, occhi di un blu intenso, capelli e sopracciglia nere, le labbra formano una curva nel mezzo…
— Come si chiama?
— Barten. È nella centuria di Michael. Tally mi odia, sai? Sta per lasciarla. Le faceva la corte prima di incontrarmi — si vantò gettando indietro il capo, assumendo per un attimo quell’aria bellissima e misteriosa che a volte aveva anche Morgot.
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