Naturalmente anch’io ero alquanto giù di morale. A parte l’accaduto e i dolori che avevo addosso ero preda di una sensazione spiacevole. Mi sentivo sotto costante osservazione, anche se non avevo mai sorpreso le guardie a sbirciar dentro dalla finestra. E c’era un’altra cosa a preoccuparmi. — Senti — dissi, — non è il caso di prendertela così.
Smise di spalmarsi la crema sul viso per elargirmi un’occhiata astiosa. — E come mi consiglieresti di prenderla?
— Già che ci siamo potresti almeno soddisfare la mia curiosità circa un particolare che mi dà da pensare. Quando ti sono venuto accanto, al portale, tu avevi regolato i comandi dell’apparecchiatura approfittando della distrazione di chi ti sorvegliava. Poi hai attraversato con me…
Ebbe una risata amara come un latrato. — Poi mi hai scaraventato dentro, vorrai dire!
— Sì, certo. Ma subito dopo siamo precipitati per quattro metri, dall’altra parte. Cristo! Avresti potuto avvertirmi che c’era un salto — lo accusai, per nessun’altra ragione che dividere le colpe a metà. — Credevo che avessimo fatto ritorno nella mia linea temporale. Ma mentre tu dormivi ci ho pensato sopra.
Fece un grugnito. — DeSota, se hai qualcosa da dire vuoi per favore venire al punto?
— Il punto è: tu dove stavi cercando di andare?
— Cercavo di scappare — borbottò.
— E dove? Ma… questa è la tua linea temporale, no?
— Questo buco d’inferno primitivo? — ringhiò. — No!
— Ma perché…
— Perché non ho tentato di tornare nel mio mondo? Perché non ne ho più uno, DeSota! C’è una sola cosa che voglio, adesso, ed è di starmene alla larga ! — Tornò a gettarsi sul letto.
— Ascoltami… — cominciai, in tono ragionevole.
Scosse il capo. — Dimenticatene! — stabilì.
Per il momento decisi di lasciar perdere. Non perché lo diceva lui, ma perché avevo sentito il rumore di un’auto che era venuta a fermarsi nelle vicinanze, fuori vista. M’accostai alla finestra e cercai di capire cosa stava accadendo, ma da lì non si scorgeva niente. Ci fu il rumore delle portiere che sbattevano, poi alcune voci indistinguibili, fra cui quella di una donna. Una voce che conoscevo meglio di ogni altra. Qualche secondo dopo apparve Nyla, sul bordo opposto della piscina, e la giovane donna cominciò a spogliarsi. Non si preoccupò di gettare neppure un’occhiata verso la nostra finestra. Sedette sulle mattonelle, tastò l’acqua con un piede, poi scivolò fuori dalla sottoveste e con un guizzo scomparve sotto la superficie, tappandosi il naso con una mano.
E benché fosse una mano senza il pollice un’altra sensazione, dolorosa e pressante, si aggiunse a quelle che mi stavano opprimendo il sistema nervoso.
Se Nyla Senzapollici non guardò dalla nostra parte, quel che è certo è che io guardai lei. Potevo vedere una delle guardie, appoggiata a una colonnetta davanti all’ufficio del motel, e i suoi occhi non si stavano perdendo niente di quel corpo eccitante e a me così familiare. Perfino Douglas era venuto alla finestra, al mio fianco. — È fatta bene, quella puttana d’inferno — borbottò.
Avrei potuto strangolarlo.
Provare sentimenti di quella fatta, ovviamente, era pura follia. Cercai di dirlo a me stesso. Ma non serviva a niente, perché tutti i pensieri che avevo nella testa si dileguavano, sparivano, e il vuoto che lasciavano veniva riempito dall’immagine di Nyla. Di ogni Nyla. Tutte le Nyla. Nyla Bowquist, la mia amata, virtuosa del violino. Nyla Sambok, soldatessa di un esercito nemico. Nyla Senzapollici: Nyla Christophe anche lei, che però non era… naturalmente non era sposata, perché chi avrebbe voluto quel pezzo di ghiaccio? Zelante burocrate della legge, al comando di scagnozzi e picchiatori in completo grigio, esperta nel terzo grado.
E tutte quante erano la stessa persona. Non avevo bisogno d’impronte digitali e analisi delle urine per saperlo. Me lo sentivo nelle viscere, con un’intensità che avevo imparato a conoscere fin da quando avevo quattordici anni e sbirciavo da una grata nello spogliatoio delle ragazze, al campo scuola del liceo.
C’erano delle incongruenze di cui non ero riuscito a capacitarmi, quando avevo cominciato ad avere a che fare con loro. Nella prima, la sergente, avevo trovato un carattere abbastanza brusco da sentirmi scuotere i nervi. Ma dopo le prime perplessità ero riuscito a vedere l’essere umano dietro quella maschera. Se non era un violinista da concerto, quantomeno insegnava musica. E indossava l’uniforme soltanto perché era stata richiamata in servizio. La mia amata avrebbe potuto seguire la stessa strada, se la mano del destino ce l’avesse spinta in un modo o nell’altro quand’era più giovane.
Ma questa qui!
Questa donna senza pollici… senz’anima, senza amore, ma soprattutto con quell’amputazione alle mani che sembrava un’amputazione dei sentimenti. In lei non potevo riconoscere nulla di quella Nyla che amavo.
Nulla salvo le forme deliziose del suo corpo. Ed era il mio corpo che nel riconoscerle reagiva ad esse.
Era un miscuglio di odio e di desiderio che riuscivo a capire, perché avevo già saputo di situazioni simili… non di quel genere, intendo, ma capaci di scatenare emozioni identiche. Me ne aveva parlato un compagno di bevute (bevute politiche, diciamo) dopo uno di quei congressi in cui ci si stordisce a forza di discorsi, di applausi, di risultati che appaiono sui tabelloni, e alla fine chi rimane a far le ore piccole non trascura il supporto di una bottiglia. Disse d’aver sorpreso sua moglie sul fatto con un altro uomo. Quando fu certo che non potevano esserci equivoci la rabbia e il dolore lo accecarono, e tuttavia qualcosa in lui reagiva ancor più bestialmente: incredulo, s’accorse di essere eccitato. Dopo la scenata, le urla, i ceffoni, ciò che sopraffaceva ogni altro suo pensiero era la voglia di fare all’amore con lei, più energicamente e sensualmente di quanto non l’avesse mai fatto. Trovarsi davanti a quello sconosciuto, a quella relazione da cui lui era escluso, a quella donna che d’improvviso gli mostrava un suo lato insospettato ed estraneo, gli metteva addosso un violento bisogno di sbatterla sul letto e di lasciar perdere ogni altra considerazione per sfogarsi con un atto sessuale animalesco.
Guardando Nyla da quella finestra la desiderai allo stesso modo.
Lei e tutte le altre Nyla.
Grottesco? Naturalmente! Sapevo bene quanto fosse grottesco. Eppure non potevo fare a meno di pensare… cosa sarebbe stata la mia Nyla senza i pollici? In che modo sarebbe stato diverso il nostro fare all’amore? Ad esempio, a letto lei compiva certi gesti nell’accarezzarmi, mentre io ovviamente accarezzavo il suo corpo con gesti assai diversi. E spesso ridacchiando parlavamo delle nostre pure e semplici differenze anatomiche, e del fatto che a lei era impossibile capire cosa provocavano in me le sue carezze, così come io non avrei mai saputo ciò che facevo provare a lei. Ma senza pollici non avrebbe potuto compiere quei gesti, o non esattamente quelli… e comunque, come sarebbe stata la cosa?
Mi è perfino difficile dire in parole quanto avrei voluto sperimentarlo in quel momento.
La scena che avevo davanti agli occhi mutò bruscamente quando Moe venne a piazzare la sua mole di fronte alla finestra e si accorse che stavo guardando. Spinse il vetro e la aprì, costringendomi a indietreggiare. — Belle cose che ti ronzano in capo! — mi derise. — Dimenticatele! Lei non lo vede neppure un fringuello come te, anche se ti tratta meglio di quel che meriti. — Si spostò e lo sentii aprire la serratura dall’esterno. — Dio sa perché si è presa la briga di farlo — brontolò, accennando a Douglas di alzarsi. — Vi ha comprato qualcosa da mettere sotto i denti, e dice che potete andare a mangiare nell’appartamento del padrone. C’è anche l’aria condizionata.
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