Se io ero uno di loro la mia prossima destinaziome non sarebbe stata Chicago. Sarebbe stata una pista fangosa nelle Everglades, a scavare canali di drenaggio ed a lottare coi coccodrilli… o una foresta nevosa dell’Alaska, a buttare giù alberi per aprire strade fra le miniere e le raffinerie. O qualunque altro posto. Dovunque. E quello, c’era da starne certi, sarebbe stato il mio indirizzo permanente, almeno fino al giorno in cui i miei segreti non sarebbero più stati segreti di qualche importanza.
O fino al giorno della mia morte, se fosse venuto prima quello. Ed ero abbastanza sicuro che dopo un paio d’anni di campo di lavoro non mi sarebbe importato molto quale delle due cose accadesse per prima.
Quando l’ombra dell’asta della bandiera sull’aiuola si fu accorciata fino a sparire, col sole praticamente a picco, ci portarono dei sandwich di prosciutto e formaggio, avvolti in carta oleata, e un orripilante caffè, il tutto partorito dalle viscere di un distributore a moneta della stazione di servizio. Stavo morendo di fame, ma quei sandwich mi diedero la nausea. Li misi da parte. Quando la porta si riaprì preparai la tazza e gli involucri per restituirli a Moe.
Ma lui e l’altra guardia non erano entrati per quel motivo. Si fecero da parte e dietro di loro venne Nyla Christophe. Sul suo volto c’era un sorrisetto annacquato. In una mano priva di pollice aveva una bottiglia di champagne, e la reggeva contro il petto per non rischiare di perderla. — Congratulazioni, ragazzi — annunciò. — Avete superato il test. Siete sempre gli stessi.
Né Douglas né io dicemmo una parola. Lei fece il broncio. — Oh, tesoruccio — disse a Douglas con una risatina (non fu esattamente una risatina rassicurante). — Non capisci che questo è il mio modo per dirti che mi dispiace? Bicchieri — ordinò, senza alzare la voce, e uno degli scagnozzi s’affrettò ad arrivare con un vassoio del motel. Lei mosse appena il capo; le guardie uscirono. Poi diede la bottiglia a Douglas.
— Così vanno le cose, carino — gli disse, mentre l’uomo, guardando più lei di quel che stava facendo, svolgeva il tappo con automatica destrezza. — Lieta di vedere che non hai perduto il tuo tocco.
C’era qualcosa nell’aria di lui (fra bellicosa e preoccupata) e nella dolcezza di lei (meno ironica di quel che voleva far credere) che mi confuse alquanto. Di qualunque genere fosse, la loro relazione non era certo quella che avrei supposto fra un agente federale e il suo informatore.
Ci fu il pop del tappo che veniva via del tutto.
Douglas versò. Nyla Christophe accettò il primo bicchiere, cingendolo abilmente con le sue quattro dita. — Sai di cosa sto parlando? — Dopo un lieve singulto (quella non doveva essere la sua prima bottiglia di champagne della giornata, pensai) guardò me. Io scossi la testa. Lei disse: — No, lo supponevo. Gli esami sono andati bene: stesso sangue, stesse ossa, stesse impronte. Voi siete gli stessi di prima… e il mio rapporto è già in strada per il Quartier Generale, dove fra non molto andrò a risiedere anch’io. Così brindiamo a Nyla Christophe, forse futuro direttore capo dell’intero dannato Bureau!
E io brindai col suo dannato champagne. Brindai, un po’ perché non ero particolarmente ansioso di contrariarla, un po’ perché un sensale d’ipoteche non si vede passare sotto il naso tutti i giorni quella roba d’importazione, e un po’ perché non sapevo cos’altro fare. Forse Douglas aveva ragione! Forse la faccenda era davvero così grossa da procurare una promozione a Nyla Christophe… e in quel caso forse aveva anche ragione per tutte le altre sue spiacevoli dichiarazioni.
Mi chiesi cos’avrebbe fatto Greta se non l’avessi rivista mai più. Mi avrebbero permesso di scriverle? O di dirle addio?
Quel che Nyla Christophe aveva detto non poteva essere una buona notizia per me. Tuttavia Douglas pensò che lo fosse per lui. — Questa è grande , bambola! — si entusiasmò. — Ragazzi! Gliela farai vedere a quelli di Washington. E ascolta me: ho un mare di idee per te! Questa faccenda di due soggetti con la stessa identificazione… dico, hai mai riflettuto su quel che può significare per il Bureau? Ad esempio, per infiltrare organizzazioni sovversive? Naturalmente non so ancora come funziona, ma…
La Christophe lo lasciò andare a ruota libera, con un sorrisetto sognante dipinto sul viso. Gli si accostò, annui e gli poggiò amichevolmente una mano su una spalla. — Caruccio — disse con affetto. — Sei davvero divertente. Comico.
Lui deglutì. — Tu… non vuoi prendermi con te? — balbettò.
— Prenderti con me? Questa è l’ultima fottuta cosa che farei mai, Larry, dolcezza.
Lui arrossì. — E allora lasciami perdere, dannazione! Se le cose stanno così, non ci guadagni niente a venirmi a lisciare a questo modo!
Lei lasciò svanire il sorriso. Bisogna dire che era veramente una gran bella femmina, quando voleva. Agli angoli della bocca le rimasero impercettibili increspature. — Larry — disse, morbida, — può darsi che ci sia qualcuno con cui vado a letto, quanto intendo fare quella cosa sul serio. Ma tu non sei certo uno di questi.
Io non avevo idea di quel che voleva dire. Lui, ovviamente, sì: divenne grigio in faccia. — Tu non sai un accidente — continuò la Christophe. — La cosa è molto più grossa di quel che potresti mai immaginare. — Si volse a me. — Vuole sapere cosa c’è in ballo?
Oh Dio, se lo volevo! Non riuscii neppure a rispondere. Ma lei me lo lesse in faccia e proseguì: — Vediamo di cominciare dal principio. Supponiamo…
Esitò. Poi scosse le spalle e con una smorfia ci mostrò le mani, a dita tese, esibendo la mancanza dei pollici come una sorta di oscena nudità. — Supponiamo che quando avevo diciassette anni non mi fossi messa nei guai con la legge. Supponiamo che io avessi avuto un’adolescenza normale. La mia vita sarebbe stata molto differente, no? — Le accennai che potevo fare lo sforzo d’immaginarlo, ma la mia fantasia non arrivava a elucubrare ipotesi. Douglas, abbacchiato, guardava altrove. — Così potrebbe esserci una vita in cui sono cresciuta e diventata quella che sono oggi. Giusto? E potrebbe essercene un’altra in cui sono diventata… oh, non saprei. Una musicista. Magari una suonatrice di violino.
La sua faccia era impassibile, ma dalla luce che le colsi negli occhi mi parve che stesse aspettando di vedere se mi sarei messo a ridere a quell’idea. Non risi. — Capite, c’è stato un tempo in cui questo mi sarebbe piaciuto — disse. — E il fatto è che non potete dire che una di queste possibilità è reale e l’altra soltanto immaginaria. Non più. Perché entrambe sono reali. Tutte le possibilità sono reali, forse. È solo che noi viviamo in una di queste possibilità, e non possiamo vedere le altre.
Indagai l’espressione di Douglas. Era confuso quanto me, e molto più preoccupato… probabilmente, pensai con un filo d’ansia, perché aveva le idee più chiare delle mie su quel che ci sarebbe capitato.
— Al diavolo tutto questo! — rinunciò lei all’improvviso. — Venite e vi farò vedere. Moe!
La porta si aprì all’istante. Nyla spostò di lato il grosso individuo e ci accennò di seguirla. Fuori c’era un sole rovente. Tenendole dietro notai che non camminava in linea retta… un po’ per via dei tacchi alti sulla ghiaia, un po’ perché si boccheggiava per l’afa, e un po’ a causa dello champagne. Ma ebbi l’impressione che fosse già come ubriaca del suo futuro. Ci fece strada fino a un’altra camera, davanti alla quale stazionava un agente dell’FBI. Un cenno di Nyla Christophe e l’uomo aprì la porta. Lei guardò dentro poi si volse a me e a Douglas.
— Date un’occhiata — ci invitò. — Qui ci sono due buone possibilità per voi.
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