— Ma è il vostro progetto! — protestai. — Se non capite voi cosa sta succedendo, chi altro potrebbe?
— Ho ammesso che non sono preparata, senatore. Non ho detto che non lo capisco… comunque, non del tutto, certo. — Vide che fissavo la sua sigaretta e mi porse il pacchetto. — Ad esempio — disse, facendo scattare l’accendino, — sappiamo molte cose sulla linea temporale dei nostri visitatori… gli invasori, voglio dire, quelli del vostro alter ego maggiore dell’esercito.
— Sappiamo molto?
— Abbastanza, sì. Ci hanno invaso perché intendono annientare il loro nemico aggirandolo alle spalle, ovvero attraverso la nostra linea temporale. La stessa strategia che stavamo preparando noi.
— Dottoressa Valeska — dissi, — noi non stavamo preparando niente. Lo scopo della Casa dei Gatti era di studiare la fattibilità. Non esisteva nessun piano strategico.
La sua scrollata di spalle m’informò che per lei quella distinzione era accademica. — C’è un’altra solida deduzione, e un altro fatto. La deduzione è che, per quanto abbiano ben sviluppato la loro tecnica di attraversamento fra le realtà parallele, esiste almeno un’altra linea temporale più progredita di loro. Quella che ha prodotto il nostro primo Dominic DeSota.
Notai che non soltanto gli altri presenti nel locale si stavano avvicinando per ascoltare, ma anche la guardia sulla porta tendeva gli orecchi verso di noi. Be’, perché no? Forse avrei potuto dedurre qualcosa dalla sua espressione. — Come lo sapete? — chiesi, controllando la guardia con la coda dell’occhio.
— Perché quest’altra gente… chiamiamoli, per intenderci, America Uno, perché costoro possono proiettare un individuo attraverso l’interfaccia dimensionale e ritirarlo indietro con la massima facilità. Non credo che America Due, gli invasori, riescano a fare altrettanto. — Il modo in cui vidi accigliarsi la guardia me lo fece ritenere plausibile. Anche Edna Valeska, mi parve, aveva notato l’espressione dell’uomo. — Così — concluse, — nella partita c’è un terzo giocatore.
— Dunque potremmo avere un alleato — dissi speranzoso. — America Uno potrebbe ritenersi, come noi, vulnerabile alle mire di America Due.
La guardia ci fissava a occhi stretti, e il suo sguardo preoccupato era confortante. Stavamo parlando di cose che a lui non faceva piacere neppure pensare. Mi volsi a fargli un sorrisetto. Errore. Mi rivolse una smorfia e guardò ostentatamente altrove, il mitra rigidamente inbracciato e la faccia inespressiva. Ma anche quella era una specie di conferma.
— D’altra parte — disse Edna Valeska, — se America Uno avesse avuto intenzione di aiutarci in qualche modo, certo non le sarebbe mancata l’occasione. Non lo hanno fatto.
Questo era abbastanza vero, e cominciai a sentirmi più a disagio della guardia. — Ebbene, qual è quest’altro fatto che conosciamo su America Due, gli invasori? — domandai.
— L’Unione Sovietica è il loro principale nemico.
Dissi: — Sì, così pare. Ma è difficile da credersi! Dopo la guerra atomica, quando i cinesi decapitarono la nazione bombardando Mosca e Leningrado e…
— Certo, Dom — intervenne il colonnello Martineau. — Ma vedi, nel loro universo questo non è successo. Sono notizie che abbiamo messo assieme dopo esser stati interrogati. Sembra che i loro nemici sovietici abbiano combattuto l’ultima guerra intorno al 1940, a quanto ho capito. Hanno assalito la Finlandia, e la Germania ha attaccato loro…
— La Germania!
Martineau annuì. — Da loro i tedeschi non hanno fatto la rivoluzione. A quell’epoca prese il potere un uomo di nome Hitler, e la guerra fu maledettamente dura. I russi la vinsero, e subito dopo occuparono l’Europa dell’est. Il loro capo era un certo Josip Stalin.
Quella era ancora più dura da mandar giù. — Aspetta un momento! Io so chi era Stalin. Governò la nazione per un po’ di tempo, finché non fu assassinato. Conosco personalmente suo nipote. Come forse sai è l’ambasciatore russo presso di noi. Spesso giochiamo a bridge insieme. È un buon amico di… è mio amico — mi corressi. Non volevo menzionare Nyla Bowquist. Gettai un’occhiata alla guardia: con più cautela adesso, tuttavia ci stava ascoltando. — Suo nonno Joe, come lo chiama scherzosamente lui, fu ucciso da non so quale organizzazione di separatisti georgiani. Fu all’epoca in cui quello sciopero generale condusse l’Inghilterra alla rivoluzione. Loro divennero socialisti, come sono ancor oggi, mentre in Russia Litvinov prendeva il potere grazie alle sue connessioni con l’Inghilterra. Aveva una moglie inglese, come saprete. In seguito, nel 1960, in Germania ci fu la controrivoluzione e la Kaiserina tornò a Berlino. E oggi loro e i giapponesi sono i nostri maggiori competitori. — Tacqui. Non volevo sbalordire la guardia. Volevo solo confonderla un po’. Anche se quella mia digressione aveva confuso ancor più Edna e il colonnello.
Martineau scosse il capo. — Niente di tutto ciò è accaduto nel loro universo — stabilì, secco. — Negli ultimi trenta o quarant’anni loro hanno avuto due vere e proprie superpotenze, la Russia e l’America. E quel che vogliono è distruggere il loro avversario.
La guardia non ci stava più ascoltando. All’esterno del Club c’erano delle voci e l’uomo s’era voltato a guardare quel che stava succedendo. Poiché fino ad allora avevamo parlato più che altro per dedurre qualcosa dalle sue reazioni, quando smise di reagire la conversazione languì.
— Oh, all’inferno! — borbottò uno degli scienziati più giovani, e scosse le spalle come a dire che reputava inutile fare piani di qualche genere. Anche gli altri parvero trovare sufficiente quel commento.
— All’inferno e maledizione — sospirò anche Edna Valeska. — Mio marito si starà preoccupando a morte. Non sopporta neppure che io passi la notte fuori di casa. Vorrei almeno fargli sapere che sto bene.
— Non credo che ve lo permetteranno — dissi.
Il colonnello annuì. — Col lavoro che faccio, mia moglie è abituata a queste cose… cioè, non queste cose, però non si impensierisce se non le telefono regolarmente. So che per i civili è diverso. Scommetto che sei preoccupato per lei, Dom.
— Cosa? Oh, certo — mormorai, ma non aggiunsi anche per lei.
Prima di mezzogiorno ci portarono il pranzo. Si trattò solo di spaghetti e polpette precotti, tirati fuori dal frigo della Mensa Ufficiali, ma la frutta era fresca e il caffè appena fatto. — Ci ingrassano prima di metterci in pentola — fu la facezia di uno degli scienziati, ma i nostri sorrisi si spensero al risuonare di passi militareschi nel corridoio. A entrare furono un soldato col mitra spianato e Nyla. O meglio la sergente Nyla Sambok, alle spalle della quale vennero dentro altri due uomini armati.
La ragazza apprezzò l’attenzione che le prestavamo. — Se volete finire i vostri caffè, prego — disse, — siamo pronti per condurvi in alloggi più confortevoli.
— E dove? — chiese il colonnello Martineau.
— Non lontano da qui, signore. Volete seguirmi, per favore? — La sua voce era quella della mia Nyla. E anche quel «per favore»; un tocco di gentilezza piacevole, pensai, date le circostanze. Lo stesso non si poteva dire del modo in cui i suoi uomini ci stavano puntando addosso le armi. Che avessimo finito il caffè o no, ci alzammo tutti.
Non dovemmo camminare per molto. All’esterno, dopo l’aria condizionata del Club, la calura del deserto ci colpì come l’alito di un drago. Ma il luogo dove venimmo condotti fu di nuovo la Casa dei Gatti, appena di fronte. Scendemmo nel seminterrato dell’edificio, in un locale piuttosto vasto che una volta era stato adibito al tiro a segno. Adesso era pieno di gente con la fascia verde al braccio, e da un lato vidi dei macchinari dall’aspetto di generatori con su stampigliate le lettere OD. Lunghi cavi risalivano all’esterno, in strada, dove si sentiva pulsare sordamente un motore diesel. E mi trovai a guardare una specie di grande schermo rettangolare nero come una notte senza stelle.
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