Mi volsi al sottotenente, e lui si passò un pollice di traverso lungo la gola. Il caporale accanto alla trasmittente abbassò un interruttore e questo fu tutto.
— Ci vediamo più tardi, maggiore — mi ricordò il sottotenente, e seguì i suoi uomini fuori dall’ufficio.
Mi appoggiai indietro, tastando i braccioli di pelle e l’imbottitura. Questa gente si trattava bene. C’erano quadri alle pareti e moquette sul pavimento. — Come vi sono sembrato, Nyla? — chiesi.
Lei sorrise. — Un vero professionista, maggiore. Se mai lasciaste l’esercito potreste farvi assumere da una stazione radio.
— Ormai sono troppo grosso per adattarmi a poltrone tanto piccole — dissi. — Avete notificato a Tac-Cinque che questo edificio è sotto controllo?
— Sì, signore. Tac-Cinque comunica: «Ben fatto, maggiore DeSota». Gli altri scaglioni hanno occupato senza difficoltà i sei edifici qui attorno. L’intera area è controllata.
— E i prigionieri?
— Abbiamo tirato su un recinto nell’area di parcheggio. Il caporale Harris e tre uomini li stanno sorvegliando.
— Bene, bene — dissi. Tentai anche gli altri cassetti della scrivania. Chiusi. Mi ero impadronito dell’ufficio del capo scienziato, ma sfortunatamente in un momento in cui il capo scienziato era fuori dalla Base. E le chiavi doveva essersele messe in tasca. Una seccatura, ma non un problema. — Apritemi questi, sergente — chiesi. La sergente Sambok studiò un attimo le serrature, controllò gli angoli di rimbalzo, poi piazzò la carabina in corrispondenza di ognuno dei fori e sparò. Le pallottole andarono a conficcarsi tutte nella parete presso la porta.
I cassetti si aprirono senza altre difficoltà. All’interno c’era il solito ammasso di oggetti che ci si aspetta quando il piano di una scrivania è sgombro, oltre a un paio di quaderni e un certo numero di fascicoli dall’aria ufficiale. Naturalmente avevamo spiato questa gente molto da vicino e per mesi prima di aprire il portale, ma il Dr. Douglas avrebbe voluto dare un’occhiata a quei documenti. — Un’ordinanza, prego — dissi. Sulla porta la sergente Sambok fece un gesto, e dal corridoio arrivò di corsa un soldato semplice. — Torna alla porta d’uscita e recapita questo materiale — ordinai, rigirandomi fra le dita con ammirazione un accendisigari d’oro con sopra inciso Harrah’s Club, Lake Tahoe. Sarebbe stato un piacevole souvenir, ma lo rimisi dentro e chiusi il cassetto di colpo.
Dopotutto non eravamo ladri.
La sergente Sambok era ancora sulla soglia, e qualcosa nella sua espressione m’indusse a domandare: — C’è qualcos’altro, sergente?
— Il soldato semplice Dormeyer è AWOL — disse.
— Merda! — Lo sguardo di lei si disse d’accordo col mio commento. — Non c’è AWOL in zona di combattimento. Se gli MP lo beccano sarà accusato di diserzione. — Ecco un’altra coincidenza. — Dannazione, sergente, qualcuno dovrà pur sapere dov’è andato. Trovatelo. Voglio che torni immediatamente in servizio.
— Sì, signore. Me ne occuperò io stessa.
— Sì, sarà meglio — annuii. — Ma non dedicate più di dieci minuti a questa faccenda. Poi raggiungetemi alla porta d’uscita.
Il mio reparto d’assalto era stato il primo ad attraversare, ma ci eravamo impadroniti di ogni altro obiettivo. Adesso alla Base c’erano trecento militari di truppa (nostri, intendo, senza contare quelli che avevamo fatto prigionieri) e non avevo altro da fare finché non sarebbe stato il momento della trasmissione televisiva. Vale a dire finché non avessimo preso sotto controllo la stazione TV di Albuquerque, per inserirci da lì su altre reti. Scesi alla porta d’uscita, nello scantinato dell’edificio. Una volta era stato usato per le esercitazioni di tiro con la pistola, ma quando i nostri esploratori lo avevano individuato s’erano accorti che nessuno lo utilizzava mai.
Questo lo aveva reso perfetto per noi. Avevamo fatto passare il nostro intero contingente prima che qualcuno s’accorgesse che eravamo lì.
Sia nel nostro tempo che nel loro Sandia era una vecchia Base militare. La differenza stava nel fatto che da noi era rimasta piccola, mentre nella loro linea temporale aveva assunto dimensioni enormi. I loro reticolati di filo spinato includevano molte miglia quadrate di deserto e di colline.
Alla Base non era tuttavia distaccato un forte contingente di militari. Il perimetro era sorvegliato più da mezzi elettronici che da guardie, con un singolo posto di controllo ogni cinquecento metri. Naturalmente questo doveva essere sembrato il massimo della protezione necessaria al comandante della Base. A parte un improbabile attacco di truppe paracadutate, che sarebbe stato captato dai radar, non c’era possibilità che un eventuale nemico potesse invadere il territorio senza che la Base avesse tutto il tempo di chiamare rinforzi… a meno che, come noi, non attaccasse dall’interno. Quando fui alla porta d’uscita vidi che su una parete era già stata appesa una mappa della Base, con le zone sotto controllo colorate in rosso. Gli edifici-chiave erano la Casa dei Gatti e le immediate vicinanze, gli alloggi degli MP, il Quartier Generale, la centralina telefonica e la stazione radio. Li avevamo saldamente in pugno. Le scarse guardie armate che avevano creduto di poterli sorvegliare ora stavano meditando sul loro fallimento nel recinto.
Stavano arrivando altre squadre. Non c’era bisogno di loro, ma non me ne lamentavo di certo: che sarebbe successo se i precedenti proprietari, contro ogni logica, avessero deciso di battersi? Un impianto d’illuminazione a batterie mostrava la colonna degli uomini che emergevano dal nulla in mezzo al locale. Venivano messi in fila oltre la porta, fatti marciare in apparenza verso una parete, uscivano sul nostro lato per essere di nuovo raggruppati dagli ufficiali e dai graduati, e quindi andavano a rinforzare le truppe già sul posto.
Era uno strano spettacolo. Se vi mettevate di lato rispetto alla porta, sullo stesso piano, e ne guardavate il sottilissimo profilo, l’effetto era ancora più sconcertante. Scarponi, ginocchia, cosce, mani e teste sbucavano dal piano verticale in quest’ordine. Se foste andati dietro il portale avreste potuto vedere… voi cosa supponete? Sezioni anatomiche di viscere e interiora? L’interno dei corpi umani che compivano il passaggio? Niente di tutto ciò. Non avreste visto proprio niente perché, da dietro, il rettangolo della porta appariva di un nero ultraterreno, del tutto senza luce. Osservato dalla parte anteriore il rettangolo era invece trasparente, come inesistente sullo sfondo del muro un po’ scrostato, e l’unico segno della sua esistenza era dato dai soldati che ne emergevano.
— Maggiore? — Era di nuovo la sergente Sambok. Si guardò attorno e abbassò la voce. — Credo di sapere dove sia Dormeyer.
— Ottimo lavoro, sergente — dissi.
Lei scosse il capo. — È uscito dalla Base, sgusciando fuori dal perimetro in qualche modo. Poi si è diretto ad Albuquerque. Il fatto è che abita… abitava qui. Ad Albuquerque, voglio dire.
Questa non ci voleva. Ma non ne aveva colpa lei. — Ha fatto il suo dovere — la rassicurai. Ed era la verità. Per far parte della riserva, Nyla Sambok era un soldato di prim’ordine. La cosa buffa era che nella vita civile faceva l’insegnante di musica, ed era sposata a un suonatore di clavicembalo. Facendo parte della Riserva avevano entrambi ottenuto delle borse di studio; poi erano stati richiamati. La maggior parte dei riservisti erano poco entusiasti, ma la Sambok era decisa e sveglia, e questo m’aveva convinto a includerla nel distaccamento che avevo portato con me da Chicago. Il fatto che fosse anche una gran bella femmina non disturbava nessuno. Ma io non frequentavo mai il personale femminile. Tutt’al più un pensiero, di tanto in tanto.
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