Robert Heinlein - Guerra nell'infinito

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Guerra nell'infinito: краткое содержание, описание и аннотация

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Don Harvey è nato nello spazio, a bordo di un’astronave in caduta libera oltre l’orbita degli asteroidi, da padre terrestre e da madre di cittadinanza venusiana, si ritrova senza patria quando le colonie di Venere decidono di ribellarsi allo sfruttamento della Federazione Terrestre. È la storia della prima guerra cosmica, sullo sfondo di una grande trasformazione del sistema solare, in orbita intorno alla luna si sta costruendo il Cercatore di Orizzonti. La nave interstellare che porterà uomini e donne in un viaggio di centinaia d’anni, generazioni e generazioni su un mondo artificiale, verso altri sistemi stellari; su Marte e su Venere, gli indigeni intelligenti che i terrestri hanno trovato al loro arrivo sui pianeti gemelli ricordano epoche remotissime, nelle quali la Terra, Marte, Venere e i satelliti di Giove facevano parte di un grandioso Impero… Don Harvey, strappato al suoi studi, alla vita che conosceva, dallo scoppio della guerra, sfugge miracolosamente alla distruzione di Circum-Terra, la stazione spaziale che collega la Terra a Luna City e ai pianeti, e finisce su Venere, tra le paludi e le giungle del pianeta nebbioso, braccato da tutti i belligeranti perche, suo malgrado, egli è latore di un messaggio così importante che, da solo, potrebbe cambiare la storia del Sistema Solare.

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La pista si stava vuotando, quando, improvvisamente, le luci si spensero per un istante, per riaccendersi immediatamente, e l’impianto acustico cominciò di nuovo a gridare:

«Allarme d’incursione spaziale! Allarme d’incursione spaziale!»

A questo punto, tutte le luci si spensero.

CAPITOLO III

BRACCATO

Per un lungo momento che parve interminabile ci fu un’oscurità completa, impenetrabile, accompagnata da un silenzio nel quale taceva perfino il ronzio soffocato dell’impianto di aerazione. Poi una luce fievole apparve al centro della pista, illuminando il viso del comico che era la principale attrazione dello spettacolo. L’attore biascicò, con una buffa voce nasale che era evidentemente artefatta:

«Il prossimo suono che sentirete sarà quello delle… Trombe del Giudizio!» Ridacchiò, e continuò, in tono fermo, «State seduti al vostro posto, amici, e conservate la calma… e aggrappatevi bene al vostro portafoglio… alcuni camerieri sono parenti della direzione. Questa è soltanto un’esercitazione. In ogni caso, sopra di noi ci sono trenta metri buoni di cemento… e una montagna d’ipoteche che è molto più spessa del cemento. E adesso, cercate di entrare nello spirito giusto per il prossimo atto… che è il mio… e per aiutarvi a fare questo, la casa offre da bere a tutti!» Fece un passo avanti, e chiamò a gran voce, «Gertie! Tira su quella roba che non siamo riusciti a rifilare al veglione di Capodanno!»

Don sentì allentarsi la tensione, nel locale, e scoprì a sua volta di respirare più agevolmente. Fu perciò doppiamente sorpreso, quando una mano gli strinse con forza il polso.

« Zitto! » gli mormorò all’orecchio il dottor Jefferson.

Don si lasciò guidare dalla mano nell’oscurità. Il dottore, apparentemente, conosceva, o ricordava, la disposizione del locale; uscirono dalla sala senza urtare dei tavolini e con un solo urto, leggero e privo d’importanza, con una persona nascosta nel buio. Don ebbe l’impressione di percorrere un lungo corridoio, nero come il carbone, poi gli sembrò di girare un angolo… e a questo punto si fermò.

«Ma è impossibile uscire, signore,» disse una voce, vicino a Don. «Non si può, in questo momento.» Il dottor Jefferson parlò a bassa voce, in un bisbiglio che Don non riuscì a tradurre in parole. Si udì un fruscio; Don immaginò che fosse il suono di una banconota passata da una mano all’altra. Il dottor Jefferson e Don si mossero di nuovo, varcarono una porta, e svoltarono immediatamente a sinistra.

Proseguirono lungo la nuova galleria… Don fu sicuro di trovarsi nella galleria pubblica, che si trovava proprio all’esterno del ristorante, benché al buio sembrasse spostata di novanta gradi. Il dottor Jefferson continuava a tenerlo per il polso, trascinandolo dietro di sé, senza parlare. Svoltarono di nuovo, e scesero alcuni gradini.

C’erano delle altre persone intorno, anche se non molte. A un certo punto, qualcuno afferrò Don, nel buio; il giovane si dibatté istintivamente, disperatamente, e colpì con un pugno violento qualcosa di cedevole e tiepido, che lanciò un grugnito soffocato. Jefferson, semplicemente, affrettò il passo.

Il dottore si fermò, finalmente, e parve cercare qualcosa a tentoni nel buio. Dalle tenebre uscì un grido femminile. Jefferson batté subito in ritirata, fece qualche metro e si fermò di nuovo.

«Ecco,» disse, finalmente. «Sali.» Spinse Don davanti a sé, e fece posare la mano del giovane su qualcosa; Don cercò a tentoni, e decise che doveva trattarsi di un tassi automatico, con il ‘tetto’ aperto. Salì a bordo, e il dottor Jefferson lo imitò, abbassando subito dopo il ‘tetto’. «Ora possiamo parlare,» disse l’uomo più anziano, con calma. «Qualcuno ci ha preceduti a bordo di quell’altro, ma dalla parte del corpo che ho sentito esposta non credo che si trattasse di un tentativo di fuga. In ogni caso, non possiamo andare da nessuna parte, finché non ritornerà l’energia.»

Don si rese bruscamente conto di tremare per l’emozione. Quando gli parve di essersi sufficientemente calmato per potere parlare, disse:

«Dottore… si tratta davvero di un attacco?»

«Permettimi di esprimere forti dubbi,» rispose l’uomo. «Si tratta quasi certamente di un attacco simulato… di un’esercitazione. Almeno lo spero. Però ci ha dato la possibilità di filarcela elegantemente, senza dare nell’occhio… una possibilità che cercavo.»

Don rifletté su queste parole. Jefferson proseguì:

«Di che cosa ti preoccupi? Del conto? Ho un credito aperto, in quel locale.»

Don non aveva pensato neppure per un momento che la loro fuga fosse stata causata dal desiderio di non pagare il conto. Lo disse, e aggiunse:

«Lei pensava a quell’agente della sicurezza che mi è parso di riconoscere?»

«Disgraziatamente.»

«Ma… credo che sia stato uno sbaglio. Oh, sembrava proprio lo stesso uomo, certo, ma non capisco come gli sia stato umanamente possibile seguirmi, anche se ha preso il tassi successivo. Ricordo perfettamente che, almeno una volta, il mio tassi si è trovato da solo su di un ascensore. Questo dimostra che non poteva essere lo stesso agente. E se era proprio lui, deve essere stato un caso; non mi stava cercando.»

«Forse cercava me.»

«Uh?»

«Lascia perdere. In quanto alla «impossibilità» di averti seguito… Don, tu sai come funzionano questi tassi automatici?»

«Be’… sì, in generale.»

«Se quell’agente della sicurezza voleva seguirti, non aveva alcun bisogno di prendere il tassi successivo. Doveva semplicemente chiamare la centrale, e riferire il numero del tuo tassi. Il numero sarebbe stato trasmesso immediatamente al cervello elettronico centrale che regola il traffico dei mezzi pubblici. A meno che tu non avessi raggiunto la tua destinazione prima dell’allarme, gli agenti avrebbero potuto leggere nella macchina il preciso codice del tuo luogo di arrivo. Tu hai formato il codice alla partenza. E dopo pochi istanti un altro agente della sicurezza si sarebbe trovato sul luogo del tuo arrivo. E così di seguito. Nel momento stesso in cui io ho chiamato un tassi, secondo questa teoria, il mio circuito sarebbe già stato sotto sorveglianza, come pure il tassi che ha risposto alla mia chiamata. Di conseguenza, il primo agente è già seduto all’interno del Retrobottega e si sta godendo lo spettacolo, prima che noi arriviamo. Questo è stato il loro unico errore… e cioè servirsi di un uomo che tu avevi già visto… ma possiamo scusarli, perché attualmente sono pieni di lavoro!»

«Ma perché prendersela proprio con me ? Anche se mi credono, uh, sleale, non sono importante fino a questo punto.»

Il dottor Jefferson esitò, e poi disse:

«Don, non so per quanto tempo potremo parlare. Per il momento possiamo parlare liberamente, perché la sospensione dell’energia blocca loro come blocca noi. Ma non appena l’energia sarà ritornata, non potremo più parlare, e io ho molte cose da dire. Quando sarà tornata l’energia, non potremo dire una parola neppure qui.»

«Perché?»

«Il pubblico non dovrebbe saperlo, ma ciascuno dei tassi ha un microfono sistemato all’interno. La frequenza di controllo del tassi può percepire e ritrasmettere le modulazioni sonore del discorso umano senza che questo interferisca nei circuiti elettronici. Così, non appena sarà tornata l’energia, non saremo più al sicuro. Sì, lo so; è una cosa vergognosa. Non ho osato parlare nel ristorante, anche quando l’orchestra stava suonando. Avrebbero potuto piazzare nelle nostre vicinanze un microfono a isolamento acustico.

«E ora, ascoltami attentamente. Noi dobbiamo assolutamente rintracciare quel pacco che io ti ho spedito… non c’è altra scelta! Voglio che tu lo consegni a tuo padre… o meglio, quello che c’è dentro al pacco. Punto numero due: tu devi salire su quell’astronave-traghetto domattina, a ogni costo, anche se cadesse il cielo. Punto numero tre: stanotte non resterai a casa mia, dopotutto. Dolente, ma credo che sia meglio così. Numero quattro: quando tornerà l’energia, andremo un po’ in giro, come se volessimo visitare la città, senza parlare di niente in particolare, e senza mai menzionare dei nomi. Dopo un poco, farò in modo di fermarci vicino a una cabina pubblica, dalla quale potrai chiamare l’ Hilton. Se il pacco è arrivato là, ci saluteremo, tu ritornerai alla stazione, prenderai le valige, e andrai subito in albergo, dove ti registrerai e ritirerai la posta. Domattina prenderai l’astronave, e lascerai definitivamente la Terra. Non devi chiamarmi. Neppure per un saluto. Hai capito bene tutto?»

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