Robert Heinlein - Guerra nell'infinito

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Guerra nell'infinito: краткое содержание, описание и аннотация

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Don Harvey è nato nello spazio, a bordo di un’astronave in caduta libera oltre l’orbita degli asteroidi, da padre terrestre e da madre di cittadinanza venusiana, si ritrova senza patria quando le colonie di Venere decidono di ribellarsi allo sfruttamento della Federazione Terrestre. È la storia della prima guerra cosmica, sullo sfondo di una grande trasformazione del sistema solare, in orbita intorno alla luna si sta costruendo il Cercatore di Orizzonti. La nave interstellare che porterà uomini e donne in un viaggio di centinaia d’anni, generazioni e generazioni su un mondo artificiale, verso altri sistemi stellari; su Marte e su Venere, gli indigeni intelligenti che i terrestri hanno trovato al loro arrivo sui pianeti gemelli ricordano epoche remotissime, nelle quali la Terra, Marte, Venere e i satelliti di Giove facevano parte di un grandioso Impero… Don Harvey, strappato al suoi studi, alla vita che conosceva, dallo scoppio della guerra, sfugge miracolosamente alla distruzione di Circum-Terra, la stazione spaziale che collega la Terra a Luna City e ai pianeti, e finisce su Venere, tra le paludi e le giungle del pianeta nebbioso, braccato da tutti i belligeranti perche, suo malgrado, egli è latore di un messaggio così importante che, da solo, potrebbe cambiare la storia del Sistema Solare.

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«Uh, credo di sì, signore.» Don aspettò un momento, e poi non riuscì a trattenersi, «Ma perché? Forse parlo a sproposito, però mi sembra che dovrei sapere per quale motivo lo facciamo.»

«Che cosa vuoi sapere?»

«Be’… cosa c’è nel pacco?»

«Lo vedrai. Potrai aprirlo, esaminarlo, e decidere da solo. Se decidi di non consegnarlo a tuo padre, puoi farlo; la decisione spetta a te. In quanto al resto… quali sono le tue convinzioni politiche, Don?»

«Be’… non è facile dirlo, signore.»

«Uhm… nemmeno le mie erano chiare, quando avevo la tua età. Mettiamola così: sei disposto ad assecondare i tuoi genitori, almeno per il momento? Fino a quando non ti sarai formato un’opinione precisa?»

«Be’, certo!»

«Non ti è parso un po’ strano che tua madre insistesse tanto, perché tu venissi a trovarmi? Non è il momento per essere educati… So benissimo che un giovane che arriva nella grande città non va a trovare delle persone più o meno estranee per sua decisione. Ho avuto anch’io la tua età; anche se sono sempre stato un ragazzo di città, e, come posso dire, i costumi sono diversi da quelli della scuola-fattoria… ma non importa. Be’, in ogni caso… tua madre pensava certamente che fosse importante venirmi a trovare. Vero?»

«Penso di sì.»

«Vogliamo lasciare le cose a questo punto? Tu non puoi dire quello che non sai… e non potrai metterti nei guai.»

Don rifletté su quelle parole. Le parole del dottore parevano sensate, eppure era chiaramente contrario al buonsenso accettare di fare qualcosa di misterioso, senza conoscere i motivi e la situazione. D’altra parte, se lui avesse ricevuto semplicemente il pacco, lo avrebbe certamente consegnato ai suoi genitori, senza neppure pensarci troppo. La situazione era cambiata, ma la realtà restava.

Stava per fare delle altre domande, quando le luci tornarono, e la piccola automobile cominciò a ronzare. Il dottor Jefferson disse:

«Ecco qua; si va, finalmente!» si piegò sulla tastiera di comando, e formò rapidamente un codice di destinazione. Il tassi automatico si mosse. Don fece per parlare, ma il dottore scosse il capo.

L’automobile percorse numerose gallerie, scese una rampa e si fermò in una grande piazza sotterranea. Il dottor Jefferson pagò l’importo della corsa, e guidò Don attraverso la piazza, fino a un ascensore per pedoni. La piazza era gremita di gente, e si poteva avvertire la tensione frenetica di tutti, a causa dell’allarme d’incursione spaziale, anche se era stata solo una simulazione. Furono costretti ad aprirsi la strada a spintoni, attraverso una massa di persone radunate intorno a un gigantesco teleschermo pubblico, situato proprio al centro della piazza. Don fu lieto di salire a bordo dell’ascensore, benché la vasta piattaforma fosse anch’essa gremita di gente.

L’immediata destinazione di Jefferson fu un’altra fermata di tassi, in una piazza molti livelli più in alto. Salirono su un tassi, e si allontanarono; questo nuovo veicolo li condusse per diversi minuti attraverso la città, poi si fermarono, percorsero un breve tragitto, e salirono su un altro tassi. Don era completamente confuso, a questo punto, e non avrebbe più saputo dire dov’era il nord, dov’era il sud, oppure l’alto, il basso, l’est e l’ovest. Il dottore guardò il suo orologio, quando scesero dall’ultimo tassi, e disse:

«Abbiamo già passato il tempo a sufficienza. Qui, guarda.» Indicò una cabina videofonica che si trovava vicinissima.

Don entrò nella cabina, e chiamò l’ Hilton. Era arrivata posta per lui? No, non era arrivata. Allora spiegò che non era registrato all’albergo, ma che aveva dato il recapito in vista del suo arrivo; l’impiegato controllò di nuovo. No… dolente, signore.

Don uscì dalla cabina, e disse al dottor Jefferson la notizia. Il dottore si mordicchiò il labbro.

«Figliolo, ho commesso un gravissimo errore di giudizio.» Si guardò intorno; nelle vicinanze non c’era nessuno. «E ho sprecato del tempo prezioso.»

«Posso fare qualcosa, signore?»

«Eh? Sì, penso di sì… ne sono certo.» Fece un’altra pausa, immerso nelle proprie riflessioni. «Torneremo nel mio appartamento. Dobbiamo farlo. Ma non rimarremo là. Troveremo qualche altro albergo… non l’ Hilton… e ho paura che dovremo lavorare per tutta la notte. Te la senti?»

«Oh, certamente!»

«Io ho delle pillole antisonno; potranno servirci. Ascolta, Don, qualunque cosa succeda, tu dovrai assolutamente salire a bordo di quell’astronave, domani mattina. Capito?»

Don assentì. Lui intendeva prendere l’astronave in ogni caso, e non riusciva a scorgere alcun motivo per non farlo. Intimamente, cominciava a domandarsi se il dottor Jefferson fosse completamente a posto di cervello.

«Bene. Andremo a piedi; non è lontano.»

Mezzo miglio di galleria e una discesa a bordo di una piattaforma-ascensore li condussero all’appartamento. Quando svoltarono nella galleria che ospitava la porta dell’appartamento di Jefferson, l’uomo guardò dappertutto, furtivamente; la galleria era deserta. Attraversarono in fretta e raggiunsero la porta. Il dottore lo precedette. Aprì la porta. Due sconosciuti erano seduti tranquillamente nel soggiorno. Ciascuno occupava una poltrona posta lateralmente, rispetto alla porta.

Jefferson guardò i due uomini, e disse:

«Buonasera, signori,» e si rivolse al suo ospite. «Buonanotte, Don. È stato un piacere rivederti, e ti prego di ricordarmi ai tuoi genitori.» Strinse la mano di Don, e con fermezza lo condusse verso la porta.

I due uomini si alzarono in piedi. Uno di loro disse:

«Lei ha impiegato molto tempo per arrivare a casa, dottore.»

«Avevo dimenticato l’appuntamento, signori. E ora, addio, Don… non voglio che tu faccia tardi. »

L’ultima frase fu accompagnata da una maggiore pressione sulla mano di Don. Il ragazzo rispose:

«Uh… buonanotte, dottore. E grazie di tutto.»

Si voltò, avviandosi verso la porta, ma l’uomo che aveva parlato si spostò rapidamente, mettendosi tra Don e la porta.

«Un attimo solo, per favore.»

Fu il dottor Jefferson a rispondere, immediatamente:

«Davvero, signori, non c’è alcun motivo di trattenere questo ragazzo. Lasciamolo andare, in modo che ci sia possibile discutere dei nostri affari.»

L’uomo non rispose direttamente, ma chiamò:

«Elkins! King!» Altri due uomini comparvero sulla soglia di un’altra camera dell’appartamento. L’uomo che pareva il capo disse loro, «Portate il ragazzo in camera da letto. Chiudete la porta.»

«Vieni con noi, giovanotto.»

Don, che aveva tenuto la bocca chiusa e aveva cercato di decifrare il senso di quei nuovi, incomprensibili avvenimenti fatti di confusione e disorganizzazione, a questo punto perse la pazienza. Era sempre stato un carattere impulsivo… e testardo. Ormai il fatto che quegli uomini appartenessero al servizio di sicurezza governativo era per lui qualcosa di più di un sospetto, anche se i poliziotti non indossavano l’uniforme… ma la sua educazione non aveva mai sottolineato l’esistenza di una possibilità secondo la quale i cittadini onesti avessero qualcosa da temere dalla legge.

«Aspettate un momento!» protestò. «Io non vado da nessuna parte. Che razza d’idea è questa?»

L’uomo che gli aveva detto di seguirlo si avvicinò, e gli prese il braccio. Don, con uno scrollone, si liberò dal contatto indesiderato. Il capo bloccò ogni ulteriore azione da parte dei suoi uomini, facendo un gesto appena abbozzato.

«Don Harvey…»

«Uh? Sì.»

«Potrei offrirti un certo numero di risposte a questa domanda. Una è questa…» Fece brillare per un momento un distintivo nel palmo della mano. «…ma potrebbe trattarsi di un falso. O, se avessi tempo da perdere, e voglia di perderlo, potrei soddisfare la tua curiosità esibendo un buon numero di pezzi di carta firmati e timbrati di tutto punto, tutti perfetti, legali, autorevoli, e firmati da nomi molto importanti.» Don notò che la voce dell’uomo era gentile, quasi raffinata, e la scelta delle parole indicava una persona di notevole cultura. «Ma si dà il caso che io sia stanco, e abbia fretta, e non voglia prendermi il fastidio di giocare con un ragazzo curioso. Così, cerchiamo di stabilire un punto fermo: noi qui siamo in quattro, e tutti armati. Così… vuoi seguire questi due uomini pacificamente, senza domande, o preferisci essere pestato un poco, e poi trascinato via a forza?»

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