Fu fermato, nella sua ricerca ormai stanca, da una voce metallica che ruggiva nell’aria, scaturiva dal nulla, apparentemente, e raggiungeva ogni angolo del campo, attraverso il sistema interno di altoparlanti.
«Attenzione!» rimbombò la voce severa e carica d’autorità, attraverso gli altoparlanti. « Silenzio! Attenzione agli ordini… sono il colonnello Vanistart delle Forze di Pace della Federazione, e parlo a nome del Governatore Militare di Venere. È stata concessa amnistia con condizionale a tutti i coloni, a eccezione di coloro che hanno occupato posizioni ufficiali nel governo ribelle, e degli ufficiali superiori dell’esercito ribelle. Sarete rilasciati, non appena la vostra identità sarà stata accertata. Il codice delle leggi in vigore prima della rivolta viene da questo momento ripristinato, soggetto comunque alle nuove leggi che potranno essere promulgate a discrezione del governatore militare. Attenzione: ora vi darò lettura della Legge di Emergenza Numero Uno! Le città di Nuova Londra, Buchanan, e Città CuiCui, sono abolite e dichiarate illegali. Da questo momento, non sarà permessa alcuna comunità composta di una popolazione superiore alle mille unità. Non più di dieci persone potranno radunarsi senza preventiva autorizzazione del prevosto locale. È proibita la formazione di bande armate, o di qualsiasi organizzazione di tipo paramilitare, e nessun colono potrà possedere armi a energia; coloro che venissero trovati in possesso di tali armi, e comunque coloro che violassero la prima legge di emergenza, saranno passibili della pena di morte, senza processo.»
La voce fece una pausa. Don udì qualcuno dire, alle sue spalle:
«Ma cosa si aspettano che facciamo, ora? Non abbiamo alcun luogo in cui andare, non sappiamo più dove vivere…»
Fu data immediata risposta a quella domanda rettorica. La ferrea voce proseguì:
«Nessuna assistenza verrà fornita ai ribelli dispersi da parte della Federazione. I soccorsi ai profughi dovranno essere forniti dai coloni che non sono stati espropriati. Quando sarete stati liberati, vi consigliamo di disperdervi nelle campagne limitrofe, e chiedere temporaneo asilo ai contadini, ai proprietari delle fattorie, e ai villaggi più piccoli.»
Una voce amara disse:
«Ecco la risposta che volevi, Clara… a loro non importa un accidente, se noi riusciamo a sopravvivere o no. Forse ci preferiscono morti.»
La prima voce rispose:
«Ma come possiamo andarcene? Non possediamo neppure una gondola.»
«A nuoto, immagino. O camminando sull’acqua.»
Diversi soldati entrarono nel recinto, e condussero i prigionieri ai cancelli, in gruppi di cinquanta unità, selezionandoli come mandriani selezionano il bestiame. Don si era spinto verso il cancello, nella speranza di trovare Isobel durante le operazioni di controllo, e venne scelto, contro la sua volontà, nel secondo gruppo. Quando gli fu chiesto di presentare la sua carta d’identità, lo fece, e immediatamente si trovò di fronte a un ostacolo; il suo nome non figurava nei registri della città. Spiegò all’ispettore che era arrivato su Venere, durante l’ultimo viaggio del Nautilus.
Questa spiegazione produsse una reazione inaspettata.
«Perché non l’hai detto subito?» brontolò il soldato che svolgeva i compiti d’ispettore. Si voltò, ed estrasse di tasca un’altra lista. «Hannegan… Hardecker… eccolo qui. Harvey, Donald J. Accidenti! Aspetta un momento… qui c’è un contrassegno! Sergente, sergente! Accanto al nome di quest’uomo c’è un contrassegno rosso! »
«Portalo dentro,» rispose il sergente, con voce annoiata.
Don si trovò spinto nella garitta che presidiava il cancello, insieme a un’altra dozzina di cittadini dall’aria preoccupata. Quasi immediatamente fu condotto in un piccolo ufficio che si trovava sul retro. Un uomo, che sarebbe stato alto, se non fosse stato così grasso, si alzò in piedi, come una montagna di gelatina, e disse:
«Donald James Harvey?»
«Sono io.»
L’uomo venne verso di lui e lo squadrò ben bene, e il suo viso flaccido si raggrinzì in un sorriso di felicità.
«Benvenuto, ragazzo mio, benvenuto! Come sono felice di vederti!»
Don parve sconcertato da quell’accoglienza. L’uomo proseguì:
«Suppongo che dovrei presentarmi… Stanley Bankfield, al tuo servizio. Ufficiale Politico di Prima Classe, I.B.I., attualmente con la mansione di consigliere speciale di sua eccellenza il Governatore.»
Nel sentire menzionato il nome dell’I.B.I., Don s’irrigidì. L’uomo notò la cosa… i suoi occhietti seminascosti dalle pieghe di grasso parevano notare tutto, con implacabile chiarezza.
«Calma, figliolo! Non sentirti a disagio. Non ti voglio fare alcun male; sono semplicemente felice di vederti. Ma devo dirti che mi hai fatto fare un bell’inseguimento… una splendida caccia, attraverso metà del sistema solare. A un certo punto, ho perfino creduto che tu fossi rimasto ucciso nel deplorevole, spaventoso disastro del Cammino della Gloria , e ho pianto amare lacrime sulla tua perdita. Sissignore! Lacrime sincere. Ma adesso questo è passato, e tutto è bene quel che finisce bene. Così, dammelo pure.»
«Che cosa?»
«Andiamo, andiamo! So tutto di te… so quasi ogni parola che tu hai pronunciato, da quando eri bambino. Ho perfino dato dello zucchero al tuo cavallo, Sonno. Così, dammelo.»
«Ma che cosa?»
«L’anello, l’anello!» Bankfield tese la mano grassoccia.
«Non so di che cosa stia parlando.»
Bankfield si strinse pesantemente nelle spalle. Parve il tremolio di una colossale montagna di grasso.
«Sto parlando di un anello di plastica, contrassegnato con un’iniziale, «H», che ti è stato dato dal defunto dottor Jefferson. Come vedi, so di che cosa sto parlando; so che l’hai tu… e intendo averlo io. Un ufficiale che lavorava al mio servizio è stato così stupido da lasciarti andare via con quell’anello… e questo errore gli è costato molto caro. Non vorrai che questo succeda a me, ne sono sicuro. Così, dammi l’anello.»
«Adesso capisco di quale anello lei sta parlando,» rispose Don. «Ma io non l’ho.»
«Eh? Che cosa dici? Dov’è, allora?»
La mente di Don stava lavorando furiosamente, tumultuosamente. Non gli occorse praticamente alcun tempo per decidere che non doveva mettere l’I.B.I. sulle tracce di Isobel… no, era una cosa che doveva evitare, a costo di farsi strappare la lingua per non parlare. Sapeva per esperienza cosa significasse avere a che fare con quella gente.
«Suppongo che sia bruciato nell’incendio,» rispose.
Bankfield piegò il capo da una parte.
«Donald, ragazzo mio, io credo che tu mi stia dicendo una bugia… lo credo davvero! Hai esitato, solo per una frazione di secondo, prima di rispondere. Nessuno, all’infuori di un vecchio sospettoso come me, l’avrebbe notato. Ma io l’ho notato!»
«È vero,» insisté Don. «O almeno, credo che sia vero. Uno di quegli scimmioni che lavorano per lei ha appiccato il fuoco all’edificio, nel momento in cui io uscivo. Suppongo che l’edificio sia bruciato completamente, con dentro l’anello. Ma forse non è stato distrutto.»
Bankfield parve dubbioso.
«Di quale edificio parli?»
«Il Ristorante Due Mondi, in fondo al Vicolo Paradiso, una laterale di Strada Buchanan.»
Bankfield, con una rapidità sorprendente per un uomo delle sue dimensioni raggiunse la porta, e diede degli ordini.
«Usate tutti gli uomini necessari,» concluse, «E passate al setaccio ogni grammo di cenere. Muovetevi, presto!» Si rivolse di nuovo a Don, sospirando. «Non bisogna trascurare nessuna possibilità,» disse, «Ma ora torniamo alla possibilità che tu abbia mentito. Perché avresti dovuto toglierti l’anello in un ristorante?»
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