Doveva rassegnarsi a quella constatazione, per quanto essa potesse dispiacergli. Questo se lo era ripetuto dal momento in cui era giunto nel locale del Vecchio Charlie.
Ma ora la situazione era cambiata, e lui doveva trovare il tempo. «Sir Isaac» avrebbe potuto fare in modo che lui fosse assegnato all’Alta Guardia, o trasferito a essa, indipendentemente dalle quote e dalle liste di attesa. Il governo era estremamente ansioso di conservare i draghi felici e amichevoli verso il nuovo regime. Il genere umano poteva restare su Venere per accondiscendenza dei draghi; e gli uomini politici se ne rendevano perfettamente conto.
Provava un certo disgusto, all’idea di ricorrere ad aiuti politici, in una situazione simile… ma proprio la situazione lo rendeva indispensabile. C’erano dei momenti nei quali niente altro avrebbe potuto funzionare, ed era indispensabile usare le armi che si possedevano. Questo lo aveva sempre saputo, ma mai come allora se ne era reso conto.
«Charlie!»
«Eh?»
«Piano con quei fornelli; devo tornare in centro.»
Charlie grugnì, di malagrazia; Don si tolse il grembiule, e uscì. Isobel non si trovava dietro il bancone, nell’ufficio dell’I.T. T.; Don fece trasmettere il suo nome attraverso l’impiegato di turno, e riuscì a vedere il padre della ragazza. Il signor Costello sollevò lo sguardo, quando Don entrò, e disse:
«Sono lieto che sia venuto, signor Harvey. Avevo bisogno di parlarle.»
«Il mio messaggio è stato trasmesso?»
«No, volevo restituirle la sua cambiale.»
«Perché? Che è successo?»
«Non sono stato in grado di trasmettere il suo messaggio, e non so quando sarò in grado di farlo Se in seguito scopriremo che il messaggio può essere trasmesso, accetterò la sua cambiale… o un pagamento in contanti, se allora le sarà possibile.»
Don ebbe la spiacevole impressione di venire cortesemente scaricato.
«Un momento solo, signore. Pensavo che oggi fosse il primissimo giorno in cui si sperava di poter stabilire una comunicazione con Marte. Le condizioni non miglioreranno domani… e ancor più dopodomani?»
«Sì, teoricamente. Ma oggi le condizioni erano soddisfacenti. Non esiste alcuna comunicazione con Marte.»
«Ma domani?»
«Temo di non essermi spiegato bene. Noi abbiamo tentato di lanciare un segnale a Marte; non abbiamo ottenuto risposta. Allora abbiamo utilizzato il controllo radar. Il segnale è rimbalzato nel momento previsto, con puntualità cronometrica… duemiladuecentotrentotto secondi, impossibile sbagliarsi o captare un segnale-fantasma. Così noi sappiamo che il canale di trasmissione era del tutto soddisfacente, e che il nostro segnale doveva arrivare. Ma la Stazione Schiaparelli non risponde… non c’è comunicazione.»
«Forse si tratta di un guasto?»
«È del tutto improbable. Si tratta di una stazione binaria. Dipendono tutti da essa, per l’astronavigazione, lo sa bene anche lei, immagino. No, temo che la risposta sia ovvia.»
«Sì?»
«Le forze della Federazione hanno occupato la stazione, per i propri usi. Non saremo in grado di comunicare con Marte, fino a quando le forze di occupazione non ce lo permetteranno.»
Don uscì dall’ufficio del direttore, cupo e abbattuto e con il morale sotto i tacchi. Quasi si scontrò con Isobel, che stava entrando in quel momento nell’edificio.
«Don!»
«Oh… ciao, nonnina.»
Lei era eccitata, e non notò il suo umore.
«Don, arrivo adesso dall’Isola del Governatore! Sai la grande notizia? Stanno formando un corpo di ausiliarie, e un esercito femminile!»
«Davvero?»
«La legge è all’approvazione della commissione, in questo momento. Non posso aspettare… mi arruolerò subito, naturalmente. Ho già dato il mio nome.»
«Davvero? Sì, immagino che sia proprio così.» Rifletté sulla cosa, e aggiunse, «Ho cercato di arruolarmi stamattina.»
Isobel gli gettò le braccia al collo, e lo baciò sulla guancia, con grande interesse di tutti i clienti che si trovavano nell’atrio.
«Don!» Passato il momento d’entusiasmo, si scostò un poco da lui, abbassando le braccia, con sollievo di Don che era violentemente arrossito, e poi aggiunse, «Veramente, nessuno si aspettava questo da te, Don. Dopotutto, non è una guerra che ti riguardi; la tua patria è Marte.»
«Be’, non so. Marte non è esattamente la mia patria… non saprei dirti quale sia in realtà. E non mi hanno accettato… hanno detto di aspettare la chiamata.»
«Be’,… comunque sono fiera di te.»
Don ritornò nel ristorante, provando una certa vergogna, perché non aveva avuto il coraggio di dirle il motivo che l’aveva spinto a tentare di arruolarsi, e il motivo che aveva indotto l’ufficiale a rifiutare la sua domanda. Quando raggiunse il locale di Charlie, aveva quasi deciso di ritornare all’ufficio di reclutamento, il giorno dopo, e prestare giuramento come volevano loro, e cioè come mangiafango volontario. Si disse che la rottura delle comunicazioni con Marte aveva tagliato l’ultimo legame con la sua vecchia vita; e tanto valeva accettare a braccia aperte la nuova vita. Era meglio essere un volontario che un coscritto.
Ripensandoci, decise che la prima cosa da fare era andare all’Isola del Governatore, e inviare un messaggio, in qualche modo, a «Sir Isaac»… era inutile restare nelle Forze di Superficie, se il suo amico avesse potuto disporre un suo trasferimento nell’Alta Guardia. Era ormai matematico, alla luce della nuova rivelazione, che l’Alta Guardia inviasse prima o poi una spedizione su Marte; e per lui era certamente meglio partecipare a quell’impresa. Sì, sarebbe riuscito ad arrivare su Marte… malgrado tutto. Ora che la comunicazione con il pianeta rosso si era interrotta, sarebbe stato giocoforza per le autorità venusiane agire in qualche modo, per parare quel colpo.
Ripensandoci ancora, decise che sarebbe stato probabilmente meglio aspettare un giorno o due, dopo avere inviato il messaggio, per dare tempo a «Sir Isaac» di rispondergli; certamente sarebbe stato più facile venire assegnato subito all’Alta Guardia che ottenere un trasferimento più tardi.
Sì, quella era la decisione più sensata da prendere. Disgraziatamente, non lo faceva sentire soddisfatto di se stesso.
Quella notte la Federazione attaccò.
L’attacco non avrebbe dovuto avvenire, naturalmente. Il sergente che aveva ricordato la sua risaia aveva avuto perfettamente ragione; la Federazione non poteva permettersi il rischio di vedere bombardate le sue grandi città, per punire i coloni di Venere. Il sergente aveva avuto ragione… dal suo punto di vista.
Il proprietario di una risaia ha una logica; degli uomini che vivono nel potere e per il potere possiedono un’altra logica completamente diversa. Le loro vite sono costruite su tenui presupposti, fragili come una reputazione; non possono permettersi d’ignorare una sfida al loro potere… e la Federazione non poteva permettersi di non punire gli insolenti coloni.
La Valchiria , in orbita intorno a Venere, in caduta libera, esplose in un lampo di gas radioattivi, senza alcun preavviso. L’ Adonis , che seguiva la stessa orbita a circa mille miglia di distanza, a prua, vide l’esplosione e ne fece rapporto al quartier generale planetario di Nuova Londra; e poi anche questa astronave diventò una palla di fuoco in espansione.
Don fu svegliato dal profondo sonno della fatica, bruscamente, da un minaccioso ululare di sirene. Si rizzò di scatto a sedere, nel buio, ancora intorpidito dalla stanchezza di un’intera giornata di duro lavoro, e scosse più volte il capo, per schiarirsi le idee; poi capì, con bruciante eccitazione, ciò che era il suono, e qual era il suo significato. Poi si disse di non avere idee stupide; recentemente si era parlato di compiere delle esercitazioni di allarme spaziale anche nel corso della notte… ecco di che cosa si trattava: di un’esercitazione notturna. Nulla di cui preoccuparsi.
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