Lo stesso ufficiale di bordo che era venuto a visitarli prima del decollo apparve sul portello del compartimento, galleggiando a testa in ‘giù’. Nello spazio non esistevano alto e basso, soprattutto in regime di caduta libera.
«Tutto a posto, su questo ponte?» domandò con aria annoiata, poiché si trattava di una pura formalità, e fece per passare oltre.
«No!» gridò Don. «C’è un caso di choc da decollo.»
«Uh?» l’ufficiale entrò nel compartimento, e guardò l’altro passeggero. Lanciò una breve serie d’imprecazioni, nel colorito linguaggio degli spaziali, e assunse un’aria preoccupata. «Si tratta di una cosa superiore alle mie conoscenze; è la prima volta che trasporto un coso simile. Come diavolo si può praticare la respirazione artificiale a un coso grosso come questo?»
«Non è possibile,» rispose Don. «I suoi polmoni sono completamente racchiusi nella corazza toracica.»
«Sembra morto. Direi che ha smesso di respirare.»
Un ricordo si affacciò alla superficie della memoria di Don; il ragazzo si aggrappò a esso.
«Ha una sigaretta, per caso?»
«Eh? Non mi faccia perdere tempo. E poi, la lampada rossa è ancora spenta.»
«Lei non capisce,» insisté Don. «Se ha una sigaretta, l’accenda. Può soffiare del fumo in direzione della piastra-narice del drago, e controllare così se respira o no.»
«Oh. Be’, forse è una buona idea.» Lo spaziale estrasse una sigaretta e l’accese.
«Ma faccia attenzione,» lo avvertì Don. «Non possono sopportare la nicotina. Una sola boccata, e poi la spenga subito.»
«Forse non è un’idea così buona,» obiettò l’ufficiale di bordo. «Senta, ma lei non sarà per caso un colono di Venere?»
Don esitò, poi rispose:
«Io sono un cittadino della Federazione.»
L’idea di discutere di politica in quel momento non sembrava brillante. Si avvicinò al mento del drago, puntò i piedi contro le piastre del ponte, e spinse, esponendo così la piastra-narice del venusiano, che si trovava sotto la testa della creatura, tra le pieghe del collo. Se non fossero stati in caduta libera, e l’assenza di gravità non avesse reso senza peso l’enorme massa del sauriano, Don non sarebbe mai riuscito nell’impresa.
L’uomo soffiò del fumo verso l’apertura così esposta. Il fumo si agitò, scostandosi, poi una piccola parte entrò nell’apertura; il drago era ancora vivo.
Vivo? Anche troppo. Tutti i peduncoli oculari scattarono come molle, rizzandosi in piena attenzione; il drago alzò il mento, portando con esso Don, e poi starnutì. Quella specie di esplosione colpì Don a mezz’aria, e il ragazzo cominciò a roteare su se stesso, come un satellite artificiale impazzito. Finalmente, dopo qualche istante di quella penosa situazione, Don riuscì ad afferrare uno dei supporti di caduta libera.
L’ufficiale di bordo si stava massaggiando un polso.
«Accidenti a lui, mi ha raggiunto,» si lamentò. «Non ho intenzione di riprovarci. Be’, penso che stia benissimo.»
Sir Isaac sibilò in tono lamentoso; Don gli rispose. Lo spaziale lo guardò:
«Lei sa pronunciare quella specie di linguaggio?»
«Un po’.»
«Be’, allora gli dica di usare la scatola. Io non capisco niente.»
Don disse:
«Sir Isaac… vuole usare il voder?»
Il venusiano cercò di obbedire. I suoi tentacoli si agitarono, trovarono i tasti della cassetta della voce artificiale, e li toccarono. Non uscì alcun suono. Il drago girò un occhio verso Don, e sibilò una serie di frasi.
«È spiacente di dover dire che lo spirito della macchina è partito,» tradusse Don.
L’ufficiale di bordo sospirò.
«Certe volte mi chiedo per quale motivo ho lasciato la drogheria di famiglia e ho voluto prendere le vie dello spazio. Be’, se riusciamo a staccare la macchina, andrò a vedere se ‘Scintilla’ riesce ad aggiustarla.»
«Lasci fare a me,» disse Don, e cercò d’infilarsi nello spazio tra la testa del drago e il ponte. La cassetta del voder, scoprì, era assicurata a quattro anelli infilati come orecchini nelle piastre della ‘pelle’ del venusiano. Don non riuscì a scoprire la combinazione di apertura; i tentacoli del drago sfiorarono gentilmente la mano del ragazzo, la spostarono con delicatezza, staccarono la cassetta, e la porsero a Don. Don uscì dall’incomoda posizione, e consegnò lo strumento all’ufficiale.
«Sembra che ci abbia dormito sopra,» fu il suo commento.
«Un bel pasticcio,» ammise l’altro. «Be’, gli dica che farò in modo che sia riparata al più presto possibile… e che sono felice che il decollo non lo abbia fatto star male.»
«Può dirglielo lei; capisce benissimo l’inglese.»
«Eh? Oh, certo, certo.» Si mise di fronte al venusiano, che immediatamente fece partire una lunga serie di sibili. «Che cosa dice?»
Don ascoltò attentamente.
«Dice che lui apprezza i suoi gentili auguri, ma che è dolente di doversi dichiarare in disaccordo; non sta affatto bene. Dice che ha urgente necessità di…» Don si interruppe, e parve perplesso, poi sibilò l’equivalente venusiano di, ‘Può ripetere, per favore?’
Sir Isaac gli rispose; e Don proseguì.
«Dice che ha bisogno solo di un po’ di sciroppo di zucchero.»
« Eh? »
«Ha detto così.»
«Che io sia… quanto?»
Ci fu un nuovo scambio di sibili; Don rispose:
«Uh, dice che ne ha bisogno almeno di un quarto di… non è possibile tradurre esattamente, non c’è equivalente, si tratta di un quantitativo più o meno pari a mezzo barile, direi.»
«Lei intende dire che vuole mezzo barile di zucchero liquido?»
«No, no, un quarto di questo quantitativo… un ottavo di barile. A quanto può equivalere, in galloni?»
«Non ci provo neanche, senza un calcolatore; sono confuso. Non so neppure se ne abbiamo, a bordo». Sir Isaac pronunciò subito una serie di frenetici sibili. «Ma se non ne abbiamo, lo farò preparare al cuoco. Gli dica di stare calmo e di resistere, nel frattempo.» Lanciò un’occhiataccia al drago, e poi girò i tacchi e uscì galleggiando dal compartimento.
Don si aggrappò a una delle cinghie di acciaio, e domandò:
«Come si sente, adesso?»
Il drago rispose, in tono di scusa, indicando che per il momento sentiva il bisogno di ritornare nell’uovo. Don tacque, e aspettò.
Il comandante in persona si presentò a curare il passeggero malato. L’astronave, essendo in libera traiettoria verso la stazione spaziale orbitante intorno alla Terra, non richiedeva la sua presenza nella sala di comando fino a dopo mezzogiorno, tempo di Nuova Chicago; così il comandante era libero di muoversi per l’astronave. Arrivò in compagnia del medico di bordo, e seguito da un uomo che trasportava un contenitore metallico.
I due si misero a discutere davanti al drago, dapprima ignorando la presenza di Don. Però nessuno di loro conosceva il linguaggio pigolante della tribù del drago; così furono costretti a ricorrere a Don. Attraverso il suo giovane interprete, Sir Isaac insisté di nuovo sul fatto che la soluzione di zucchero gli era necessaria, come stimolante. Il comandante assunse un’aria preoccupata.
«Ho letto da qualche parte che lo zucchero li fa ubriacare, come noi ci ubriachiamo con l’alcool. Una questione di reazioni chimiche.»
Don tradusse di nuovo la risposta del venusiano; quella che Sir Isaac aveva chiesto era semplicemente una dose terapeutica.
Il comandante si rivolse all’ufficiale medico. «Cosa ne dice, dottore?»
Il dottore fissò il raccordo del ponte, con aria meditabonda.
«Comandante, questa situazione è al di fuori dei miei doveri professionali come lo sarebbe danzare sulle punte.»
«Accidenti, amico, io le ho chiesto un’opinione ufficiale!»
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