Robert Heinlein - Guerra nell'infinito

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Don Harvey è nato nello spazio, a bordo di un’astronave in caduta libera oltre l’orbita degli asteroidi, da padre terrestre e da madre di cittadinanza venusiana, si ritrova senza patria quando le colonie di Venere decidono di ribellarsi allo sfruttamento della Federazione Terrestre. È la storia della prima guerra cosmica, sullo sfondo di una grande trasformazione del sistema solare, in orbita intorno alla luna si sta costruendo il Cercatore di Orizzonti. La nave interstellare che porterà uomini e donne in un viaggio di centinaia d’anni, generazioni e generazioni su un mondo artificiale, verso altri sistemi stellari; su Marte e su Venere, gli indigeni intelligenti che i terrestri hanno trovato al loro arrivo sui pianeti gemelli ricordano epoche remotissime, nelle quali la Terra, Marte, Venere e i satelliti di Giove facevano parte di un grandioso Impero… Don Harvey, strappato al suoi studi, alla vita che conosceva, dallo scoppio della guerra, sfugge miracolosamente alla distruzione di Circum-Terra, la stazione spaziale che collega la Terra a Luna City e ai pianeti, e finisce su Venere, tra le paludi e le giungle del pianeta nebbioso, braccato da tutti i belligeranti perche, suo malgrado, egli è latore di un messaggio così importante che, da solo, potrebbe cambiare la storia del Sistema Solare.

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Non andò immediatamente a letto, comunque. L’ Hilton Caravanserraglio era un hotel di lusso; anche le camere «economiche» possedevano gli elementi minimi della vita civile. Regolò il bagno per un ciclo di acqua calda e fredda, partendo dal caldo; si spogliò, e dopo qualche tempo galleggiò nell’acqua fumante, che gli scorreva intorno, facendosi lentamente più tiepida. L’acqua gli diede un caldo senso di benessere; dopo un poco, Don cambiò le proporzioni, e l’acqua immobile lo abbracciò dolcemente, tiepida e carezzevole.

Trasalendo, uscì da quel torpore, e si alzò. Si era quasi addormentato nella vasca. Dieci minuti dopo, perfettamente asciugato da soffici getti d’aria calda, dopo essersi sottoposto a un altro getto di talco, e al massaggio elettronico che gli aveva riattivato la circolazione, facendogli formicolare piacevolmente tutto il corpo, Don ritornò nella camera da letto, sentendosi meravigliosamente riposato. La scuola-fattoria era stata deliberatamente monastica, letti di stile antico e semplici docce; quel bagno valeva da solo il prezzo della camera.

La lampada sull’apertura del condotto interno di recapito s’illuminò, brillando di luce verde; Don l’aprì, e trovò tre cose. La prima era un pacco voluminoso, racchiuso da un contenitore plastico e con la scritta: «PICCOLO NECESSAIRE DELL’HILTON CARAVANSERRAGLIO»; conteneva un pettine e uno spazzolino da denti, una pillola di sonnifero, una polvere contro l’emicrania, un film storico per il proiettore inserito nel soffitto della camera, una copia del Notiziario di Nuova Chicago, e il menu della colazione. Il secondo oggetto era una cartolina del suo compagno di camera alla scuola-fattoria; la terza cosa era un pacchetto, un normale involucro postale. La cartolina diceva: Caro Don, è arrivato un pacchetto per te nel pomerìggio… ho convinto il Direttore a lasciarmelo portare alla partenza dell’espresso della sera. Squinty ha ottenuto Sonno, e se lo sta accarezzando, felice come una Pasqua. Adesso chiudo; devo consegnare il pacco. Buona fortuna e cari saluti… Jack.

Buon, vecchio Jack, pensò Don, e sollevò il cilindro postale. Guardò l’indirizzo del mittente, e si rese conto, con un brivido improvviso, che quello doveva essere il pacco del quale il dottor Jefferson si era tanto preoccupato, il pacco che a quanto pareva era stato la causa indiretta della sua morte. Lo fissò, stordito, domandandosi se realmente era possibile, in quella civiltà e in quell’epoca, che un cittadino venisse trascinato via dalla propria casa, e poi maltrattato così crudelmente da farlo morire.

Ma l’uomo con il quale aveva cenato poche ore fa era davvero morto? Oppure l’agente della sicurezza gli aveva mentito, per qualche motivo che Don non poteva verosimilmente conoscere?

Una parte di quanto aveva detto era certamente vera; lui stesso aveva visto i poliziotti in attesa nella casa, per arrestare il dottore… in fondo, anche lui era stato arrestato, e minacciato, e interrogato, e il suo bagaglio gli era stato virtualmente rubato… per niente, perché lui non aveva fatto niente di niente! Lui non aveva mosso un dito, non aveva battuto ciglio, non si era mai sognato neppure di fare qualcosa… aveva semplicemente pensato ai propri affari, perfettamente legali e perfettamente onesti!

Bruscamente, scoprì di tremare, scosso da un’ondata di collera violenta. Si era lasciato spingere di qua e di là, contro la propria volontà, come un burattino senza volontà; fece il voto solenne di non permettere che questo accadesse un’altra volta. Ora si accorgeva che avrebbe potuto impuntarsi in almeno una dozzina di punti. Se avesse combattuto fin dall’inizio, come avrebbe potuto fare, forse in ultima analisi il dottor Jefferson sarebbe stato ancora vivo… se era davvero morto, si affrettò a correggersi.

Ma si era lasciato dominare dalla situazione apparentemente sfavorevole. Si ripromise di non lasciarsi più condizionare dalle apparenze, per quanto sfavorevoli esse fossero, né dalle probabilità avverse, ma di tenere sempre e comunque in mente il risultato finale, e i fatti concreti.

Controllò il tremito del suo corpo, e aprì il pacchetto.

Un attimo dopo, si sentì completamente sconcertato. Il cilindro non conteneva nulla, all’infuori di un anello da uomo, un oggettino di plastica a buon mercato, uguale a quelli che si trovavano in qualsiasi bancarella di souvenir. Una grossa «H» maiuscola racchiusa in un circolo era stata premuta sulla decorazione dell’anello, e le scanalature erano state colmate di smalto bianco. Era vistoso, ma comunissimo, privo di valore… poteva colpire soltanto una persona di gusti infantili, o di gusti volgari.

Don lo rigirò tra le dita, poi lo mise in disparte, ed esaminò l’involucro. Non c’era altro, nemmeno un messaggio, si trattava solo di carta bianca usata per imballare l’anello. Don rifletté sull’intera, singolare disposizione degli eventi.

L’anello, evidentemente, non era la causa di tutta quell’eccitazione. Gli sembrava che le possibilità fossero soltanto due: primo, che il servizio di sicurezza avesse cambiato il pacco… se era accaduto questo, ormai lui non poteva farci più nulla… e. secondo, se l’anello non era importante, ma si trattava del pacco giusto, allora il resto del contenuto del pacco doveva essere importante, anche se apparentemente non era altro che carta da imballaggio.

L’idea di essere il portatore di un messaggio scritto con inchiostro invisibile lo eccitò, e cominciò a studiare il modo per portare alla luce il messaggio. Con il calore? Con dei reagenti chimici? Con delle radiazioni? Nel rendersi conto di queste possibilità, Don capì anche, con un certo rammarico, che se un messaggio simile fosse davvero esistito, non era certo quello il luogo o il momento per portarlo alla luce, o comunque cercare di decifrarlo. Il suo compito sarebbe stato semplicemente quello di recapitarlo a suo padre.

Decise, inoltre, che era assai più probabile che si trattasse di un finto pacco, di un sostituto innocuo mandatogli dalla polizia. Gli era impossibile stabilire cosa avessero potuto strappare al dottor Jefferson; dal colloquio con il tenente, Don aveva capito che quella gente conosceva il proprio lavoro, e per quanto fossero discutibili i mezzi che usavano, sapevano servirsene senza scrupoli e con estrema efficacia.

Già. Questo gli ricordava che esisteva ancora una cosa che lui poteva fare per controllare la veridicità delle affermazioni della sicurezza… anche se il tentativo sembrava talmente stupido e scontato da scartarlo. E probabilmente era proprio stupido e inutile come lui pensava. Si avvicinò al visifono, e chiese di essere messo in comunicazione con la residenza del dottor Jefferson. Vero, il dottore gli aveva detto di non chiamarlo… ma le circostanze erano cambiate.

Dovette aspettare qualche minuto, poi lo schermo si illuminò… e Don scoprì di stare guardando il viso del tenente della sicurezza che lo aveva interrogato. L’ufficiale di polizia spalancò gli occhi a sua volta.

«Oh, santa pazienza!» esclamò, con voce stanca. «Così tu non mi hai creduto? Torna subito a letto; dovrai alzarti tra meno di un’ora.»

Don tolse la comunicazione senza pronunciare una sola parola.

Così i casi erano due: o il dottor Jefferson era davvero morto, o si trovava ancora nelle mani della polizia. Benissimo; avrebbe accettato la possibilità che la carta venisse realmente dal dottore… e avrebbe consegnato quella carta, malgrado tutti i trucchi viscidi della polizia che tutta Nuova Chicago avrebbe potuto disporre sulla sua strada! L’espediente che Jefferson aveva apparentemente usato per mimetizzare l’importanza e lo scopo della carta lo conduceva a riflettere sul passo successivo… e cioè, come avrebbe potuto nascondere, lui , l’importanza della carta. Rifletté per qualche minuto, e finalmente raggiunse una conclusione. Estrasse di tasca una penna, spianò il foglio gualcito, e iniziò una lettera. La carta era molto simile a carta da lettere… per lo meno, quel tanto che rendeva plausibile la simulazione… sì, lui aveva scritto, a volte, su carta ben peggiore. Cominciò a scrivere, «Carissimi mamma e papà, ho ricevuto il vostro radiogramma stamattina, e sono stato così emozionato!» Continuò, limitandosi a coprire dello spazio vuoto usando una scrittura larga, e finì, quasi alla fine del foglio, menzionando l’intenzione di aggiornare la lettera, e di farla trasmettere non appena astronave sarebbe stata entro il raggio delle comunicazioni radio di Marte, per preannunciare il suo arrivo. Poi piegò il foglio, lo infilò nel portafoglio, e infilò il tutto in una tasca.

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