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Jack Williamson: Il figlio della notte

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Jack Williamson Il figlio della notte

Il figlio della notte: краткое содержание, описание и аннотация

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Il ritorno dalla Mongolia della spedizione del celebre professor Mondrick segnerà forse l’inizio di un’era nuova nella storia dell’umanità. Perchè in una certa cassa che gli esploratori portano dal deserto di Gobi sono contenute le prove di una guerra spietata e segreta, che si combatte da innumeri millenni. E il campo di battaglie è il subcosciente stesso della razza umana, dove il Maligno sembra sferrare i suoi colpi più mortali e insidiosi. Perchè il genere umano, ha scoperto Mondrick, è un ibrido: il sangue dell’Homo sapiens è, ormai, contaminato da quello dell’Homo lycanthropus, l’antichissima razza caina… Ma la scoperta di Mondrick esige le sue vittime e un orrendo pericolo minaccia di nuovo l’umanità. Le forze del male sono scatenate e gli angeli ribelli tentano ancora una volta di rialzare il capo. Metapsichica e psicocinesi sono le strane scienze a cui questo romanzo senza precedenti nella letteratura del “soprannaturale” sembra ispirarsi. E’ un romanzo che non si dimentica!

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«Tu e io siamo creature eccezionali, Barbee. Siamo nati in seno al genere umano, con metodi e fini particolarissimi, ma siamo solo in minima parte umani.»

Barbee si afferrò alle sbarre del letto. «Chi era mio padre?»

«Il vecchio dottor Glenn. Ecco perché Archer Glenn è tuo fratellastro. È di qualche anno soltanto più vecchio di te e rappresenta un esperimento geneti­co riuscito in modo meno perfetto.»

Barbee ricordò quella sensazione di vecchia familiarità dimenticata che ave­va provato in presenza di Glenn. «E mia madre?»

«Tu la conoscevi molto bene. Era una donna che tuo padre aveva scelto per i suoi geni... la portò a Glennhaven come infermiera. Era molto dotata dei nostri poteri ancestrali, ma non riuscì mai a superare le resistenze opposte dalla sua parte umana. Fu abbastanza sciocca da credere che tuo padre la amasse e non lo perdonò mai quando venne a sapere la verità. Si unì ai nostri nemici umani.... ma tu eri già nato.»

Barbee si sentì venire la pelle d’oca.

«Non era per caso...», e inghiottì convulsamente, «Rowena Mondrick?»

«Rowena Stalcup, allora. Era ignara dei suoi poteri, finché tuo padre non cominciò a ridestarli. La inorridì l’idea di averti generato dal suo matrimo­nio, anche quando credeva che tu saresti stato umano.»

«E io l’ho uccisa! Mia madre!», mormorò Barbee inorridito.

«Era la nostra nemica più accanita! Finse di unirsi al clan di tuo padre e poi usò le arti che aveva appreso per scappare e consegnare i segreti del clan a Mondrick. Fu lei che mise Mondrick per la prima volta sulle nostre tracce. E continuò a lavorare con lui fino a quando uno di noi l’accecò, in Nigeria, mentre lei stava per scoprire una di quelle Pietre, quelle armi discoidali, più micidiali dell’argento, che i nostri nemici della preistoria seppellivano coi nostri antenati uccisi per tenerli nelle loro tombe.»

Prendendosi la testa fra le mani, Barbee mormorò:

«Oh, se l’avessi saputo!». E poi, evitando di guardare la lupa: «Che cosa voleva dire a Sam?».

«Il nome del Figlio della Notte. Ma noi abbiamo agito molto bene, tu so­prattutto, Will, quando hai finto di essergli amico... Perché tu sei uno dei nostri, Will, e il più potente che abbiamo generato, così potente che dovrai essere il nostro capo. Tu sei colui che noi chiamiamo il Figlio della Notte.»

21.

Si aprì la porta e l’infermiera fece capolino nella stanza buia scuotendo il capo in mite rimprovero: «Ah, signor Barbee», lo ammonì dolcemente. «Prenderà una polmonite se rimarrà là seduto a chiacchierare tra sé tutta la notte. Se ora, quando torno con l’iniezione, non la trovo a letto...»

«Non ti troverà», disse la lupa, quando l’infermiera se ne fu andata. «E ora è tempo di muoverci. Sam Quain sta sfuggendo agli uomini dello sceriffo, lungo una pista che loro non conoscono. E sta trasportando la cassa. Possie­de la sola arma che possa veramente nuocerti, Barbee, e dobbiamo fermarlo, prima che impari a servirsene. Su, andiamo!»

Barbee si attaccò alle sbarre del letto.

«Non credo di essere il Figlio della Notte», disse, «e non intendo fare del male a Sam.»

La lupa gli sfiorò, implorante, col muso il ginocchio e Barbee fu completa­mente soggiogato da quel muto richiamo. Le sue mani abbandonarono le sbarre del letto. Rivide l’alato pterosauro dello specchietto e fu posseduto dal desiderio cocente di avere la sua potenza. Subito una volontà spietata, tesa verso una vitalità mostruosa scese nel suo corpo, che gli parve si dilatas­se, si gonfiasse e accrescesse fino a chiudere in sé l’intero universo. E una forza gigantesca fluiva in lui tepida e inebriante.

E anche la lupa si trasformava.

Si era rizzata sulle zampe posteriori, e diveniva sempre più alta. Le curve sottili del suo corpo si colmarono, la bianca pelliccia scomparve. Con un gesto pieno di grazia, April scosse i lunghi capelli rossi dietro le spalle nude. Con febbrile eccitazione, Barbee avvolse fra le sue ali robuste la donna nuda, e baciò le sue labbra fresche con la lunga lingua di rettile. Ridendo, lui acca­rezzò la sua testa ricoperta di scaglie.

«Abbiamo prima un’altra cosa da fare», disse scivolando via dall’abbraccio. «Ci aspetta un appuntamento con la probabilità, e con il tuo vecchio amico Quain.»

April gli saltò sulla groppa elastica e ricoperta di piastre come una sella, e la parete si dissolse davanti alle due figure l’una aggrappata all’altra. Con un senso di sorpresa, vide che il letto d’ospedale era vuoto. Ma quel piccolo enigma non lo turbò: era meraviglioso sentirsi di nuovo libero, e il morbido peso della ragazza nuda sul suo dorso lo eccitava.

Ed ecco, navigavano alti nella notte nuvolosa, tra le ultime raffiche spruzza­te di pioggia. Sotto di loro si stendeva la strada delle colline. Poi, a un cenno di April, il rettile volante scese lentamente, planando, sulla curva di Sardis Hill, dove tre automobili erano ferme, insieme a un’autombulanza. Due uo­mini vestiti di bianco stavano portando una forma scura su di una barella.

«Quello è il tuo corpo», gli disse April. «I tuoi poteri sono cresciuti, e tu non ne hai più bisogno. Sei libero.»

«Sono libero? Morto, intendi...?»

«No, perché ora non morirai più, soprattutto se impediremo a Quain di usare l’arma terribile che ha contro di te. Tu sei il primo della nostra razza il quale, nei tempi moderni, sia in grado di sopravvivere materialmente, nono­stante la morte del corpo. Te ne sei separato, come una larva dalla crisalide.»

Continuò a volare rigido, con un gran freddo dentro.

«Mi dispiace, tesoro.» Sentì il tremito di un’improvvisa tenerezza incrinare la voce di April. «Lo so, è una sensazione terribile, sapere di avere perduto il proprio corpo, anche se non ne hai più bisogno. Ma dovresti essere felice.»

«Felice?», replicò, amaramente. «Di essere morto?»

«No... felice di essere libero!» Una sommessa eccitazione tremava nella voce di April. «Presto ti sentirai diverso, Will. Perché ora tutti i tuoi immensi poteri ancestrali si desteranno rapidamente, con la scomparsa delle barriere umane. Tu possiedi tutta l’eredità e i preziosi segreti dei nostri clan, quell’e­redità che la nostra gente, dispersa nel mondo, ha conservato e tramandato attraverso le lunghe epoche oscure nelle quali gli uomini credevano di avere vinto la loro lunga battaglia.»

Le grandi ali nere tremarono nell’aria.

«Tesoro... non devi avere paura!» Dolcemente, le dita di April accarezzaro­no le grandi piastre del sauriano. «Lo so... ti senti strano e solo... come mi sentivo io, quando mi rivelarono la verità per la prima volta. Ma non resterai solo per molto tempo.» Una quieta esultanza riempì la sua voce. «Vedi, Ar­cher Glenn dice che anch’io sono abbastanza forte per sopravvivere alla mor­te del corpo.»

Navigava lento nel cielo nuvoloso, e le grandi ali parevano pesanti e torpi­de.

«Certo, dovrò aspettare che il nostro erede sia nato... un figlio il cui sangue sia così puro da poter essere un nuovo padre per la nostra razza. E dovrò darlo alla luce nella mia forma umana, perché anche lui dovrà celarsi tra gli uomini.» Sentì che il corpo di April s’irrigidiva, teso da quell’indomabile pro­posito. «Ma poi anch’io potrò essere separata dal corpo», aggiunse, dolce­mente. «E sarò con te per sempre!»

«E come?», disse lui, aspramente. «Per essere entrambi dei fantasmi?»

«Non provare compassione per la tua sorte, Will Barbee!» Rise, in quel momento, scuotendo i capelli di fiamma sulla schiena nuda, e affondando i talloni nudi nel corpo squamoso del rettile volante. «Perché ora tu sei quello che nella leggenda gli uomini hanno chiamato un vampiro, e dovresti esserne felice. Il tuo vecchio amico Quain, e tutti gli uomini, hanno bisogno di com­passione... non tu!»

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