Indice
LA FIGLIA DELL’ACQUA LA FIGLIA DELL’ACQUA LIBRO 1 Aidan Fox Tradotto dal francese da Rebecca Glarey
PRIMA PARTE: SARKOTH
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SECONDA PARTE: L’ARCIPELAGO DEI PRINCIPATI GEMELLI
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Giornale di Philas Smogg
Nomenclatura dei personaggi
Copyright
LIBRO 1
Aidan Fox
Tradotto dal francese da Rebecca Glarey
PRIMA PARTE: SARKOTH
- Sei pronta?
Il ragazzo la guardava con uno sguardo interrogativo in fondo al quale lei poteva leggere una determinazione senza debolezza. Naëli non era sicura di essere pronta, ma la presenza di Joan era tranquillizzante. Con lui al suo fianco, avrebbe superato qualsiasi sfida.
Come quella che preparava da qualche mese: la Coppa dei Sette Principati, la più lunga e la più pericolosa mai esistita.
Aveva sempre avuto ambizione, ma i deliri di Joan erano di tutt’altra misura. Lanciarsi in un simile pericolo, alla loro età! Questa era follia più che ambizione. I corridori più giovani cominciavano la loro carriera dopo i vent’anni, ed entrambi non ne avevano che quindici.
Tuttavia, oggi, la linea di partenza si stendeva a qualche metro da lei, palpitante nella calura del pomeriggio. Gli organizzatori quest’anno avevano scelto Ys come punto di partenza della corsa.
Ys.
La capitale del Principato di Sarkoth, il più ricco e il più prospero dei sette Principati che componevano questo mondo. Una città che occupava tutto lo spazio della piccola isola sulla quale era stata costruita e che godeva di una posizione centrale che le permetteva il controllo assoluto delle rotte commerciali. Da qui derivava la sua ricchezza impressionante.
Il suo dirigente, il Principe commerciante Vesperil, possedeva d’altronde la più grande fortuna del mondo. Possedeva un genio commerciale senza pari e si rivelava essere un negoziatore senza eguali.
L’uomo era rispettato e ammirato da tutti.
Per quel che riguardava la città stessa, splendida sarebbe stato un aggettivo troppo debole per descriverne la bellezza. Aveva un aspetto fatato. Non c’era un viale che non fosse abbellito da uno specchio o una fontana. Le frecce slanciate e le vaste cupole di vetro costeggiavano le grandi avenue e le passerelle sfrontate in un insieme grazioso dal fascino accecante. La chiamavano “lo specchio del mare”, perché quest’ultimo si rifletteva all’infinito negli innumerevoli appartamenti vetrati che si concatenavano sulle facciate degli edifici. Ys era tale che dovunque si fosse si era abbracciati dal rumore pacifico dell’oceano.
Entrando nella città il giorno precedente, Naëli era rimasta stupefatta dalla magia architetturale che ne veniva sprigionata. Di fianco ad essa, la capitale di Sarmajor, la sua isola natale, faceva la figura di una grezza metropoli industriale annerita dal carbone e dalla cenere. E tuttavia, innumerevoli erano i poeti che ne cantavano la grazia. La si soprannominava addirittura la città dell’arte e degli sport!
Ma Ys era inebriante.
Ys era eterna.
Non c’era da stupirsi che i più grandi magnati del mondo avessero deciso di installarci i loro appartamenti!
La città emanava ricchezza. Non la ricchezza travolgente dei magnati dell’industria che si spostavano negli ultimi modelli di automobili, no, qui era la ricchezza propria e netta, quella della gente così potente che le loro vie erano pulite tre volte al giorno e che le loro abitazioni erano fatte su misura.
I pochi abitanti che aveva visto erano vestiti più o meno semplicemente, ma sempre con gusto. Dimostravano una classe fuori dal comune.
La sobrietà dell’élite.
Non c’erano senzatetto o operai. Naëli si chiedeva se la gente avesse dei domestici. Ma può darsi che lei avesse visto solo i bei quartieri.
Da quello che le aveva detto suo padre, che aveva già viaggiato attraverso quella città in passato, gli organizzatori avevano fatto del loro meglio per questa edizione della Coppa. Degli striscioni rossi ricamati con cura si stendevano in ogni angolo di Ys, rappresentando una coppa intagliata con motivi dorati circondata da sette stelle su un fondo rosso sangue. Ogni Principato aveva il suo colore: rosso, verde, giallo, blu, marrone, bianco e viola. Era l’emblema della corsa, quello che ossessionava i pensieri di Joan da diversi anni. E per contagio, anche quelli di Naëli dopo che le aveva proposto di accompagnarlo.
Sul viale di partenza non si trattava più di ornamento, ma di fasto lussuoso. Innumerevoli file di gradinate erano state istallate affinché gli spettatori potessero assistere alla partenza della celebre Coppa dei Sette Principati, ed erano ben diversi dai soliti gradoni di legno montati in fretta. Questi erano ricoperti da uno spesso tessuto porpora e sembravano quasi confortevoli. Anche la strada aveva avuto diritto al suo tappeto rosso, dato che stava per essere scalfita da centinaia di ruote furiose tra qualche istante. Come se i dirigenti avessero voluto che la ricchezza del Principato scoppiasse davanti agli occhi di tutti.
Tutto ciò era di gran gusto e faceva sognare Naëli.
Come prima corsa, era abbastanza lusinghiera.
Bandiere di ogni tipo sventolavano di qua e di là per incoraggiare i concorrenti. Corridori di Kur, Hoz, Sarmajor, Galbi, Nirvûn, Kelebetokey e Sarkoth, ogni Principato forniva la sua squadra di partecipanti entusiasti. Ce n’erano pure che venivano dalle isole più lontane, al di là dei territori conosciuti. Tutti ci tenevano a difendere la loro patria. Ma in ogni paio di occhi si leggeva la stessa eccitazione.
La stessa preoccupazione.
Seduta sul sellino posteriore della moto, le braccia intorno alla vita di Joan, Naëli rispose alla domande di quest’ultimo con un accenno del capo poco sicuro e girò la testa a destra, con la sgradevole sensazione di essere osservata.
Uno strano individuo vestito di nero dalla testa ai piedi aveva gli occhi rivolti su di lei. Era al volante di una macchina profilata e dinamica tenebrosa dai fianchi sottili e la carrozzeria minacciosa, che le fece venire i brividi alla schiena.
Dei teschi inquietanti affioravano dalla scocca della vettura.
“Qualche concorrente dovrebbe essere eliminato per il suo aspetto” pensò lei. Non era per niente rassicurante. Lo sguardo dell’uomo era…malvagio.
Riportò l’attenzione sulla strada, a disagio. Il porta parola degli organizzatori, che rispondeva al nome di Yoklavin Seth, aveva parlato di questa squadra poco prima, quando aveva fatto le presentazioni. Dei nativi di Nirvûn, a quanto pare, che avevano già partecipato numerose volte. Era la squadra del Seghetto da Carne , la squadra numero due. “Diffidiamo di da questi qua, sono degli esperti”, aveva detto Joan.
Considerò per un attimo il loro veicolo, il Lupo di mare . Era una moto valorosa che Joan aveva truccato per renderla più veloce di un lampo. Doveva il suo nome al muso del lupo scolpito nel metallo che sormontava la ruota anteriore, prolungato da delle lastre bianche ondulate che evocavano le onde impetuose. Una serie di reattori più o meno voluminosi uscivano dalla sua parte posteriore e spingevano il veicolo con forza. Sui suoi fianchi era incisa una grande E, come per? Esploratori, il nome della squadra di Naëli.
Era un bel veicolo.
Lo sguardo di Naëli vagò verso gli spalti alla ricerca di suo padre. Le aveva promesso che sarebbe venuto. Sapeva da quando lei frequentava Joan che sarebbe finita sulla pista. E si era preparato a questo. Non dovette scrutare per molto tempo le fila di spettatori. Era là, gesticolante nel vuoto come se non sapesse cosa fare con le sue braccia, i suoi occhiali così vicini all’estremità del naso che minacciavano di cadere da un momento all’altro.
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