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Jack Williamson: Il figlio della notte

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Jack Williamson Il figlio della notte

Il figlio della notte: краткое содержание, описание и аннотация

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Il ritorno dalla Mongolia della spedizione del celebre professor Mondrick segnerà forse l’inizio di un’era nuova nella storia dell’umanità. Perchè in una certa cassa che gli esploratori portano dal deserto di Gobi sono contenute le prove di una guerra spietata e segreta, che si combatte da innumeri millenni. E il campo di battaglie è il subcosciente stesso della razza umana, dove il Maligno sembra sferrare i suoi colpi più mortali e insidiosi. Perchè il genere umano, ha scoperto Mondrick, è un ibrido: il sangue dell’Homo sapiens è, ormai, contaminato da quello dell’Homo lycanthropus, l’antichissima razza caina… Ma la scoperta di Mondrick esige le sue vittime e un orrendo pericolo minaccia di nuovo l’umanità. Le forze del male sono scatenate e gli angeli ribelli tentano ancora una volta di rialzare il capo. Metapsichica e psicocinesi sono le strane scienze a cui questo romanzo senza precedenti nella letteratura del “soprannaturale” sembra ispirarsi. E’ un romanzo che non si dimentica!

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Glenn alzò le spalle con una certa indifferenza. «Il dottor Bunzel è ancora sbalordito per questa faccenda», ammise con la sua solita flemma. «Ma non dobbiamo preoccuparci di nulla questa sera. Ora lei dovrebbe tornare nella sua stanza, fare un bel bagno caldo e dormire un po’...»

«Dormire!», ripeté Barbee, rauco fino all’afonia. «Dottore, se mi addor­mento, tornerà la solita lupa a tramutarmi in qualche spaventevole fiera, per spingermi a uccidere Sam Quain. Non la si vede... nemmeno io riesco a vederla in questo momento... ma non ci sono muraglie che le impediscano di passare.»

Glenn sorrise ancora, assentendo svagato.

«Sta venendo!», gridò Barbee. «Sente i cani?»

S’udivano i cani atterriti ululare in tutte le case coloniche dei dintorni. Bar­bee si mise a tremare violentemente. Glenn attese sulla soglia, il volto più placido che mai.

«La lupa bianca è April Bell», sussurrò Barbee. «È stata lei che ha assas­sinato Mondrick e che mi ha spinto a uccidere Rex e Nick. E l’ho vista, sul corpo di Rowena, leccarsi le zanne.» Si mise a battere i denti. «Verrà appena mi sarò addormentato, per farmi tramutare ancora e poi uccidere Sam!»

Glenn alzò le spalle.

«Lei è stanco», disse in tono professionale. «E quindi molto eccitato. Lasci che le dia qualcosa per farla dormire...»

«Non voglio niente.» Barbee cercò di impedire alla sua voce squarciata di levarsi in un urlo. «Si tratta di qualcosa di molto peggiore della follia... Devo riuscire a farle capire! Senta quello che stasera mi ha detto Sam Quain...»

E precipitosamente, confusamente, riprese a parlare di Homo lycanthropus e di streghe e di età glaciali e di ibridi.

«Dunque, dottore», domandò quand’ebbe finito, «che ne dice ora?»

Deliberatamente, col suo vecchio gesto meditativo, Glenn congiunse le pun­te delle dita.

«Lei è malato, signor Barbee», disse con voce dolce e profonda. «Lo ram­menti. Troppo malato per vedere la realtà se non nello specchio deformante delle sue stesse paure. La sua storia dell’ Homo lycanthropus ,direi, non è che un parallelo isterico e deforme della verità. È vero che alcuni studiosi di metapsichica hanno interpretato certi loro risultati, alla Duke University, come una prova scientifica dell’esistenza di uno spirito distinto dal corpo, che può influire in qualche modo sulla probabilità degli eventi nel mondo materiale e può anche sopravvivere alla morte fisica.»

Qui Glenn approvò con un cenno del capo, come soddisfatto delle sue stes­se parole.

«Ed è vero», riprese, «che l’uomo discende anatomicamente da animali più o meno selvaggi. Noi tutti abbiamo ereditato caratteristiche che non ci servo­no più nella società civile. La mente inconscia sembra talvolta una tenebrosa caverna di orrori e gli stessi fatti spiacevoli sono spesso espressi attraverso il simbolismo della leggenda e del mito. Ed è anche vero che assistiamo con una certa frequenza al ritorno di caratteri ereditari recessivi, veri e propri ritorni atavici molto interessanti.»

Barbee scosse il capo con una specie di contenuto furore. «Ma tutto questo non spiega minimamente il problema delle streghe!», disse esasperato. «Non spiega il circuito di probabilità col quale cercano di assassinare Sam! Io non voglio addormentarmi per poi uccidere Sam Quain, capisce?»

«La prego, signor Barbee», la voce del medico era piena di calda amicizia, «non vuole proprio cercar di capire? La sua paura di dormire non è che la paura dei suoi desideri inconsci, che il sonno libera. La strega dei suoi sogni non può rivelarsi se non per il simbolo del suo amore, di cui si sente colpevo­le, verso la signora Quain, e i suoi pensieri omicidi non sono forse che la naturale conseguenza di un odio inconscio e geloso per il marito.»

Barbee strinse i pugni, squassato da un furore muto.

«Lei ora non può che negare queste idee», riprese Glenn. «Deve imparare ad accettarle, ad affrontarle e a usarle su di una base realistica. Sarà questo il fine della nostra terapia. Non c’è nulla di speciale in tali paure. Tutti i vivi le esprimono...»

«Tutti i vivi», lo interruppe Barbee, «sono tarati dal sangue di strega.»

Glenn assentì affabilmente.

«È l’espressione fantasiosa di una fondamentale verità scientifica. Tutti pa­tiscono gli stessi conflitti interiori...»

Barbee udì dei passi sul viale alle sue spalle e si voltò con un singulto sof­focato di terrore. Non era la sottile lupa bianca, ma soltanto l’equina infer­miera Graulitz e l’atletica Hellar. Guardò con aria accusatrice lo psichiatra.

«Farà bene ad andarsene tranquillamente con loro, signor Barbee. La met­teranno a letto e l’aiuteranno a fare un bel sonno riparatore...»

«Le ho detto che non voglio dormire, che ho paura...», singhiozzò Barbee.

Trattenne il fiato e fece per correre via. Ma le due amazzoni vestite di bian­co lo presero per le braccia e lui cedette subito, tanto era spossato e infred­dolito. Lo portarono nella sua stanza; una doccia calda gli stroncò quel terri­bile batter di denti e il letto fresco di bucato era insidiosamente riposante.

«Resto di guardia qui, nel corridoio», gli disse la Hellar. «Le farò una inie­zione se non si addormenta da bravo subito.»

Ma non fu necessaria nessuna iniezione. Il sonno lo avvolse in una rete ondeggiante e maliosa, irresistibile.

Cercò di lottare contro di essa... fino a quando qualcosa lo costrinse a guar­dare la porta chiusa. I pannelli inferiori si andavano lentamente dissolvendo. La lupa si materializzò nell’apertura e venne avanti trotterellando. Sedette in mezzo alla stanza, fissandolo con occhi divertiti, pieni di attesa. La lingua le penzolava rosea tra le zanne bianchissime.

«Puoi aspettare fino a che si faccia giorno», le disse lui stancamente. «Ma non puoi farmi tramutare, perché tanto non dormirò.»

«Non c’è più nessun bisogno che tu dorma», ed era la voce bassa e vellutata di April. «Ho detto or ora al tuo fratellastro che cosa è successo questa notte a Sardis Hill, e lui ne è rimasto molto contento. Dice che devi essere potentissimo, perché nemmeno le infermiere si sono accorte di nulla. Ha detto anche che ormai potrai trasformarti quando vorrai, senza l’aiuto del sonno, perché non hai più resistenze umane da sopraffare.»

«Che cosa stai dicendo?» E Barbee si levò prontamente a sedere sulla spon­da del letto, aggrottando la fronte. «Che cosa le infermiere non hanno vi­sto?»

«Non lo sai proprio, Will?»

«Ma che cosa? E chi è il mio fratellastro?»

«Possibile che Archer non ti abbia detto nulla? Dev’essere così.» La lupa scosse significativamente la bella testa. «Probabilmente intendeva impiegare tutto un anno per ridestare i tuoi poteri ancestrali, come fece con me... a quaranta dollari l’ora. Ma il clan non può attendere. Ti ho liberato bru­scamente, stanotte, perché dobbiamo pensare a Sam Quain, e la tua parte umana ti rendeva troppo riluttante.»

Barbee batté le palpebre senza capire. «Non ti capisco», disse, «e non credo affatto di avere un fratellastro. Che io non abbia mai conosciuto i miei geni­tori non vuol dire. Mia madre morì nel mettermi al mondo e mio padre fu rinchiuso poco dopo in manicomio. Sono stato allevato in un istituto fino all’università, quando sono andato in pensione dalla signora Mondrick.»

«Ma questa è tutta una fiaba!» La lupa rise silenziosamente. «Naturalmente è esistito un Luther Barbee... ma lui e la moglie erano stati pagati per adot­tarti. Accadde loro di scoprire quale mostricino inumano tu fossi. Ecco per­ché la donna dovette essere uccisa e l’uomo posto in condizione di non nuo­cere... prima che parlassero troppo.»

Barbee scosse la testa in una tempesta di dubbi. «Insomma», disse di mala­voglia, «che cosa sarei secondo te?»

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