Perry sembrava frastornato. La folla intorno a loro tacque. Gli exteroaffettori lavorarono in fretta.
Un altro raggio di luce inquadrò il foglio bianco, sopra il cavalletto di Jackson. Lui teneva tutti i carboncini, tranne uno, nella mano sinistra; per un minuto fece saltellare l’altro nella mano destra, guardandosi attorno. Si succhiò i denti, bruscamente, e si mise al lavoro. Accostò il carboncino alla carta. Disegnò per i presenti un amsir coraggioso e fanatico, con un dardo piantato nel foro aperto in una delle bolle: tentava di tenere una mano alzata e piegata all’indietro per tappare la ferita con le dita. E, intanto, faceva camminare davanti a sé un Honor vestito di pelle umana, che aspirava l’aria da una bottiglia, e lo sospingeva verso l’orlo del mondo.
Quando ebbe finito, ebbe finito. Jackson non sapeva esattamente quanto tempo avesse impiegato. Nessuno lo interruppe. Gli giravano intorno nervosamente e qualche volta mormoravano; ma lui riusciva a non farci caso.
Guardò il disegno: tutto era esatto, l’aveva eseguito nel modo giusto. La sua mano sinistra era annerita e vuota. Lasciò cadere sul pavimento l’ultimo carboncino, ai piedi di Perry. «Ecco ciò che penso del tuo quadro», disse. «Tecnicamente».
Vi furono numerose esclamazioni, da parte di coloro che stavano dietro di lui. Perry aggrottò la fronte e si accostò per osservare il disegno. Si grattò il mento, inclinò la testa avanti e indietro. «Temo… temo di non capire. Cosa stai cercando di dire con questo?».
Vi fu un crescente brusio di assenso, intorno ai due. «Sì. Che cosa dimostra?».
«È meglio che lasciate dare un’occhiata a me», disse Kringle, facendosi avanti. Si fermò a fianco di Perry; Jackson dovette arretrare per fargli posto. «Uhm… Cerchi di equiparare il carboncino alla pittura ad olio?», chiese Kringle a Jackson, in tono paternalistico. «È molto difficile paragonare l’arte espressiva con mezzi diversi, sai. Anzi», soggiunse in tono ragionevole, «è molto difficile istituire paragoni nell’arte. N’est-ce pas? » .
«Quello che non capisco», disse Perry, «è perché abbia ritenuto di doversi sentire tanto ostile. Vedo quello che ha disegnato, ed è una scena completamente diversa. Come si può trovare la base per un confronto?».
Donder disse: «Ecco, credo che sia seccante, in qualunque modo lo si consideri! Voglio dire, Perry ha dedicato il quadro, a lui, alla sua festa… alla quale partecipiamo tutti. Che cosa vuole, agendo così?».
Tanto per essere sicuro, Jackson diede un’ultima occhiata alla differenza tra l’opera di Perry e il suo disegno. Poi si girò e passò tra la folla. Molti cercavano di spingersi avanti e di guardare i due centri gemelli dell’attenzione. Gli altri lo fissavano a disagio. Alcuni sembravano infastiditi, altri avevano l’aria di non sapere esattamente cosa fare, ma nessuno capiva perché lui fosse così scosso. Riuscì a emergere dalla calca senza alcun contatto. Si asciugò il sudore dal volto e poi, guardandosi il palmo della mano sporco di carboncino, comprese che probabilmente s’era impiastricciato a dovere la faccia. Uscì e si fermò a guardare i padiglioni che garrivano allegramente nella brezza.
«Comp, voglio una nave».
«Questo è impossibile. Sarebbe disastroso. Conosci abbastanza la disciplina sperimentale per capirlo. Ascolta», disse Comp in tono suadente, «tu sei disperato. Ma è la conseguenza del fatto che non riesci a stabilire un’adeguata relazione con questa gente…».
«O sono loro che non riescono a stabilirla con me».
«Non c’è bisogno che ti agiti così. A proposito, non credo che tu sia quel grande artista che credi di essere. Credo che non ci sia una grande base razionale per scegliere fra te e l’individuo chiamato Perry. Quindi, il tuo disprezzo per il suo lavoro è fondato esclusivamente sulla tua convinzione emotiva di essere il portavoce migliore per quella certa rappresentazione della realtà. Forse hai ragione, ma una rappresentazione della realtà non vale più di un’altra. Perry potrebbe scegliere di rappresentare una parte del mondo di cui ha esperienza personale. Se lo facesse, il tuo tentativo di copiarlo, per quante attualità tu possa aver visto e per quanto possa sentirti in empatia, non sarebbe valido quanto il suo. Per questo sarebbe forse totalmente privo di valore? No, e Perry sarebbe scortese se lo affermasse. Sarebbe quasi imperdonabilmente sgarbato se lo dimostrasse in modo teatrale, come hai fatto tu. E poi, naturalmente, c’è il peccato più grave… Non sei riuscito a dimostrare quel che volevi».
«Al momento, tutto questo torna a tuo svantaggio. Ma, in effetti, sono tutte cose da cui è possibile riprendersi. Credo che tra poco troverai un modo di esprimerti soddisfacente per te e per la comunità. Be’, forse non tra poco. Ma entro un tempo ragionevole. Calmati… vai un po’ in giro. Impara quel che più ti piace. Intanto… ecco…». Gli exteroaffettori si posarono fuggevolmente su di lui e s’involarono. Era di nuovo pulito. Aveva la pelle lucida. Si massaggiò il gomito. Forse, un giorno, sarebbe divenuto completamente vuoto, dentro?
«Potrei proporre un corso sul Lancio col Bastone? O sull’arte? Voglio dire, potrei fare qualcosa, e dopo tu potresti fare un sondaggio e vedere se va bene o no. Forse basterebbe un semplice voto di maggioranza, e allora potrei aprire una scuola».
«Mi pare che l’abbiamo già insabbiato», disse Comp.
«Nessuno l’avrebbe insabbiato meglio», riconobbe Jackson. «Senti, c’è qualcun altro con cui parlare, in questo mondo, esclusi loro e quelli come loro?».
«Be’, ci sono io. Sono un conversatore inesauribile. E sono anche il docente migliore. Il numero delle cose che si possono apprendere da me è finito ma molto grande. Ti assicuro che, se lo vorrai, sarà un’occupazione che riempirà tutta la tua vita. Un campo di conoscenza in continua espansione. Al momento, per esempio, la telemetria necessaria per inviare gli exterocettori attraverso le distanze interstellari rappresenta un’utile…».
Jackson sogghignò, come aveva visto sogghignare l’Anziano. «E quando morirai, io potrò essere te».
«No! Io non morirò mai!».
«È quello che pensano tutti», sospirò Jackson. «Cosa sta facendo Ahmuls?». Si sentiva molto solo.
«Ahmuls è contento. Ecco…». Due exteroaffettori baciarono le palpebre di Jackson.
In un primo momento, credette che quanto vedeva fosse un rivoletto fuggitivo, liquido e bruno, tumultuante fra i sassi. Poi si accorse che era la veduta aerea di un’immensa pianura. Il punto di vista scese in picchiata come un falco, e Jackson piombò verso un branco di irsuti animali bruni, con le teste massicce, le spalle alte, gli occhi rossi, le corna, il lungo vello. Gli exteroaffettori gli premettero gli orecchi, e Jackson udì il tuono dei bisonti.
Dietro di loro, a balzi, veniva Ahmuls, silenzioso e deciso. Correva in un modo che rivelava che impegnava tutte le sue forze… ma, per Dio, come correva, con la pelle che gli si gonfiava alle spalle, sventolando dalla faccia e dalle spalle. La bocca era spalancata, e la punta della lingua era premuta contro l’angolo delle labbra.
«E la Riserva Naturale Medio-Americana», disse Comp. «Noterai che il paesaggio è stato leggermente modificato per adeguarlo alle esigenze di Ahmuls».
In effetti, le rupi affioranti di granito che adesso dividevano in segmenti il branco in movimento, e lo facevano riaffluire in una massa coesiva, prima che l’inseguimento di Ahmuls lo spaventasse di nuovo, erano coperte di licheni. Mentre passava di corsa accanto ad una di esse, Ahmuls tese una mano, ne strappò via un pezzo e se lo cacciò in bocca. Era impossibile comprendere se stava cercando di prendere gli animali per poterli uccidere, o se voleva semplicemente unirsi al branco. Ma nel disordine tumultuoso, i capi dietro di lui erano numerosi quasi quanto quelli che gli stavano davanti, e un paio di tori in preda al panico uscirono sbuffando e scalpitando da strettoie fra le rocce, rischiando di travolgerlo.
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