Algis Budrys - Morte dell'utopia

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Il pavimento del mondo è increspato come il fondale di un oceano. Il sole al tramonto inchiostra d’ombra violetta ogni increspatura. Le dune riempiono il mondo fino agli orli. E su questo pianeta che non è la Terra, un uomo insegue l’amsir, la grande bestia alata, per ucciderla. Perché gli uomini hanno sempre fatto cosi, da che il tempo è iniziato all’ombra della Spina. Ma per Honor White Jackson qualcosa cambia all’improvviso: l’amsir parla, e scaglia dardi. Forse, allora, la realtà non è soltanto quella di cui ha sempre parlato l’Anziano... Cosi inizia Morte dell’utopia, uno dei romanzi più originali, magici e inquietanti della fantascienza moderna, scritto da un maestro del genere, Algis Budrys.

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«E allora me ne vado. Non sono mica matto». Ahmuls si voltò per andarsene, gonfiandosi e increspandosi, e si allontanò. Kringle lo fissò sbalordito, a occhi sgranati.

«Torna qui!».

«No», disse Ahmuls, girando appena la testa.

Neppure Jackson riusciva a crederlo. Dove sarebbe andato? Non c’era niente, là: soltanto erba e case bianche alla Walt Disney ed exteroaffettori. «Ehi! Aspetta! Aspetta!», disse Jackson, alzandosi. «Non andartene così!».

Ahmuls girò la testa, tenendo la faccia in modo da poter vedere Jackson. «Cos’hai, tu? A te non dò fastidio. Non darò mai fastidio a uno come te. Se voialtri volete questo posto, tenetevelo. Volete prendermi in giro, eh? C’è tanto spazio. Vi stancherete di prendermi in giro prima che io non trovi più spazio per andare. Credete che sono matto, che voglio farmi picchiare ancora per discutere con voialtri? Siete matti voi!».

E dove sarebbe andato, per trovare un posto che gli volesse bene? Con un paio di passi svelti, Jackson lo raggiunse. Posò la mano sulla spalla che sembrava pasta da pane. «Oh, su, avanti… Aspetta». Si accorse di avere assunto un tono implorante. «Senti, siamo appena arrivati. Devi avere un po’ di pazienza. Per te stesso. Voglio dire, qui c’è gente buona e gente cattiva, credo. E questo non m’impedirà di essere felice, qui. Tu potresti…».

«Io non sono come te. Io non sono come loro».

Kringle si stava avvicinando. L’atmosfera era cambiata. Sogghignava baldanzoso. Gli altri uomini sorridevano e ridevano di Ahmuls.

«Non cercare di addolcirlo», disse Kringle. «Non vuol saperne di noi. Lo capisce, quando ha perso. E in una cosa ha ragione. Non è come noi». Il suo sguardo guizzò per un attimo su Jackson. «O come te».

Ecco, pensò Jackson, con la gelida rapidità di un furetto, e se scoprissi che non posso vivere con costoro e poi scoprissi che mi è impossibile anche ritrovare Ahmuls, se si perde chissà dove?

«Senti, vuoi lasciarci in pace in modo che io possa parlargli?».

«Be’, non vedo il motivo perché tu debba perdere la pazienza». Kringle tornò indietro, verso gli altri. Si chinò, prese un bocconcino dalle dita di Durstine, e cominciò a masticarlo con gli incisivi, delicatamente, restando di fronte a lei in modo che Durstine avrebbe dovuto allungare le braccia intorno a lui, se avesse voluto prendere un altro po’ di cibo.

«Vieni, Ahmuls», disse Jackson.

«Ehi… Faccia a faccia, sull’infinita distesa della prateria, il muscoloso Jackson Greystoke e il suo mostruoso avversario si affrontavano», commentò Chester.

Durstine rise. Poi disse: «La battaglia tra due superbe macchine fisiche stava per avere inizio. Lì, nella pacifica radura che non aveva visto scene di violenza da venti secoli, all’improvviso vi fu il risveglio dell’antichissima eredità terrestre della lotta tra la forza bruta e l’intelligenza».

Donder declamò: «Un grande silenzio scese sulla terra mentre la Natura stessa pareva trattenere il respiro, nella fremente attesa dello scontro spaventoso».

«Cosa? Cosa stanno dicendo?», borbottò Ahmuls. Jackson girò la testa. Durstine e alcuni degli altri, e persino Kringle, stavano guardando lui e Ahmuls con occhi ridenti. Alcuni degli altri erano tornati a far colazione, e sorseggiavano e mangiucchiavano con grazia. Stavano tutti oziando.

Pall sembrava interessata: ma le persone dai grandi occhi umidi sembrano spesso emozionate quando in realtà si limitano a sfoggiare un fenomeno fisiologico.

«Lascia stare», disse Jackson ad Ahmuls. «Devi fare quello che vuoi».

Ahmuls disse: «Giusto». Salì pesantemente il pendio della depressione, profilato contro l’orizzonte pallido del mattino inoltrato, e cominciò a sparire, dalle gambe in su, mentre scendeva sull’altro versante, fuori dalla visuale di Jackson.

Ancora una volta vi fu il rapido, sotterraneo fruscio del pensiero. «Comp, gli starai dietro?».

«Oh, io so sempre dove sono tutti quanti, è ovvio», gli disse all’orecchio un’ape. «Anche se non potrei predire dove andranno. Ma credo che non sia un problema predire dove andrà lui. Troverà il posto».

Che posto, Comp? No, mi diresti solo un nome che non conosco. Che genere di posto?».

«Una specie di zoo».

«Uno zoo?».

« Unozoo, unozoo, unozoo, zoo, zoo », canterellò Kringle, lanciandosi in un walzer con Durstine. Chester afferrò Elyra. Cincinnatus prese Pall tra le braccia.

Poco dopo, stavano tutti volteggiando sull’erba, come aironi nella stagione del corteggiamento, canticchiando, sorridendo, con i volti accaldati. Gli occhi ridenti: solo Durstine ammiccava e Jackson, solo Pall sembrava temporaneamente frastornata, eppure anche lei canterellava: « Unozoo, unozoo, unozoo zoo zoo, unozoo, unozoo, u-unozoo-oo, ah, ah, ah, ah, zoo, zoo, zoo » .

Bene, e adesso che cosa farai?, si chiese Jackson. Ti metterai a urlare? Ti comporterai come una scimmia mentre quelli ballano il walzer? E cosa importa se sono pazzi…? Non sono graziosi? Come un gruppo scultoreo motorizzato di serafini fatto di lame di rasoio?

Ahmuls era già molto lontano; i ballerini avevano dimostrato quello che volevano dimostrare e si stavano fermando, si lasciavano cadere sull’erba.

«Non credo che potresti istruirlo», disse Jackson all’ape. «Hai a disposizione soltanto tutte le risorse di un pianeta».

«Non ne vedo la necessità», disse Comp. «Posso renderlo più felice? Posso renderlo umano senza sottrargli la sua essenza? Non ha storia e non ha futuro. Tutte le sue aspirazioni sono circoscritte a lui stesso». Comp sapeva di aver enunciato un’affermazione inconfutabile. L’ape volò lontana dall’orecchio di Jackson.

Erano ancora tutti accaldati, e ridacchiavano. Guardavano Jackson, incuriositi; e lui li guardava.

«Il tuo fedele compagno ti ha lasciato senza parola, Cavaliere Mascherato delle pianure?», chiese Jimmy. «Ti ha tolto il fiato?».

«L’unico essere al quale sia mai stato fedele è su Marte», disse Jackson, con voce tesa. «A meno che sia morto. Lui sbagliava nel giudicarmi, capisci?».

«Oh, vieni a mangiare con noi, Jackson», disse Kringle. «Se vuoi». Si adagiò, cingendo Durstine con un braccio. Durstine roteò gli occhi e rivolse a Jackson un broncio seducente.

«Sì… vieni con noi. Non arrabbiarti».

Pall ridacchiò. «Che strano, scappar via a quel modo. E avresti dovuto vedere la tua faccia quando noi ci siamo messi a ballare, Jackson!».

«Sì… come se non avesse mai sentito parlare delle abitudini civili», disse Chester. «O se non sapesse comunicare».

Jackson si sentiva sempre più nervoso. Se quelli pensavano che Kringle fosse grande, quando era di quell’umore, allora avevano ancora qualcosa da imparare…

«Jackson comunica benissimo», disse Durstine.

«Sì», disse Kringle. «Credo, Chester, che nel suo ambiente Jackson ti sorprenderebbe».

«Questo vorrei proprio vederlo», disse Jimmy.

«Be’, è perfettamente possibile che tu lo veda», disse Kringle in tono ragionevole. «Se Jackson è disposto».

«Chissà se lo è», disse Chester.

«Ma certo che lo è!», esclamò Pall.

Girare il viso di qua e di là, mentre parlavano, era come correre da un tunnel all’altro, tra mille intersezioni, e senza la minima guida.

«Certo che lo farai», gli disse in faccia Durstine, morbida e calda, con una torsione del corpo che portava ancora più vicini la sua bocca e il suo respiro.

«Fare che cosa?».

«Combattere!».

«Combattere che cosa?».

«Un amsir».

«Perché?».

«Per me!».

«Dove?».

«Qui!».

«Qui!».

«Come?».

«Non è un problema», disse Comp.

CAPITOLO 15

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