Algis Budrys - Morte dell'utopia

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Morte dell'utopia: краткое содержание, описание и аннотация

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Il pavimento del mondo è increspato come il fondale di un oceano. Il sole al tramonto inchiostra d’ombra violetta ogni increspatura. Le dune riempiono il mondo fino agli orli. E su questo pianeta che non è la Terra, un uomo insegue l’amsir, la grande bestia alata, per ucciderla. Perché gli uomini hanno sempre fatto cosi, da che il tempo è iniziato all’ombra della Spina. Ma per Honor White Jackson qualcosa cambia all’improvviso: l’amsir parla, e scaglia dardi. Forse, allora, la realtà non è soltanto quella di cui ha sempre parlato l’Anziano... Cosi inizia Morte dell’utopia, uno dei romanzi più originali, magici e inquietanti della fantascienza moderna, scritto da un maestro del genere, Algis Budrys.

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«Non so. Dovremmo provare, no?», rispose Jackson in tono ragionevole. Girò lo sguardo sugli altri. Stavano tutti chiacchierando educatamente tra loro, e mangiucchiavano. Eppure, adesso che li guardava di nuovo, pareva che istintivamente volgessero lo sguardo su di lui ogni volta che volgeva lo sguardo su di loro. Le donne erano all’incirca metà e metà: alcune sembravano pronte a giocare in un modo o nell’altro, notò Jackson. Gli uomini… Be’, era strano, ma sembrava sapessero cosa pensavano le donne. Sembrava che lo sapessero senza guardarle, mentre guardavano lui.

«Provare?», disse Kringle. «È già stato provato, no? Abbiamo pur sempre antenati comuni, lo sai».

«Sì, certo, ma questo vale anche per gli amsir. E anche per lui». Jackson indicò Ahmuls con un cenno del capo. Flette la spalla sotto la mano di Durstine e strizzò l’occhio a Pall. Columbus, che era in mezzo al gruppo e si era mostrato tanto ansioso di fare colazione, vide la strizzata d’occhio. Guardò Jackson, e fece crocchiare le dita, lentamente, pensosamente.

Ah, è così, pensò Jackson. Inimicizia nell’Eden. Be’, stai a sentire, amico, ne ho fatto a meno per molto tempo.

E insieme a quel pensiero c’era il presentimento che presto lui avrebbe perso il carattere di novità, e si sarebbero fatti concorrenza per le loro donne su una base di eguaglianza. Forse un po’ meno, rammentò a se stesso, perché lui aveva gli arti pesanti. Ammiccò a Columbus. Ma «presto» non significa «subito», pensò.

Quando girò di nuovo la testa verso Kringle, vide che mentre la sua attenzione era altrove erano accadute molte cose. Kringle prendeva i minuscoli cubetti di formaggio e li gettava via dal pollice con il medio. Non badava molto a quel che faceva… Giocherellava oziosamente con il cibo, in una bella mattina, perfettamente a suo agio, e fantasticava. Ma tutti quei cubetti di formaggio li lanciava ad Ahmuls. Rimbalzavano sul petto e sulle cosce del mostro, rimbalzavano senza far rumore e cadevano sull’erba, dove le api li prelevavano e senza dubbio li trasformavano immediatamente in nutrimento per le piante. Jackson deviò lo sguardo da Kringle ad Ahmuls, con aria interrogativa. Bevve un altro sorso di vino. E adesso, come diavolo andrà a finire?, si chiese.

Poco a poco, Ahmuls se ne accorse. «Ehi… ehi, tu!».

Lentamente, Kringle alzò il viso e spalancò gli occhi: adesso si poteva dire che guardasse Ahmuls. «Parli con me?».

«Sei tu che lo fai?».

«Prego? Forse, se parlassi più lentamente…».

«Vuole che tu la smetta», disse Jackson.

«Davvero?», disse Kringle, girando la testa. «Ahmuls! C’è qualcosa che ti dà fastidio?».

«Sì. Piantala».

Kringle alzò le mani vuote. «Ho smesso. Qual è il tuo problema?».

«Non tirarmi addosso quella merda!».

Kringle inarcò le sopracciglia. Prese un altro cubetto di formaggio e, tenendolo con eleganza tra le dita, lo mordicchiò. «Come mi hai chiamato?».

Jackson si sporse verso Kringle, sogghignando un po’. «Senti, non voglio immischiarmene, ma lui sarebbe capace di farti in mille pezzi e di lanciarli in aria prima che i tuoi piedi smettessero di muoversi».

«Davvero?». Gli occhi di Kringle si volsero di nuovo, per un attimo, verso Jackson.

Una delle minuscole api argentee si staccò dallo sciame che attorniava Ahmuls, saettò vicino a Jackson e disse: «Qui è Comp. Perdona se io mi immischio, ma credo che tu stia dimenticando ciò che hai imparato. Costoro ne sono partecipi, e ne sanno anche di più. Inoltre, sanno tutto ciò che è accaduto a bordo di quel veicolo antiquato. Tutte le informazioni dell’archivio di Susiem, naturalmente, sono state trasferite a me. Quindi erano integralmente accessibili a tutti, e Kringle è tra coloro che le hanno assorbite».

«Puoi sempre chiedere a Comp qualunque cosa», mormorò Durstine all’orecchio di Jackson. «E lui te lo dirà. Se vuoi sapere molte cose, allora uno dei suoi extero…».

«Exteroaffettori», disse Comp.

«È esatto, uno dei suoi exteroaffettori te le comunicherà per assorbimento».

Kringle lanciò un altro pezzetto di formaggio ad Ahmuls. Lo colpì alla punta del naso. Ahmuls si alzò.

Kringle si alzò. «C’è qualcosa che posso fare per te, bestia?», disse senza cambiare tono di voce. Jackson vide le dita di Kringle assumere la posizione esatta.

Anche Jackson si alzò. «Calma, tutti quanti», disse.

«Ma questo sarebbe contrario alla natura della bestia», disse Kringle. Si stava leccando la punta delle dita. La sua bocca era più in alto della testa di Ahmuls. E si poteva far collassare una spina dorsale, con una pressione sulla testa.

III

«Ascolta, Ahmuls, lui può ammazzarti», disse Jackson. «Guarda come tiene le mani. Ricordi cosa succede?».

Ahmuls scrutò, attento. «Siete tutti così furbi?».

Kringle gettò a Jackson un’occhiata languida. «Non sono sicuro che sia molto cortese, intromettersi nella conversazione degli altri».

«Bene, neppure io ne sono sicuro. Ma non credo che sia cortese tirare veleno addosso a qualcuno fino a quando non si arrabbia abbastanza perché tu possa ucciderlo».

«O questo non è veleno, o lui non è un umano», mormorò Durstine.

«Ottimamente formulato, mia cara. Continua a pensare con la stessa chiarezza», disse Kringle.

Ahmuls li stava scrutando uno dopo l’altro, mentre Durstine voltava sdegnosamente le spalle a Kringle, scostandosi i capelli dal collo e toccando deliberatamente il polpaccio di Jackson, in piedi accanto a lei. Kringle guardava Durstine, e Pall guardava un po’ Durstine e un po’ Jackson. Solo le api guardavano dove stavano andando; ma. quando una di esse cercò di gettare un altro pezzetto di lichene in bocca ad Ahmuls, questi grugnì, e mosse fulmineamente la mano, afferrò l’argentea pepita ronzante. Durstine soffocò un grido: «Com’è svelto!». Ahmuls lanciò l’ape verso Kringle. L’ape lo colpì con forza alla spalla, e Kringle si portò la mano sulla chiazza rossa che gli fioriva sulla pelle.

«Ai!», disse Durstine.

Vi fu un fruscio sull’erba, dietro Jackson; girò la testa per guardare. S’erano puntellati sui gomiti o sulle ginocchia o s’erano alzati in piedi; avevano smesso di starsene sdraiati e di parlare. Tenevano le teste alte, e i loro occhi brillavano, e le bocche socchiuse erano un po’ incurvate agli angoli.

Kringle era teso: vi fu solo una lievissima increspatura serpentina dei muscoli, su un polpaccio e sulla coscia, quando spostò il proprio peso, e un guizzo regolare cominciò sotto la pelle, appena sopra il gomito sinistro. Scostò la mano dall’ematoma causato dall’ape e si guardò le dita: ma non c’era niente, e l’ape, naturalmente, era volata via.

«Attaccami. Attaccami, animale!», mormorò Kringle. Teneva pronte le braccia e le gambe: le dita erano rigide e immobili, e la saliva luccicava sui denti inferiori.

«Ehi, ti dò fastidio, vero?», gli disse Ahmuls. «Come attorno alla Spina. Erano sempre quelli piccoli e malconci quelli che mi prendevano in giro. Il solo che non lo faceva era il capo di tutto quanto. Perché non mi lasci in pace? Forse diventerai un capo anche tu».

«Prova a toccarmi», implorò Kringle in un sussurro. «Prova solo a mettermi una mano addosso… per favore».

Oh, mio Dio, mio Dio, pensò Jackson, visualizzando quel che sarebbe accaduto nell’istante in cui Kringle avesse avuto un pretesto per scattare. Ahmuls, povero, stupido figlio di puttana… lo sapevo che qui non avresti potuto farcela. Perché non mi hai ascoltato? Perché non hai voluto imparare ?

«No che non ti tocco», disse Ahmuls. «Credi che sono matto? Lasciami in pace, e io non ti toccherò».

«Lasciarti in pace? Sei tu che non lasci in pace me!», gemette Kringle.

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