«Cosa?».
«Posso organizzare tutto. Posso farti un amsir… Scusami: un amsir e un bastone da lancio e un paio di dardi. Ho parecchie ottime riprese del territorio marziano, girate dai miei satelliti orbitali».
«Satelliti orbitali? Vuoi dire che hai occhi su Marte?».
«Certamente. Adesso non parliamo di accelerare qualcosa che l’uomo sta realizzando lassù. La nostra esplorazione spaziale è molto sofisticata di questi tempi, in confronto a quel che era quando la componente primaria del sistema era umanoide. Ma voglio dire che ho materiale base in abbondanza. Tu vai pure a caccia del tuo amsir. Ci saranno sfondi e illuminazione adeguati. E una perfetta riproduzione del terreno. Sono sicuro che potremo procurarti un grosso pubblico. Aspetta un momento che domando».
«Un gradimento altissimo», gli disse Comp, dopo un momento. «Hai più di quattrocentomila spettatori, il trentotto per cento del pubblico potenziale».
«Credo di non capire. Il trentotto per cento del pubblico per che cosa?».
«Il pubblico della tua attualità, amico. Senti, il numero degli spettatori e il numero degli abitanti del mondo sono teoricamente identici, giusto? In pratica, ci sono sempre alcuni individui che dormono e altri occupati in altro modo. Quindi non c’è mai stato un pubblico del cento per cento per un’attualità… Nella versione in diretta, almeno. Il primato è ottantatrè per cento o giù di lì, ma si trattava della competizione fra Melanie Altershot e Charles Dawn, molto, molto tempo fa. Bene, ho interpellato la popolazione per sapere se era interessata a una caccia all’amsir, e adesso stanno tutti aspettando… il trentotto per cento sta aspettando, e molti altri hanno detto che sono interessati a vederla in differita. Tutto sta a vedere se tu sei disposto. Ma ritengo doveroso informarti che non c’è stato un pubblico del trentotto per cento da moltissimo tempo».
«Capisci, non abbiamo a disposizione tutto il giorno», disse Donder.
«Bene, mi piacerebbe», disse Jackson. «Proprio qui, eh?». Oltre all’impazienza di Donder, aveva notato anche Vixen e Batten. Quei due, adesso, avevano una specie di gingillo volante.
Era di un color lavanda chiaro e traslucido. Caracollava avanti e indietro fra i due, che stavano a una certa distanza l’uno dall’altra, e se lo lanciavano. L’oggetto pareva tracciare motivi nell’aria, perché si lasciava dietro una lieve scia color lavanda che aleggiava nell’aria per un momento e poi si disintegrava in filamenti polverosi.
Avevano cominciato il gioco mentre Comp spiegava a Jackson cos’era un’attualità, e Jackson era impegnato ad ascoltare. Uno o due, nel gruppo, avevano smesso di guardare Jackson per seguire il volo. Avevano incominciato a disperdersi e ad avviarsi verso Batten e Vixen. «Sicuro», ripeté Jackson. «Procurami l’attrezzatura e un amsir, e ci sto».
«Bene!», dissero simultaneamente Durstine e Comp. Pall sorrise. Jackson ricambiò il sorriso. «So cos’è», disse lei. «Non avevi immaginato che qui avresti avuto la possibilità di fare qualcosa che doveva piacerti moltissimo».
«Pall, tesoro», disse Old, «una delle ragioni per cui voglio vederlo è che lo fanno in un posto dove la gente fa cose che non le piacciono».
Pall si coprì la bocca con le dita. «Oh, Jackson, scusami», disse.
In quel mondo, le ossa degli amsir erano fatte dagli insetti. Arrivarono sfrecciando sopra gli steli d’erba frusciante, in uno sciame assai più piccolo di quello che aveva smantellato Susiem: e ognuno portava una particella bianca. Ronzarono, si raggrupparono in una formazione efficiente, e in un attimo apparve il bastone da lancio. Quella che doveva essere l’impugnatura era debitamente modellata, come se fosse stata pazientemente raschiata con la sabbia; il cardine era ben sistemato, l’intaccatura per il dardo era debitamente incisa. Jackson lo prese e l’ammirò.
«Somiglia moltissimo al mio, Comp. Disponi di ottimi visori».
«E i dardi?».
Le aste corte, grossolanamente affusolate, erano state prodotte nello stesso modo del bastone da lancio. La punta venne formata dagli exterocettori da scavo che uscirono zampillando dal suolo e si raccolsero su ognuno dei dardi sostenuti dalle api, e si ritrassero lasciando punte di silicato fuse nelle coppe pronte a riceverle… e ognuna, sembrava a Jackson, era già appesantita dalla sua goccia sintetica di colla di amsir. Prese i dardi e li fece saltellare nel cavo della mano. Li rotolò tra le dita. «Ottimi», disse. «Ottimi, splendidi».
Salì il pendio della depressione e si guardò intorno. Il paesaggio davanti a lui era ondulato, deserto, non c’era traccia di Ahmuls o di altri. Ma c’erano molte api raccolte nell’aria, lassù.
«Guarda alla tua sinistra», disse Comp. «Sto cominciando a costruire il tuo amsir».
A circa settantacinque metri di distanza, gli exteroaffettori attaccarono l’erba. Scendevano sfrecciando per afferrare gli steli lanciati dai tagliatori al suolo. Li afferravano e li mettevano in posizione. Si muovevano con estrema rapidità, destrezza ed economia. Sembrava che l’erba si fosse liberata della sua docilità alla brezza e avesse deciso di piegarsi a modo suo. Si piegava in tutte le direzioni verso un centro comune, mentre gli exteroaffettori la prendevano: ma piegandosi si precipitava avanti, sradicata, e quando arrivava al centro, saliva zampillando, sospinta da sprazzi di argento ronzante, e davanti agli occhi di Jackson le api intessevano le ossa di un amsir.
Dita e tarso, gamba e rotula, femore e anca, lo intessevano dall’interno all’esterno. Spina dorsale, clavicola, giunture delle spalle, braccia, gomiti, avambracci, mani… Jackson vide il mignolo estendersi come il germoglio di un arbusto magico. Collo e cranio si intrecciarono in una compattezza strutturale. Poi la carne: ciuffi fibrosi lottavano assestandosi sulle ossa verdi. Dopo un momento, tutto fu completamente collegato. Poi le api lo vestirono: fu adattata la pelle, e le bolle si gonfiarono. Becco e artigli, cresta e ali; le trine svolazzanti… pallide; e mentre si muoveva appena, fremendo, gli exteroaffettori si insinuarono agilmente tra le fibre per dargli vita, schiarendolo.
Un esercito di scavatori si precipitò di corsa, e fuse i frammenti scintillanti del giavellotto. Lo gettarono in alto: un lancio basso, ma l’ala ondeggiò, mentre la mano destra s’abbassava di scatto per afferrarlo: con gli occhi scavati, si raddrizzò per girare la testa e guardare Jackson.
«Comp, il tuo nome è miracolo», disse Jackson.
«Il mio nome è Comp».
Jackson aprì il Velcro della tuta e se la sfilò. Immediatamente gli exteroaffettori si affollarono attorno a lui. Rabbrividì, quando gli si posarono su tutto il corpo. Ma era un tocco delicato: e sparirono di nuovo in un batter d’occhio. «Lozione solare», spiegò Comp.
«Oh. Già, è logico».
Si guardò intorno per vedere come la prendevano gli altri. Ma non ce n’era nessuno, vicino a lui. Erano tutti giù, nella depressione, seduti o sdraiati graziosamente, ognuno con un exteroaffettore su ciascun occhio, su ogni orecchio, su ogni mano. Una piccola fila, come una cintura di minuscole gemme, era posata su ogni stomaco, appena al di sotto dell’ombelico. Jackson guardò l’amsir d’erba ritto e vigile al centro delle stoppie. Jackson raccattò il bastone da lancio e i due dardi. La tuta era disintegrata.
«Sono pronto, quando vuoi, amico», gridò all’amsir.
«Pronto», gli disse Comp all’orecchio, e si ritirò.
L’amsir agitò la mano, brandendo il giavellotto verso di lui. Jackson mosse qualche passo, rapidamente: correre sull’erba era diverso, ma ricordava. Il ricordo gli diede i piedi dell’Ohio anziché i piedi della Spina: ma almeno glieli diede. Provò qualche lancio a vuoto con il bastone, si piazzò il dardo di riserva sotto l’ascella, e scattò.
Читать дальше