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Algis Budrys: Morte dell'utopia

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Algis Budrys Morte dell'utopia

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Il pavimento del mondo è increspato come il fondale di un oceano. Il sole al tramonto inchiostra d’ombra violetta ogni increspatura. Le dune riempiono il mondo fino agli orli. E su questo pianeta che non è la Terra, un uomo insegue l’amsir, la grande bestia alata, per ucciderla. Perché gli uomini hanno sempre fatto cosi, da che il tempo è iniziato all’ombra della Spina. Ma per Honor White Jackson qualcosa cambia all’improvviso: l’amsir parla, e scaglia dardi. Forse, allora, la realtà non è soltanto quella di cui ha sempre parlato l’Anziano... Cosi inizia Morte dell’utopia, uno dei romanzi più originali, magici e inquietanti della fantascienza moderna, scritto da un maestro del genere, Algis Budrys.

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E intanto Comp creava una Spina per la festa.

La sfera andava languidamente alla deriva su torrenti chiassosi di exteroaffettori. Turbinavano nell’aria, si precipitavano da tutte le direzioni, convergendo. Quando s’incontravano, alcuni volteggiavano formando chiazze secondarie, altri salivano ruggendo in marosi lampeggianti, e minuscoli sprazzi che sembravano di spuma partivano dalla sommità, quando consegnavano il loro carico e riprendevano il volo per andare a prendere qualcosa d’altro. La struttura della sfera vibrava a quel rombo di cascata: e innumerevoli parti, foglie e fiori, cominciarono a tintinnare in contrappunto alla musica delle fontane.

«Guarda! Guarda!», mormorò Durstine, passandogli il braccio sulle spalle, e ripiegando l’avambraccio sul bicipite di lui. La voce gli alitava nell’orecchio.

IV

Gli exteroaffettori si ritirarono dalla pianura sottostante. Soltanto un fitto ammasso conico, del diametro di trenta metri, aleggiava nell’aria sopra la piana: e poi anch’esso si svolse a spirale dal basso. Via via che gli exteroaffettori si scostavano, Jackson vide che stavano ultimando la parte superiore della Spina. Già, a terra, in un gaio, svolazzante cerchio, i padiglioni a strisce, tutti decorati, cingevano la Spina, tra una pista erbosa e campi bellissimi delimitati da verdi siepi tagliate geometricamente. Jackson guardò di nuovo, e vide che la Spina era completa: alta, diritta, scintillante, con le bandiere sulle antenne.

«È magnifica», disse Jackson.

La nube scese sull’erba fra la Spina e i padiglioni, e tutti corsero via, a bere alle fontane. Le fontane erano disposte tutto intorno alla base della Spina, dove Jackson ricordava i rubinetti. Pall stava china, con i capelli che le ricadevano a incorniciarle le guance in due brevi bande scolpite, e beveva l’acqua nelle mani giunte, là dove Jackson ricordava Petra Jovans.

CAPITOLO 17

I

La Spina era calda e dolcemente elastica, quando la toccò. Non riusciva a capire di che colore fosse. In certi punti era di un nero fondo con riflessi scuri come il vino. Quando spostò lo sguardo, vide che in altri era verde come una mosca. Indietreggiò, a bocca aperta come un turista, girando la testa di qua e di là, ammirando le antenne imbandierate che graffiavano il puro cielo azzurro, affascinato dal potere di cui disponeva quella gente, stordito da quella munificenza. E pensò: «È stato per questo, Red, per fare un modello come questo, che hai lottato, faticato, amato… per questo sei morto?».

«Oh, sarà bellissimo!», esclamò Pall, accorrendo con le labbra umide. «Tutti vorranno vedere la ripresa diretta!».

Jackson annuì. «Lo credo», disse con aria grave. Poi sorrise guardandola. Cosa diavolo… Voglio dire, pensò, se lei sembrasse una bambina, staresti attento a quel che le diresti, no? Sentì un tocco sul braccio. Ma quella Durstine, adesso…

«Ti piacerebbe vedere l’interno?», stava dicendo lei. «Non ti piacerebbe dare un’occhiata?». E gli appoggiò la coscia contro il fianco.

«Scusaci, Pall», disse Jackson.

«Oh, non importa», pigolò Pall. «Devo cambiarmi, tanto, e voglio che sia una sorpresa!». Si avviò verso uno dei padiglioni.

Durstine ridacchiò. «Mi cambierò anch’io. Ma qualche minuto l’abbiamo».

Jackson la seguì all’interno della Spina, passando da un’ampia porta tutta ornata. Fu come scivolare in un mare di gemme.

All’interno la Spina era cava, su su fino alla cima, ma era intessuta d’un intrico di filamenti cristallini che salivano, scintillando in tendaggi ondeggianti e in cerchio, fino a sparire lassù, nelle ombre tenere. La luce filtrava dalle pareti traslucide della Spina: e da lì esplodevano di tutti i colori… verde e oro, rosso e viola, azzurro e ruggine. I colori vorticavano e fluivano uno intorno all’altro, in modo diverso dai turbinii non del tutto casuali della ragnatela interna, che a sua volta assorbiva i bagliori e li gettava verso Jackson e Durstine in una pioggia mutevole. Jackson la guardò, ed era screziata di fulgore.

Durstine rise e scrollò la testa, poi rimase immobile, guardandolo tra le ciglia, con la coda di un occhio. «Benvenuto sulla Terra», gli disse. «Volevo che vedessi questo». Girò graziosamente su se stessa, in punta di piedi, alzando un braccio in un gesto che indicò tutto l’interno della Spina. Era difficile capire se alludeva alla Spina, a se stessa o a tutte e due.

«Volevo che vedessi quel che possiamo fare. Voglio che tu sappia ciò che è tuo, in modo che possa usarlo, e abituarti, e rivendicare la tua eredità».

«Solo la mia eredità o anche altre cose? Potrei prendere qualcosa che apparteneva a Kringle, per esempio?».

Lei rise. «Alcuni uomini hanno diritto a tutto ciò su cui riescono a mettere le mani».

«Allora non resterei così vicino, se fossi in te».

«Ma io sono io. E so sempre, esattamente, quello che faccio». Lei rise ancora, gaiamente, con fare d’intesa. Mosse la mano di scatto. Le unghie corsero leggere sul braccio di Jackson, ma quando arrivarono al gomito lasciarono un segno, e l’unghia del medio, girando, fece uscire una goccia di sangue. Durstine se la portò alle labbra, e lo baciò frettolosamente sulla bocca. «Ti rivedrò qui, fra poco. Devo cambiarmi… Normalmente, potresti non riconoscermi, vestita. Ma questa volta ci riuscirai. Te lo prometto. Perché, vedi, tra tutta la gente del mondo, io sono quella che ti capisce meglio. Ricordalo, quando altre ti tenteranno». Si allontanò di qualche passo e girò la testa per un attimo. «Ricorda. Quando le altre ti ronzeranno intorno e la piccola Pall ti guarderà sgranando gli occhi. Ricorda che io sono l’unica». E se ne andò, con movimenti precisi, intensi.

Jackson la seguì con lo sguardo, pensando.

II

La gente cominciava ad affluire nella Spina; le api ascoltavano, e gli exteroflettori sfrecciavano di qua e di là, creando o portando tutto ciò che la gente chiedeva. Incominciò la musica. Kringle entrò, andò dall’altra parte della tenda e sedette, solo, sul pavimento.

Jackson notò che i presenti non erano molto vestiti. Oh, Elyria portava cerchi di sottilissimo filo metallico intorno al collo, in una cascata d’oro, e Donder aveva un paio di occhiali neri dalla montatura di corno, e lenti piatte. Lois s’era coperta un braccio di una maglia d’argento fino alla spalla. E così via. Ma era la luce che li decorava. Mentre si muovevano avanti e indietro, parlando, gesticolando, incominciando a riscaldarsi, acquisivano e smarrivano motivi ornamentali che scorrevano sulla loro pelle.

Non mangiavano e non bevevano molto. Parlavano, soprattutto. Alcuni erano seduti immobili, con gli occhi semichiusi, la testa china, quasi fossero completamente perduti nei loro mondi personali. Spesso qualcuno gli sorrideva, alzava una mano, o sembrava compiaciuto di vederlo lì. Ma nessuno veniva a conversare. Erano molto più interessati a ciò che passava per le loro menti, e intanto attendevano che la festa si animasse davvero.

Fu Vixen a dare l’avvio. Se ne stava un po’ in disparte, aggrottando la fronte e dondolandosi leggermente. Jackson l’aveva guardata, incuriosito, mentre attendeva di vedere cosa sarebbe accaduto quando fosse entrata Durstine… e anche Pall. La stava guardando quando all’improvviso lei schioccò le dita e disse, felice: «Ci sono!».

«Cosa? Che cosa?», chiese Ginger; e quando Vixen sorrise, le teste cominciarono a girarsi verso di lei.

Vixen avanzò di due o tre passi, camminando in modo strano. Sembrava acquisire sicurezza; i suoi movimenti diventavano più pronunciati e regolari, e un sorrisetto le aleggiava agli angoli della bocca. Andò al centro del cerchio formato dal pavimento della Spina. Aveva attratto l’attenzione di tutti: e la luce cominciò a cambiare. Dai drappeggi cristallini cominciò a irradiarsi una fosforescenza, e un dolce chiarore dorato formò una cupola, partendo dal pavimento e salendo lungo le pareti interne, fino a circondarli tutti di un liquido splendore trasparente.

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