Algis Budrys - Morte dell'utopia

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Morte dell'utopia: краткое содержание, описание и аннотация

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Il pavimento del mondo è increspato come il fondale di un oceano. Il sole al tramonto inchiostra d’ombra violetta ogni increspatura. Le dune riempiono il mondo fino agli orli. E su questo pianeta che non è la Terra, un uomo insegue l’amsir, la grande bestia alata, per ucciderla. Perché gli uomini hanno sempre fatto cosi, da che il tempo è iniziato all’ombra della Spina. Ma per Honor White Jackson qualcosa cambia all’improvviso: l’amsir parla, e scaglia dardi. Forse, allora, la realtà non è soltanto quella di cui ha sempre parlato l’Anziano... Cosi inizia Morte dell’utopia, uno dei romanzi più originali, magici e inquietanti della fantascienza moderna, scritto da un maestro del genere, Algis Budrys.

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«Jackson! Jackson… Guarda!».

Vixen venne verso di lui, con una mano sul fianco, l’altra protesa in un arco aggraziato sopra la testa, con il palmo piatto e le dita alzate. Gli sorrise e poi alzò l’altra mano, sollevò qualcosa d’immaginario dalla sommità della testa. Si piegò leggermente, tendendo le mani. «Acqua, Honor?».

Tutti scoppiarono in applausi. Vixen sorrise modestamente, rise un poco e si ritirò. Evidentemente, era stata una specie di pantomima. Ma non era così che si portava l’acqua: l’acqua si reggeva tra le braccia.

«Bene! È stato un buon inizio, non ti sembra?», chiese Kringle, battendogli la mano sul dorso. «Direi che ha espresso veramente l’idea, no?». Scrutò un poco più attentamente il volto di Jackson. «No? Be’, forse c’era qualche piccola imperfezione». Un gruppetto di amici s’era raccolto intorno a Vixen per congratularsi con lei. «Ma, certamente, come inizio non era male», disse Kringle.

Si fece avanti Donder. Si fermò al centro del cerchio e alzò la mano con fare negligente. La folla tacque. Donder trasse un profondo respiro e cominciò a parlare.

« Muori.

Nasci, fai chiasso, sii libero, ma

muori. Coloro di noi che nascono

figli della Spina lo succhiano con il latte.

Noi ti odiamo, Spina.

Ruttiamo contro di te la tua parola » .

S’inchinò a Jackson, con il volto accaldato e un velo di sudore sulla fronte.

Gli altri cominciarono ad applaudire. Poi uno ricordò qualcosa e prese a schioccare le dita. L’interno della Spina crepitò di quel suono.

«E questo, Jackson?», gli gridò Donder. «Sintetizza tutto, no?».

Jackson chiese a Kringle: «Intende ciò che proviamo per la Spina? Voglio dire, pensa che si dovrebbe provare questo, per ciò che ti tiene in vita?».

Un lievissimo cipiglio si incise di nuovo tra le sopracciglia di Kringle. «Credo che se esaminassi i tuoi processi interni, scopriresti che ci è andato molto più vicino di quanto tu sia disposto ad ammettere». Alzò la voce e gridò a Donder: «Bellissimo, figliolo! E adesso, gente», disse a tutti gli altri, «dobbiamo ricordare che il nostro ospite non conosce alla perfezione le nostre consuetudini. Ma sappiamo che imparerà in gran fretta».

Comp disse all’orecchio di Jackson: «Ascolta, hanno bisogno del feedback della tua approvazione, o la festa perderà ogni sapore».

«Oh», disse Jackson.

«Guardate! Ecco Pall!». Clark indicò l’entrata.

Lei entrò timidamente, tenendo le mani incrociate davanti a sé. Dalla vita le pendeva un drappo lacero, bianco… un bianco puro, incontaminato, alto su un fianco e abbassato sull’altro, con i fili strappati che le arrivavano a metà coscia. Si avviò verso Jackson, guardando a terra. Quando gli fu vicina, Jackson vide che aveva granelli di sabbia tra i capelli, e sparsi qua e là sul corpo, a chiazze. Avevano contorni definiti, e non erano più scure, sulle ginocchia; non c’erano minuscoli anelli di sabbia intorno ai polsi, e non c’era una chiazza più profonda alla base del collo, nell’incavo dove il sudore avrebbe fatto scorrere la sabbia durante la giornata.

Ma Jackson aveva compreso.

«Bentornato a casa, Honor», disse Pall in tono sottomesso, e la Spina si riempì dell’approvazione del gruppo: un grande rombo composto di applausi e di grida d’ammirazione.

«Grandioso!», disse Kringle.

«Guardala, Jackson!», soggiunse, abbassando la voce. «Mia cara, è stata davvero un’idea tua? È meraviglioso. Meraviglioso. Jackson, lo vedi, no? Ha fatto di se stessa un’opera d’arte. È doppiamente eccitante. La nostra piccola Pall…».

Pall arrossì. «Grazie, Kringle». Non sapeva dove mettere le mani. Probabilmente era la prima volta in vita sua che riceveva un complimento per la sua creatività. «Per la precisione», disse, «vedi, sono molto ingenua… oh, Kringle ti dirà che non è vero, per educazione… E così alla fine mi sono detta: “Bene, se devi essere ingenua, e non puoi rimediare, tanto vale che ne ricavi qualcosa di costruttivo, no? Perché non…”. E così l’ho fatto! Ecco tutto. L’ho fatto, ed è tutto. Mi sono detta: Devi prendere quel che c’è e servirtene!».

«Mi pare che il risultato sia ottimo», disse Jackson. «Credo che questo tocco sottile, l’idea di presentarti non soltanto come un’opera d’arte, ma come un’opera d’arte dal significato duplice, sia un esempio della vitalità insita nella reazione naturale». Le sorrise e le toccò leggermente una spalla. Nella Spina proruppe un nuovo applauso. «Naturalmente, è la solita base concreta dell’implicazione sottile ma primaria a perfezionare il tutto», disse, guardando sinceramente quegli occhi che brillavano di soddisfazione. All’improvviso, quegli occhi traboccarono, e due lacrime perfette scorsero giù per le guance.

«Grazie», mormorò lei, così sommessamente che il recettore audio più vicino doveva affrettarsi a sfrecciare avanti, librandosi come un colibrì davanti alle sue labbra.

III

Pall circolava tra la gente, ricevendo i rallegramenti di tutti, non soltanto dei suoi amici. Camminava come una debuttante.

Jackson restò lì, a massaggiarsi il gomito sinistro.

Perry aveva lavorato su qualcosa, dietro un gruppo d’altre persone. «Ehi, guardate cos’ha fatto Perry!», cominciarono a esclamare, affollandosi, mentre altri si accalcavano a sbirciare sopra le loro spalle.

«Fermi, adesso! Tutti avranno la possibilità di vederlo!», borbottò Perry, con burbera bonarietà.

Gli exteroaffettori lo portarono al centro del cerchio, e lo posarono su tre esili, eleganti gambe metalliche. Dall’alto, una corda di luce si accese tra i drappi di cristallo e si concentrò sul quadro.

«Jackson! Vieni qui, Jackson!». Perry lo chiamò a cenni. «Questo lo dedico a te».

Oh, Gesù! Ma Jackson si mosse, con gambe che sembravano districarsi dalla colla, e andò a guardare.

Era stato dipinto a pennellate ampie, talvolta apparentemente laboriose, talvolta apparentemente agili. Era pieno di tutti i colori sbagliati. Mostrava la Spina di Jackson, in distanza, con il Sole pallido più indietro. Alla base della Spina erano allineati blocchi squadrati: si capiva che erano case perché qua e là c’era la luce in una finestra. In primo piano, in silhouette, con pochi dettagli che spiccavano per i riflessi di luce, c’era un amsir, steso sul pendio cieco di una duna, la testa alzata appena per spiare la Spina e le case. E a lato, intento a spiare l’amsir, c’era un Honor, anch’esso sbozzato rozzamente. Si capiva che era un Honor perché portava sulla testa qualcosa che ricordava gli elmetti tedeschi della seconda guerra mondiale e della guerra franco-prussiana. Doveva essere una calotta, pensò Jackson.

L’abilità non mancava, in quel dipinto. Evidentemente Perry aveva già eseguito opere del genere. Forse si poteva criticare la composizione, ma bisognava farlo sul piano professionale. Questo era doveroso riconoscerlo. Ma, Gesù Cristo, Comp aveva i dati esatti, nei suoi archivi; erano là a disposizione. Era sufficiente cercarli.

«Cosa te ne pare?», chiese Perry, nello scrosciare degli applausi, mentre altra gente si affollava intorno. Poi disse: «Certo, vorrai essere libero di usare i termini che preferisci… non sei tenuto ad adeguarti a quelli tecnici dell’arte grafica». C’era un sorrisetto di comprensione, agli angoli della sua bocca. «Dopotutto, molti altri miei amici dovrebbero usare anche loro il linguaggio dei profani».

Jackson aprì la bocca, poi la richiuse. Sentì la punta della lingua strofinare contro le facce interne dei denti, lateralmente.

«Di’ pure», invitò Perry.

«Comp», disse Jackson, «ho bisogno di un cavalletto, un sostegno, un foglio di carta da disegno e qualche carboncino. Subito».

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