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Algis Budrys: Morte dell'utopia

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Algis Budrys Morte dell'utopia

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Il pavimento del mondo è increspato come il fondale di un oceano. Il sole al tramonto inchiostra d’ombra violetta ogni increspatura. Le dune riempiono il mondo fino agli orli. E su questo pianeta che non è la Terra, un uomo insegue l’amsir, la grande bestia alata, per ucciderla. Perché gli uomini hanno sempre fatto cosi, da che il tempo è iniziato all’ombra della Spina. Ma per Honor White Jackson qualcosa cambia all’improvviso: l’amsir parla, e scaglia dardi. Forse, allora, la realtà non è soltanto quella di cui ha sempre parlato l’Anziano... Cosi inizia Morte dell’utopia, uno dei romanzi più originali, magici e inquietanti della fantascienza moderna, scritto da un maestro del genere, Algis Budrys.

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Si comportava nell’unico modo possibile: come se lui e l’amsir avessero aggirato una duna nello stesso momento e si fossero visti da lontano. Corse via, diagonalmente, giù per il pendio, accelerando, pronto a buttarsi e a rotolare giù se l’uccellaccio avesse lanciato il giavellotto.

L’amsir si stava voltando. Mille o diecimila exteroaffettori spostarono il suo peso, gli alzarono le braccia, gli inarcarono i fianchi, alzarono la gamba. Si inclinò in avanti, piantò la gamba, alzò l’altra, e prese a correre come il vento, con le trine che svolazzavano, le ali spiegate. Corse attraverso il pendio, diagonalmente, allontanandosi da lui, tagliandogli la strada, mettendolo in una posizione in cui avrebbe dovuto lanciare nella direzione opposta a quella in cui stava correndo.

Merda!, pensò Jackson. Avevo dimenticato quanto sono furbi. Girò la testa per guardare indietro. I grandi occhi scuri e vuoti lo guardavano lungo l’ala. Jackson tese in avanti le gambe e puntò i piedi. Stava per arrestarsi slittando. L’amsir sogghignò, spiegò le ali e restò sospeso, immobile nell’aria, con le gambe staccate dal suolo. Piegò le ginocchia; un’ala si abbassò, l’altra si alzò. Si posò, girò su se stesso come su un perno, con gli artigli affondati nell’erba ruvida, il giavellotto brandito. Le gambe cominciarono un movimento a forbice. Venne avanti correndo come uno struzzo, diretto verso Jackson, divorando la distanza, sicuro di poter schivare ogni colpo.

Per acquistare lo slancio necessario per centrarlo con un dardo, Jackson avrebbe dovuto corrergli incontro, adesso. Se fosse corso a lato, l’amsir avrebbe potuto prenderlo perfettamente di mira. E lui, al massimo, avrebbe potuto tentare un colpo obliquo. Se fosse fuggito via, l’amsir l’avrebbe rincorso e abbattuto.

Oh, cribbio, pensò Jackson. E va bene, proviamo questo. Avanzò di tre passi, caricando il bastone, e al quarto passo lanciò.

Gesù, il tiro non aveva forza. Era abbastanza diritto, ma non aveva carica: era come tirare direttamente verso l’alto. Oppure con un braccio malato.

Sono fatto di pappa, in questo posto!, pensò. Il dardo poteva raggiungere l’amsir, ma quello sarebbe stato stupido se si fosse preso il disturbo di cambiare passo per schivarlo. Il dardo non gli avrebbe trapassato la pelle: sarebbe rimasto impigliato nelle trine. E anche se gli si fosse piantato nella carne, non avrebbe avuto la forza necessaria per bloccarlo.

Il dardo raggiunse l’amsir, che barcollò goffamente per evitarlo. Ma aveva sbagliato i calcoli. Gli corse incontro. Il dardo lo colpì al petto, in basso a sinistra, e parve penetrare, assurdamente. Penetrò fino all’estremità, con un suono di fibre sconvolte. L’amsir perse l’equilibrio. Allargò le ali per riprenderlo e lasciò cadere il giavellotto.

«Il dardo! Lanciagli l’altro dardo!», disse Comp all’orecchio di Jackson.

«Giusto». L’amsir era completamente proteso, e non aveva trazione. Jackson lanciò il secondo dardo, e questa volta aveva ormai abbastanza pratica per dargli un vero slancio. Lo sentì su e giù per il braccio, attraverso la schiena, fino alla pianta del piede, come una corda d’elettricità. Scagliò quel dardo più forte di quanto avesse mai fatto in vita sua, e in compenso gli strappò metà delle sensazioni che avrebbe dovuto provare. Ma colpì l’amsir d’erba: il dardo si piantò sotto la clavicola, a destra, e uscì dalla parte opposta, proseguì per un paio di metri, scese, rimbalzò a terra lasciandosi dietro una scia d’erba strappata. Il braccio destro dell’amsir si piegò all’indietro, come se i blocchi dei cardini di un aereo non avessero funzionato. Si raggomitolò intorno alla superficie dell’ala sinistra e piombò prono sulla prateria. Si sentì il suono del collo che si spezzava.

«È morto», disse Jackson.

Comp disse: «Ascolta».

Il suono era incomprensibile. Sembrava quello che potresti udire se corressi svelto, trascinando una lancia a punta in giù, sulla sabbia. «Che cosa diavolo è?».

«Sono gli applausi, Jackson. Gli applausi del trentotto per cento della popolazione mondiale… Con il volume dell’audio al minimo, naturalmente».

CAPITOLO 16

I

Jackson si avvicinò all’amsir. Giaceva dov’era caduto, con il primo dardo di Jackson che affiorava appena dal petto. Vi furono un fruscio, un tremito; si accasciò, e i tessuti si separarono. I minuscoli insetti metallici uscirono dalle fibre, e ognuno si portò via un pezzetto d’erba morta. Altri schizzarono su e si unirono ai primi. Le ali dell’amsir scomparvero, il corpo si appiatti. Il cranio si srotolò, e gli exteroaffettori scavanti corsero via con i componenti, in un’orda di paglia e di metallo che conservava ancora grossolanamente i contorni di un amsir, affrettandosi sull’erba per ritornare alle stoppie e rendere gli elementi al terreno. Uno sciame ronzante rosicchiò il giavellotto e i dardi; Jackson gettò nel mezzo il bastone da lancio, e anche quello venne divorato.

Il gruppo arrivò sulla cresta. Avevano tutti i volti accaldati, gli occhi scintillanti. Dancer corse verso Jackson: e subito tutti gli altri l’imitarono. Lo raggiunsero, ridendo, entusiasti. Jackson fissava le stoppie, dove limpide gocciole d’acqua si stavano formando sugli steli recisi.

Kringle passò il braccio intorno alle spalle di Jackson. «Magnifico!», esclamò. «Grandioso!».

«Sei stato formidabile!», ansimò Durstine. «Incredibile!».

Si affollavano intorno a lui, e i loro corpi erano caldi. «Non ti piacerebbe vederlo?», chiese Pall.

«Sì! Dovrebbe proprio vederlo!», riconobbe Jimmy, e tutti gli altri lo ripeterono, sorridendo e ridendo, imponendogli quella specie di festa.

Comp disse: «Ecco…».

Gli exteroaffettori gli si posarono come farfalle sugli occhi e sugli orecchi. Gli sfiorarono le palme delle mani e il ventre.

«Devi semplicemente mettermi in fase con i settori appropriati del tuo sistema nervoso centrale», spiegò Comp. «Rilassati. Molti preferiscono sedere o sdraiarsi, ma non è necessario».

Erano tutti intorno a lui. A Jackson non era mai accaduta una cosa simile; tutti irradiavano almeno novantotto virgola sei gradi Fahrenheit. A quella temperatura creavano ogni sorta di gamma d’evaporazione sulle superfici dei loro corpi, e nessuno di loro era isolato, e non lo era neppure lui. Ogni sorta di effluvi si volatilizzava, nelle immediate vicinanze dei suoi ricettori olfattivi e delle componenti termoestetiche del suo organismo. Si lasciò cadere sull’erba, abbracciandosi le ginocchia. Gli altri si lasciarono andare insieme a lui, circondandolo, sorridendo incoraggianti, guardandolo. Chiuse gli occhi. «Così va bene», disse Comp. «Ecco, si comincia…».

II

Apparve il deserto, in dissolvenza. Prima vi fu un’inquadratura in campo lungo dei due crateri e delle due Spine, visti dall’alto. L’orlo del pianeta s’incurvava, quasi senza diffusione, contro lo spazio pieno di stelle. Poi la visuale si concentrò sempre di più sul cratere umano, fino a mostrare un campo medio del deserto all’alba, rossopurpureo, tutto dune ondulate e investito dalla luce cruda del mattino. La soggettiva si concentrò ancora di più, fino a mostrare soltanto un campo piatto, indistinto e granulare di colore desertico. Restò così per un attimo; e poi la zampa bianca di un amsir si abbassò fulminea nel mezzo, spinta nella corsa in mezzo ai granuli, li disperse, si rialzò altrettanto fulmineamente e avanzò, uscì di campo e sparì, lasciando sulla sabbia un’orma, con gli orli che cominciarono a sgretolarsi e a fluire. Un granello rifletteva scintillando la luce, e l’attenzione di Jackson lo seguì mentre slittava lungo il fianco dell’impronta. Non aveva ancora toccato il fondo quando, con un thump-thump !, due piedi umani passarono correndo da destra a sinistra, cancellando l’impronta dell’amsir e lasciando le proprie.

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