Solo tre settimane? Perché solo tre settimane? Mentre seguiva MyThara con fare scocciato, Sandy pensò che forse alcuni di loro avrebbero potuto rimanere solo per tre settimane, ma non necessariamente tutti… Magari altri sarebbero rimasti per più tempo…
MyThara lo lasciò nella sezione dormitorio della coorte mentre andava a prendere i suoi abiti terrestri, ma prima di uscire gli ordinò di spogliarsi e di infilare la sua tuta di tutti i giorni nell’armadietto.
Sandy si spogliò, ma mentre lo faceva si ritrovò improvvisamente a tremare.
Il fatto che fosse effettivamente in procinto di lasciare la nave non si era ancora fatto strada fino a quella parte della sua mente che provava il panico, e ora si stava rifacendo per il tempo perduto.
Si guardò attorno, continuando a rabbrividire. Avrebbe lasciato la nave! Una cosa del genere non era mai accaduta prima di allora! Non sapeva di nessuno che avesse effettivamente “lasciato” la nave. Certo, le persone morivano e venivano divorate dai titch’hik, ma per quanto ne sapeva Sandy questo era l’unico modo in cui una persona poteva cessare di esistere all’interno della nave. Al di fuori della nave non vi era altro che lo spazio.
Quando MyThara fece finalmente ritorno, con le tozze braccia che sorreggevano a fatica due cesti pieni di capi di abbigliamento, Sandy si trovava seduto per terra davanti al suo armadietto, con la testa chinata, gli occhi serrati e un’espressione di puro panico dipinta sul volto. — Lifandro! — esclamò seccamente la tutrice. — Che cofa ti è fucceffo? Fei malato?
— Lascerò la nave! — disse Sandy in tono lamentoso.
— Ma certo che la lafcerai. Fei ftato addeftrato a quefto fcopo per tutta la tua vita.
— Ma io ho paura, MyThara. Io non voglio lasciarti. La tutrice ebbe un attimo di esitazione, poi avvolse dolcemente una mano dura e ruvida attorno al braccio di Sandy. Sandy sentì il dito “tutore” che gli penetrava nella pelle, ma era una sensazione più rassicurante che sgradevole. — Avrai una vita del tutto nuova — lo rassicurò. — E ora, per favore, provati quefti abiti. Voglio proprio vedere come farà bello il mio Lifandro una volta sulla Terra!
Lentamente, Sandy ubbidì. Dovette infilarsi innanzitutto i capi bianchi e sottili che MyThara definì “intimi”, e che consistevano in una “mutanda” e in una “canottiera”. Poi passò alle “calze”, dei lunghi tubi di tessuto chiusi da un lato. La “camicia” era color rosa pastello, i “pantaloni” erano color blu scuro, il “gilet” era rosso, la “giacca” marrone, e le “scarpe” nere.
— Ftai beniffimo — disse MyThara quando ebbe finito di vestirsi.
— Ho molto caldo — si lamentò Sandy.
— Perché farà molto freddo nel luogo in cui andrai, Lifandro — disse la tutrice assumendo un’aria serena. — Per quefto motivo, ho anche delle altre cofe da farti provare. — Quindi tirò fuori dal secondo cesto un altro paio di pantaloni, decisamente più pesanti degli altri e molto più stretti in fondo, un paio di pesanti sovrascarpe che calzavano perfettamente sopra le scarpe da ballo leggere che Sandy aveva già indossato, e una giacca con tanto di cappuccio che pesava di più di tutto il resto messo assieme. Quando ebbe indossato ogni cosa, Lisandro stava ormai sudando copiosamente.
— Fei molto elegante — disse MyThara con voce triste.
— Mi sento come un tubero bollito — grugnì Sandy.
— Va bene, adeffo puoi toglierti tutto. — Man mano che Sandy si toglieva gli abiti, MyThara li piegò uno per uno e li ripose nelle ceste. — Fapevi che hanno riaperto l’impianto del peroffido? — domandò.
— Davvero? — Lisandro rifletté su questo fatto. Le navette erano gli unici apparecchi hakh’hli alimentati ad alcol e perossido di idrogeno, e di conseguenza l’impianto per la produzione del perossido della grande nave rimaneva inattivo per decenni, a volte anche per secoli. Non serviva alcun tipo di carburante di tipo chimico per far procedere la grande astronave fra le stelle. Sentendosi un poco meglio, Sandy tentò di prodursi in un sorriso. Tuttavia, non riuscì a mantenerlo, poiché aveva percepito qualcosa di strano nel tono di MyThara. — Non sei felice per me? — le domandò. — Credevo che tu fossi orgogliosa di vedermi andare sulla Terra!
— È che non credo che ti vedrò, Lifandro — biascicò lei con tristezza. — Anzi, fono ficura che non ti vedrò. Vedi, Lifandro, domani devo fare il mio efame di idoneità, e fono ficura che non lo pafferò.
Il giorno in cui la nave interstellare si trovò finalmente nel punto previsto della sua orbita attorno alla Terra, con la navetta completamente ripulita e pronta a partire, le parole di MyThara si rivelarono veritiere. MyThara non era più con loro. Non aveva passato l’esame di idoneità fisica.
La loro partenza non venne salutata da alcun tipo di cerimonia. Non venne nessuno a vederli partire, a parte ChinTekki-tho, che galleggiava nervosamente a mezz’aria nella microgravità della nave, i cui motori principali erano stati spenti per la prima volta da decenni. — Vi sono molte nuvole nella regione in cui atterrerete — annunciò il Tutore Primario rivolto alla coorte che si preparava a salire a bordo della navetta. — Questo è un bene, perché significa che potrete atterrare senza essere visti.
— Che cosa sono le “nuvole”, ChinTekki-tho? — domandò Obie con apprensione, guadagnandosi un pizzicotto da parte di Polly.
— Le nuvole sono un bene — disse Polly. — Non fare il mingherlino come Sandy!
ChinTekki-tho intanto stava guardando Sandy, che era in piedi da solo con gli stivali in mano e il volto solcato dalle lacrime. — Che cosa è successo a Lisandro? — domandò.
— È per via di MyThara. È morta — disse Polly.
— Certo che è morta; non ha passato l’esame. Ma per quale motivo trova questo fatto tanto ridicolo?
— Non lo trova ridicolo, ChinTekki-tho — spiegò Obie. — È un terrestre, sai? Sta piangendo. È così che fanno quando sono tristi.
— E per quale motivo dovrebbe rattristarsi per la morte di una vecchia hakh’hli? Oh, Lisandro — disse ChinTekki-tho dispiaciuto — mi fai venire dei dubbi sul modo in cui ti abbiamo addestrato. Ma ormai è troppo tardi per preoccuparsi di una cosa simile. Avanti, è venuto il momento di entrare nella navetta. Il lancio avverrà fra un dodicesimo di dodicesimo.
Ora la grande nave interstellare è immobile, o almeno così sembra a tutti coloro che si trovano al suo interno. In realtà, naturalmente, si trova in orbita attorno al pianeta Terra, dove sta sfruttando la combinazione della sua stessa velocità orbitale con quella della Terra attorno al Sole… nonché il movimento del Sole all’interno della sua galassia, e la costante caduta della galassia verso il suo Grande Attrattore. Se messo in relazione con un riferimento stazionario, il movimento della nave sarebbe simile a quello di un cavatappi; solo che non vi è alcun riferimento stazionario con il quale metterlo in relazione. Comunque sia, per coloro che si trovano all’interno della grande nave è come se questa fosse perfettamente immobile. I motori sono fermi. La spinta non c’è più. L’accelerazione (o la “gravità”) di 1,4 G alla quale i componenti della nave si sono abituati per tutte le loro vite non esiste più, e gli hakh’hli e i loro oggetti galleggiano a mezz’aria. Di conseguenza, ogni movimento viene amplificato. Persino la spinta leggerissima dei rampini magnetici che lanciano il modulo di atterraggio verso la sua rotta viene percepito all’interno della nave. Tutti i 22.000 hakh’hli che si trovano a bordo della nave lo sentono, e tutti quanti gioiscono nel sentirlo. La Terra è il migliore pianeta che abbiano trovato in oltre 3.000 anni di viaggio, e ora è quasi già loro.
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