Chiunque fossero stati gli ultimi a usare la navetta, non si era certamente trattato di persone particolarmente ordinate. Tre dei sedili erano pieni di macchie e incrostazioni, e nelle dispense vi erano pezzi di materia decomposta che una volta doveva essere stata cibo. — Maiali — dichiarò Sandy tappandosi il naso. — Vorrei averli sottomano per dir loro un paio di cosette!
— Non contarci — replicò Chiappa. — Chiunque fossero, sono stati dati in pasto ai titch’kik ormai da secoli. Non effettuiamo un atterraggio su un pianeta da… quanto tempo sarà trascorso, ormai, Polly? Almeno sei stelle fa?
— Potrai controllarlo personalmente quando avrai del tempo libero — ordinò Polly. — Avanti, diamoci da fare!
— Sì, ma aspetta un attimo — intervenne Demmy. — Che cosa mi dici di questa puzza di alcol?
— Perché, che cosa c’è? Mi pare che si stia diradando, no?
— Non mi sto lamentando per la puzza in sé — ribatté Demmy. — Mi sto solo domandando come mai si sente. Come è possibile che ci sia odore di alcol nella cabina di pilotaggio? Non potrebbe trattarsi di una perdita?
— Se siamo qui adesso — sentenziò Polly con tono secco — è proprio per verificare certe cose. Probabilmente si tratta semplicemente di un trasudamento, però penso che sia comunque il caso di aprire i sigilli per controllare.
Aprire i sigilli risultò essere il compito più difficile in assoluto (impiegarono un intero dodicesimo di duro lavoro per farlo), ma fortunatamente scoprirono che non vi era nulla di strano. L’odore di carburante era dovuto semplicemente al lento trasudare dei fumi d’alcol avvenuto nel corso dei secoli. I serbatoi erano perfettamente sigillati e funzionanti, e una volta verificato ciò la coorte si rasserenò.
Il lavoro che stavano svolgendo era arduo e non certo gradevole, ma in fondo lo stavano facendo per il loro stesso bene. Stavano per partire! Mentre si dedicavano al compito ben più semplice, per quanto forse più scocciante, di ripulire tutto l’interno della navetta, anche il calore divenne decisamente più sopportabile. Una volta eliminato tutto ciò che era stato lasciato dal precedente equipaggio, infatti, avrebbero portato delle cose loro, che sarebbero servite a loro e a nessun altro. — Facciamo una partita al Gioco delle Domande! — propose Tania, ormai completamente rinfrancata. Sandy aprì la bocca per suggerire un argomento, ma venne preceduto da Polly.
— Non mi sembra proprio il caso — dichiarò. — Non comportiamoci in maniera immatura. Dobbiamo concentrarci sulla nostra missione, e non su cose infantili. Piuttosto, perché non interroghiamo Sandy sulla sua storia di copertura?
— Oh, cacca — disse Sandy, ma gli altri accettarono subito l’idea di buon grado.
— Dicci il tuo nome — iniziò immediatamente Elena.
Sandy scrollò le spalle mentre sgomberava l’interno di un armadietto con un bastone. — Mi chiamo John William Washington — disse di malavoglia.
— Allora perché ti chiamano “Sandy”? — domandò Obie, che era affaccendato attorno a uno dei sedili di pilotaggio.
— È solo un soprannome. Un diminutivo di Lisandro.
— Posso vedere la tua carta d’identità? — intervenne Polly.
Questa era nuova. Sandy ebbe un attimo di esitazione, rimanendo imbambolato con il bastone in mano. Non aveva alcun tipo di documenti. — Non so che cosa rispondere a questa domanda — confessò.
Demmy gli diede una mano. — Puoi dire che sei stato rapinato, Sandy.
— Cosa significa “rapinato”?
— Dai che lo sai, è come “derubato”. Sai, come Robin Hood.
— Già, certo — disse Sandy, iniziando a cogliere lo spirito della cosa. — Sono stato derubato. Hanno rubato il mio portafoglio e la mia valigia…
— Non la valigia! — lo interruppe seccamente Polly. — Non andavi mica in giro con una valigia, vero?
— Va bene, il mio zaino. Mi hanno rubato lo zaino con dentro tutti i documenti.
— Pfui! — esclamò Obie, che si stava ritraendo schifato da un armadietto che aveva appena aperto. — È orribile!
— Orribile o no — intervenne nuovamente Polly — devi pulirlo comunque. E ora dimmi, John William Washington, da dove vieni?
— Questa è facile. Sono di Miami Beach, in Florida. La Florida è uno stato. Sono uno studente universitario e mi sono preso una vacanza. Sto facendo… uh… l’“autostop”.
— Come si chiamano i tuoi genitori?
— I miei genitori? — Sandy dovette fermarsi di nuovo per riflettere. — Ah, i miei genitori si chiamano Peter e Alice. Peter è il maschio. Solo che sono morti, tutt’e due. Sono morti in un incidente automobilistico e… be’, ci sono rimasto molto male. Così ho deciso di lasciare la scuola per un certo tempo. In ogni caso, ho sempre desiderato visitare l’Alaska.
— Che mingherlino che sei, Mingherlino — disse Polly con tono sprezzante. — Spero che te la caverai meglio, una volta sulla Terra. Immagina una persona che non ricorda nemmeno i nomi dei suoi genitori!
— Ah, sì? — ribatté Sandy con rabbia. — E allora chi erano i tuoi genitori?
Polly fece oscillare la testa con fare minaccioso. — I dati genetici della mia famiglia sono in archivio, e lo sai benissimo — ribatté con tono tagliente. Si accovacciò sulle zampe posteriori, come se stesse per compiere un balzo. Sandy si rannicchiò in una posizione difensiva.
Ma venne salvato da un urlo da parte di Demmy. — Insetti! — sbottò. — Questo armadietto è pieno di insetti! Come hanno fatto a entrare qui dentro?
Distratta da questo commento, Polly rivolse uno sguardo glaciale in direzione di Demmy. — Che differenza fa come hanno fatto ad arrivare? — domandò con rabbia. — L’unica cosa che conta è che dobbiamo liberarcene. Demetrio, va’ immediatamente a requisire un nido di api-falco.
— E tu chi saresti per darmi ordini a questo modo? — domandò a sua volta Demmy mentre si accovacciava sulle possenti zampe, preparandosi alla carica.
La rissa venne evitata grazie alla voce di MyThara. — Che ftoria è mai quefta? — domandò la tutrice. — Vi pare quefto il modo per portare a termine le iftruzioni urgenti dei Grandi Anziani, comportandovi come degli infanti appena fchiufi? E ora fpiegatemi che cofa ftate combinando.
Quando la coorte ebbe spiegato tutto, l’anziana tutrice agitò la sua mascella. — Beniffimo, allora. Dobbiamo andare a prendere un nido di api-falco per liberarci degli infetti. Demmy, va’ a prenderlo. E quefta roba che cof’è? — Indicò un mucchio di rifiuti puzzolenti che erano stati radunati sul pavimento.
— È da gettare nelle vasche dei titch’hik — dichiarò Polly con tono solenne. — È tutta roba in decomposizione.
— Eccome fe lo è! Hai forfè intenzione di avvelenare i titch’hik? Quel materiale deve andare nelle vafche di decontaminazione per essere fterilizzato. Portalo immediatamente, Ippolita.
— Perché non ci mandi Sandy?
— Lifandro non ci andrà — spiegò MyThara — perché ci ho appena mandato te. Lifandro ha altri compiti da portare a termine al momento. E ora datevi da fare.
— Si guardò attorno. — Vedo che avete già fgomberato tutti gli armadietti — disse. — Quefto è un bene. Potrete averne uno per uno.
— Uno folo? — domandò Obie con tono lamentoso.
— Per andare fino alla Terra?
— Uno solo ciafcuno — replicò MyThara con durezza. — Gli altri fervono per le provvifte e l’equipaggiamento neceffario. In fondo, dovrete portarvi dietro provvifte per tre fettimane.
— Perché solo tre settimane? — domandò Elena tirando fuori la lingua con fare irritato.
— Perché quefto è ftato l’ordine dei Grandi Anziani, Elena. Bene, Lifandro, ora vieni con me. È ora di provare i tuoi nuovi abiti.
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