— Vuoi entrare nel gioco, Sandy? — domandò Elena mentre rincorreva a sua volta la palla.
Sandy scosse il capo. — No, grazie — rispose. Nessuno si sorprese più di tanto, poiché sapevano tutti benissimo che Sandy non era molto adatto agli sport di contatto degli hakh’hli; soprattutto quando avevano luogo prima del pasto di mezzogiorno, un momento in cui la competitività dei giocatori veniva ulteriormente acuita dalla fame.
Sandy si recò nel suo angolo di studio personale e si sedette. Non accese lo schermo, non aprì il suo armadietto per guardare la foto di sua madre, e non rimase nemmeno lì a sognare a occhi aperti beandosi nell’aspettativa del loro ormai prossimo atterraggio sulla Terra, con tutte le sue femmine umane e con la prospettiva quasi certa di un glorioso accoppiamento da parte sua. Si limitò a sedersi e a fissare con rabbia il vuoto attorno a sé, pensando al corpo di MyThara che veniva fatto a pezzi da un titch’hik. Nel frattempo la partita finì, il carrello del cibo arrivò, e la coorte si lanciò con avidità, gridando e sbavando, sul pasto giornaliero.
Sandy non si avvicinò nemmeno al carrello finché l’ultimo dei suoi compagni si riversò a terra, con gli occhi vuoti e spalancati, nel suo periodo di intontimento. Solo a quel punto Sandy emise un sospiro, si alzò in piedi e si avvicinò per vedere che cosa era avanzato.
In verità c’era ancora parecchia roba. L’arrosto che costituiva la pietanza principale era stato letteralmente squartato, ma vi erano diversi bocconi di dimensioni adatte per un essere umano sparsi in giro.
Sandy prese un pezzo di carne e fece per infilarselo in bocca, ma poi si fermò improvvisamente per guardarlo.
Si trattava di un arrosto di hoo’hik giovane, di quello più tenero, fatto con la carne dei cuccioli.
Sandy ebbe un attimo di esitazione. Poi però mandò giù il boccone, lo masticò e, continuando a masticare, tornò al suo angolo personale dove accese lo schermo e si guardò un film musicale terrestre pieno di ragazze terrestri in abiti succinti.
Il modulo di atterraggio che porterà la Coorte Missione Terra fino alla superficie del pianeta ha una lunghezza di 45 metri e assomiglia molto a un aeroplanino di carta. È dotato di ali retrattili ad apertura variabile. Quando sarà nell’atmosfera terrestre, le sue ali potranno essere estese a seconda delle esigenze e delle condizioni di volo, allargandosi e mutando gradualmente di forma man mano che la velocità viene ridotta. I propulsori sono alimentati da alcol e perossido di idrogeno. Una volta che la navetta si troverà nell’atmosfera l’ossigeno sarà fornito dall’aria stessa, e di conseguenza il perossido di idrogeno potrà essere risparmiato per le manovre nello spazio. Questo è di notevole importanza per gli hakh’hli, poiché l’alcol e il perossido di idrogeno bruciati dalla navetta non potranno più essere processati nei sistemi di riciclaggio della nave, e di conseguenza dovranno essere recuperati da qualche fonte esterna. La maggior parte del peso della navetta è rappresentata proprio dal carburante, poiché dovrà bastare sia per il viaggio di andata sia per quello di ritorno. Grazie alla sofisticata tecnologia hakh’hli, la struttura della piccola navetta è decisamente leggera: nonostante questo, il peso totale al momento del lancio è di oltre 200 tonnellate. L’atterraggio sulla Terra è relativamente semplice, poiché la gravità di superficie del pianeta è di un solo G, mentre la navetta è stata progettata per atterrare in gravità fino a due G. All’interno vi sono otto “inginocchiatoi “ hakh‘hli; uno di questi però è stato sostituito con una “poltrona” più adatta all’anatomia di Lisandro Washington. Si tratta di una poltrona particolarmente grande, del tipo che viene normalmente riservato agli Anziani, anche se nessun Anziano accompagnerà la coorte nella sua missione. Questo particolare rende impossibile per Sandy raggiungere la plancia, ma ciò è irrilevante, dato che nessuno dei suoi compagni gli affiderebbe comunque i comandi della navetta.
Quando la Coorte Missione Terra venne finalmente mandata a ripulire la navetta per prepararla al volo, erano tutti piuttosto nervosi. Non ne avevano mai visto l’interno, e per quel che erano riusciti a vedere attraverso i boccaporti, sembrava maledettamente piccola. Inoltre, si trovava in un punto della nave decisamente scomodo per chiunque, sia hakh’hli sia umano. Quando la navetta non era in uso, ovverossia quasi sempre, rimaneva chiusa in un recesso della scocca esterna della grande astronave. Questa era la parte peggiore di tutta la faccenda, poiché, come del resto quasi tutte le sezioni più esterne della nave, anche quella era stata lasciata riscaldare quando la nave aveva compiuto la sua virata in prossimità del sole della Terra. Mentre si avvicinavano e iniziavano a sentire il calore, i componenti della coorte presero a emettere sbuffi di impazienza. — Come possono pretendere che lavoriamo lì dentro? — domandò Chiappa con tono sprezzante.
— Chiudi il becco — intervenne Polly. Si concesse una pausa per pensare a qualche commento supplementare che lo zittisse definitivamente, e infine lo trovò. — E ringrazia che non ci hanno mandati a lavorare là fuori — aggiunse.
Erano tutti disposti a ringraziare per quello. Attraverso i piccoli boccaporti di osservazione, potevano vedere la navetta, attorno alla quale stavano lavorando una decina di massicci hakh’hli-operai, di quelli generati appositamente per il lavoro all’esterno. Le tute spaziali che indossavano assomigliavano a delle sfere, perfettamente rotonde salvo per una sporgenza per la testa alla sommità e diverse braccia meccaniche che spuntavano un po’ da tutti i lati. La nave si trovava su una rotta tale da permettere loro di rimanere all’ombra del Sole, ma questo non risolveva certo i loro problemi. La scocca esterna della grande nave infatti aveva assorbito una tale quantità di calore durante il suo passaggio accanto al Sole che irradiava ancora costantemente un bagliore invisibile di radiazioni infrarosse; di sicuro gli hakh’hli che si trovavano là fuori erano letteralmente inzuppati di sudore nelle loro tute. Il lavoro che stavano compiendo non era solo faticoso ma anche pericoloso, poiché nemmeno un hakh’hli-operaio geneticamente programmato per quello scopo preciso poteva resistere troppo a lungo a quel calore. Tuttavia, si trattava di un lavoro necessario, che consisteva soprattutto nel fissare lungo tutto lo scafo della navetta una fitta rete metallica, sulla quale sarebbe stata successivamente posta una pellicola in grado di intercettare la maggior parte degli oggetti che avrebbero incontrato attraversando la fascia di relitti in orbita attorno alla Terra.
L’interno della navetta, scoprirono poco dopo, era ancora più caldo. Polly controllò con fare pignolo tutti gli indicatori di pressione, quindi premette il pulsante di apertura. Non appena lo sportello della navetta si aprì, vennero tutti sopraffatti da una terribile ondata di aria caldissima e puzzolente di alcol e decomposizione. — Oh, cacca — commentò Elena con un grugnito. — Volete dire che dobbiamo lavorare lì dentro?
Naturalmente, era proprio così. Polly ordinò a Chiappa di entrare per primo per accendere l’impianto di aerazione. Quando Chiappa riapparve davanti allo sportello ansimando per dire che l’impianto era acceso, Polly spinse dentro Demmy con un calcio. Gli altri seguirono.
Anche con l’impianto di aerazione in funzione, l’aria all’interno della navetta rimaneva quasi irrespirabile. L’odore di chiuso e di putrefazione era realmente fortissimo. Del resto, non vi era nulla di strano in questo, dato che il modulo di atterraggio non era stato usato né nel sistema Alfa Centauri né nel corso della precedente visita al sistema solare della Terra. Ad Alfa Centauri non era stato usato perché non era stato trovato alcun luogo in cui atterrare, e nel sistema Sol non era stato usato perché i Grandi Anziani avevano sentito puzza di bruciato, tanto da portarli a decidere di dare alla Terra qualche anno in più per calmare i suoi bollenti spiriti.
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