Frederik Pohl - Il lungo ritorno

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Sono gli Hakh’hli. Sono alieni. Si nutrono di carne umana. Il lungo viaggio nello spazio era alla fine. Sandy, l’umano cresciuto su un’astronave degli extraterrestri Hakh’hli, era pronto al ritorno sulla Terra. Gli alieni erano animati dalle migliori intenzioni.. Solo la scienza Hakh’hli poteva risolvere il problema di trasformare i pianeti. I terrestri avevano bisogno di quel contatto. Ma c’era da fidarsi?

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Balzò in piedi, allungando le mani con i palmi verso l’alto per dimostrare che non aveva cattive intenzioni e producendosi subito nel sorriso amichevole e benevolo che aveva provato tante volte davanti allo specchio. Si spazzolò dai capelli alcuni fili di paglia secca, poi riguadagnò finalmente l’uso della parola.

Le labbra della donna però si stavano già muovendo, e Sandy si rese conto solo allora che non aveva addosso l’apparecchio acustico. Infilò una mano nella tasca del giaccone, prese l’apparecchio, se lo cacciò nell’orecchio pregando e… funzionava! — Salve — disse la voce della donna in tono perplesso.

— Salve — rispose Sandy. — Immagino che lei si stia domandando chi sono. Mi chiamo Sandy… cioè, John William Washington — disse. — Sono entrato qui dentro per ripararmi dal temporale. Spero che non abbia nulla in contrario… Vede, stavo facendo l’autostop e mi sono perso…

La donna non apparve per nulla sorpresa. Anzi, l’espressione del suo volto non tradì alcuna emozione. La sua pelle era decisamente più scura di quanto Sandy non si fosse aspettato, e il suo viso appariva impassibile. — Tanto vale che vieni in casa — gli disse. Con questo, si girò e fece strada.

La pioggia era cessata, e il cielo era parzialmente sgombro. Sandy osservò meravigliato le “nuvole” bianche e soffici, il “cielo” azzurro e il verde della vegetazione che lo circondava. Si trovavano in una valle. La navetta hakh’hli non era in vista, ma Sandy riconobbe le montagne che li circondavano, anche se erano un po’ diverse da come le ricordava; probabilmente le stava guardando da un’altra angolazione. — Avanti, entra — disse la donna tenendogli la porta aperta.

— Grazie — rispose Sandy in tono cortese mentre entrava in casa.

Si trovavano in una “cucina”. Sandy si guardò attorno, letteralmente affascinato. Gli odori che percepiva erano stupefacenti. Davanti alla “stufa” vi era un giovane terrestre di sesso maschile che rimestava in una padella bassa qualcosa di sfrigolante. Sotto alla padella vi era una fiamma accesa (una fiamma libera!) La padella era senz’altro la fonte di almeno uno degli odori che percepiva, un odore che risultava allo stesso tempo invitante e disgustoso, ma ve ne erano anche molti altri che Sandy non riusciva a identificare.

Il giovane alzò lo sguardo verso Sandy. — Com’è grosso, mamma — disse. — Credi che voglia anche lui un po’ di uova col bacon?

— Oh, sì — rispose pronto Sandy, collegando finalmente l’odore a quel nome familiare che però, fino a quel momento, non aveva mai avuto alcun riscontro concreto. — Sì, grazie — disse. — Posso pagare. — Frugò in una delle sue tasche alla ricerca di una pietruzza d’oro, quindi iniziò a recitare la spiegazione che gli avevano fatto imparare a memoria. — Sono un cercatore d’oro — disse. — Prendo pietre e sabbia dai letti dei torrenti, poi li setaccio nell’acqua, così se ne va tutto ciò che è più leggero e io rimango con l’oro.

La donna lo fissò con aria un po’ stupita, ma non fece commenti, limitandosi invece a chiedergli: — Vuoi anche delle polpette con le uova?

— Oh, sì, credo di sì — rispose Sandy un po’ dubbioso. Non aveva esattamente idea di che cosa fossero le “polpette”, e quando il ragazzo umano gli mise davanti il piatto, fu ancor meno sicuro di desiderarle. Anche il resto non gli sembrava molto appetitoso. Le “uova” erano dei globuli gialli circondati da una specie di pellicola bianca un po’ marroncina ai margini, e queste erano abbastanza facili da identificare. Il “bacon” era la carne, e in effetti gli era già capitato di vedere anche quello in diversi film. Quindi l’altra cosa doveva essere la “polpetta”, un oggetto rotondo schiacciato di color marrone scuro.

Prese in mano la forchetta con una certa perizia. Le lunghe ore di allenamento in fondo servivano a qualcosa. Tuttavia, quando la infilò nell’uovo il tuorlo si ruppe, spandendo un liquido denso e arancione su tutto il piatto.

Sandy ebbe un attimo di esitazione. Era perfettamente consapevole del fatto che la donna lo stesse osservando con una certa curiosità. Il ragazzo era scomparso, ma Sandy poteva sentire la sua voce proveniente da un’altra stanza. Forse stava parlando con qualcuno. Si fece coraggio e prese con la forchetta un pezzo di polpetta inzuppata di tuorlo d’uovo. Se lo infilò in bocca e masticò.

Sandy Washington non aveva mai assaggiato nulla del genere in vita sua. Non poteva dire che fosse disgustoso, ma allo stesso modo non poteva nemmeno affermare che fosse buono, o anche solo commestibile. A parte il sapore generalmente salato, vi erano un sacco di altri sapori che non aveva mai sentito in vita sua.

Rivolse alla donna un sorriso rassicurante. Fra tutte le nuove sensazioni che stava provando, la più intensa di tutte era certamente dovuta alla presenza di quella donna, alla sua femminilità. Per quel che Sandy aveva potuto imparare fino ad allora sugli standard di bellezza femminile terrestri, quella donna non era affatto bella. Non era nemmeno giovane. Sandy non confidava assolutamente nella sua abilità nel giudicare l’età di un essere umano. Tuttavia, il ragazzo l’aveva chiamata “mamma”, e questo era già di per sé un ottimo indizio, dato che per quel che Sandy poteva stabilire il ragazzo sembrava avere più o meno la sua stessa età.

In quel momento, il ragazzo tornò nella cucina. — Stanno arrivando — disse a sua madre.

Sandy alzò nuovamente lo sguardo verso la donna con aria perplessa, ma questa si limitò a domandargli: — Vuoi del ketchup per le polpette?

— Sì, grazie — disse Sandy appoggiando la forchetta. La donna appoggiò una bottiglia di fronte a lui e rimase in attesa. Sandy la prese con aria incerta. Vi era un tappo di metallo alla sommità della bottiglia, ma questo era un problema conosciuto; prese la bottiglia con una mano, il tappo con l’altra e, con la massima delicatezza possibile, iniziò a tirare e a girare finché il tappo si svitò e si staccò dalla bottiglia.

Davanti a sé aveva un bicchiere vuoto. Sandy versò un poco del denso liquido rosso nel bicchiere, giusto quanto bastava per ricoprirne il fondo. Quando sentì il ragazzo che ridacchiava, si rese conto di aver fatto qualche errore.

In quel momento, venne colto dall’ispirazione. — Devo andare bagno — annunciò, e fu molto felice quando venne accompagnato in una stanza con una porta e una serie di “articoli sanitari”.

Quando ebbe chiuso la porta, si sentì subito meglio. Introdursi fra i terrestri in veste di agente segreto era decisamente più difficile di quanto non avesse previsto.

Del resto, anche il processo di andare al bagno lo era. Gli abiti terrestri erano molto diversi da quelli che aveva indossato per tutta la vita sulla nave, quindi gli crearono non pochi problemi. Poi vi era la questione dei “sanitari”.

Il processo fu piuttosto lungo, ma Sandy non aveva alcun problema per quanto riguardava il tempo. Alla fine riuscì a scoprire come si faceva a svuotare e riempire nuovamente la “tazza” e come ci si toglievano i “pantaloni”. Quando ebbe finito, si fermò a guardarsi nello specchio che si trovava sopra il “lavandino”.

Si tolse con estrema cautela l’apparecchio acustico dall’orecchio e gli diede un’occhiata. Non sembrava danneggiato. Lo asciugò alla meglio con uno degli oggetti di tessuto che si trovavano accanto al lavandino, quindi lo reinserì. L’orecchio gli faceva male, ma non poteva certo cavarsela senza l’ausilio del suo apparecchio acustico.

Il silenzio che regnava all’interno del bagno gli sembrava una vera e propria benedizione. Nessuno gli poneva domande, e non doveva affrontare alcun tipo di esame, dato che non doveva rispondere di niente a nessuno. In quel momento desiderò poter rimanere in quella piccola stanza finché tutti gli altri non se ne fossero andati via, per poi riuscire in qualche modo a tornare alla navetta, alla grande nave madre, a quella vita familiare che era sempre stata la sua vita…

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