Stanislaw Lem - Cyberiade

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Come risposta, Klapaucius gli raccontò una lunga storia, riferendo di essere un ricco straniero, e di essere arrivato quel giorno stesso, con una nave contenente duecento dei migliori puzzle di legno che fossero mai stati escogitati e trenta fanciulle fiore automatiche, da portare in dono a Re Balerion. Si trattava di un omaggio dell’Imperatore Proscidiolo, che intendeva così esprimere la sua sconfinata ammirazione per la grande Casata di Cyberia.

Tuttavia, dopo essere atterrato, aveva pensato di fare un giro del porto, per sgranchirsi le gambe dopo il lungo viaggio, e mentre passeggiava tranquillamente lungo il molo, una persona, che assomigliava esattamente a questa (qui, Klapaucius indicò se stesso) e che aveva già destato i suoi sospetti perché osservava con avidità i suoi splendidi abiti stranieri… quella persona, per farla breve, si era scagliata su di lui come un pazzo, come se volesse gettarlo a terra, ma all’ultimo minuto si era tolto il cappello e l’aveva colpito in fronte con un paio di corna; a quel punto c’era stato uno straordinario scambio di menti.

Klapaucius fece ricorso a tutta la sua capacità di convinzione, per rendere credibile la sua storia. Parlò diffusamente del corpo che aveva perso, magnificandone la bellezza, e nello stesso tempo non lesinò insulti alla schifezza di corpo in cui era finito (per esser più convincente, giunse perfino a prendersi a schiaffi e a sputarsi sulle braccia e sulle gambe).

Parlò dei tesori che aveva con sé, a bordo della sua nave, e li descrisse minuziosamente, soffermandosi in particolare sulle fanciulle fiore automatiche; poi, abbandonandosi alle reminiscenze, parlò della famiglia che s’era lasciata alle spalle, dei figli, del cane, e della moglie, una donna su un milione, che faceva un elettrolito speziato addirittura superiore a quello che dava lustro alla mensa imperiale; e presto, sopraffatto dalla commozione, lasciò perfino trapelare davanti al Commissario il suo più grande segreto, ossia l’accordo con il suo comandante: i doni dovevano essere consegnati al rappresentante di Re Balerion che si fosse presentato al comandante pronunciando una parola d’ordine.

Re Balerion ascoltò avidamente tutta la storia, perché gli pareva logico che Klapaucius, desideroso di sfuggire alla polizia, avesse scelto di entrare nel corpo di un forestiero, e non di uno qualsiasi, ma di uno abbigliato con vesti magnifiche, che gli avrebbe dato accesso a grandi ricchezze, una volta effettuato il trasferimento. Era chiaro, del resto, che anche Re Balerion aveva pensato a un piano analogo. Astutamente, il Re cercò di farsi svelare la parola d’ordine dal falso forestiero, il quale, in realtà, non ebbe bisogno di molte spinte per dargliela, perché subito gliela sussurrò all’orecchio: «Oniterc». A quel punto, il costruttore era ormai convinto che Balerion avesse abboccato: amava a tal punto i puzzle da non sopportare l’idea che finissero in mano al Re, dato che il Re, adesso, non era più lui; ed essendo disposto a credere a tutto, aveva immediatamente creduto che Klapaucius possedesse un secondo apparecchio per il trasferimento. Del resto, non aveva alcuna ragione di credere il contrario.

Per qualche tempo, tutt’e due rimasero in silenzio; si aveva quasi l’impressione di veder girare gli ingranaggi nel cervello di Re Balerion. Con un’aria indifferente, il finto Commissario cominciò a interrogare lo straniero sulla posizione della sua nave, sul nome del capitano e così via. Klapaucius rispose a tutte le domande, speculando sulla cupidigia del Re — e giustamente — perché all’improvviso

questi si alzò in piedi, disse di dover controllare le informazioni che gli erano state fornite dallo straniero e di corsa lasciò la stanza, chiudendo a chiave la porta.

Klapaucius poi sentì che Balerion — evidentemente ammaestrato da quel che gli era successo in precedenza — ordinava, prima di uscire, di far piantonare la finestra.

Naturalmente, il Re non avrebbe trovato nulla, perché non c’erano né astronave, né tesoro, né fanciulle fiore. Ma proprio su questo faceva perno il piano di Klapaucius, perché, non appena il Re se ne fu andato, il costruttore corse alla scrivania, recuperò lo strumento chiuso nel cassetto e in fretta se lo mise sulla testa.

Poi attese pazientemente il ritorno del Re, e non dovette passare molto tempo perché gli giungessero, dal corridoio, passi pesanti e imprecazioni. Infine, la chiave girò nella toppa… e il Commissario fece il suo ingresso, urlando: «Imbroglione, dove sono la nave, il tesoro, i miei puzzle?»

Ma non riuscì a dire altro, perché Klapaucius balzò fuori dal suo nascondiglio dietro la porta e si gettò su di lui come un montone infuriato, colpendolo in piena fronte. Poi, prima che Re Balerion avesse il tempo di orientarsi all’interno del corpo di Klapaucius, lo stesso Klapaucius, che adesso era il Commissario, gridò alle guardie di sbatterlo subito in galera e di tenerlo d’occhio.

Stordito dal brusco rovesciamento della situazione, Re Balerion, di primo acchito, non capì quanto fosse stato vergognosamente ingannato; ma quando alla fine comprese di avere sempre trattato con l’astuto costruttore, e che non c’era mai stato un ricco forestiero venuto a fare da ambasciatore, Re Balerion riempì di minacce e di bestemmie terribili — ma innocue, dato che ormai era privo dell’apparecchio — il suo buio carcere.

Klapaucius, d’altra parte, pur avendo provvisoriamente perso il corpo a cui era abituato, era riuscito a recuperare il trasferitore di personalità. S’infilò l’uniforme più elegante e si diresse senza indugio al palazzo reale.

Il Re era ancora sotto l’effetto del sedativo, gli dissero, ma Klapaucius, nella sua veste di Commissario di Polizia, disse di dover assolutamente vedere Sua Altezza, anche solo per pochi istanti, perché erano successe cose della massima gravità, c’era una crisi, e il destino della nazione rischiava di essere compromesso. Continuò su quella falsariga finché i cortigiani, allarmatissimi, non lo portarono nella camera da letto regale.

Laggiù, conoscendo bene abitudini e particolarità dell’amico, Klapaucius gli sfiorò il calcagno, e Trurl si destò di scatto perché pativa follemente il solletico. Si massaggiò le palpebre e fissò con stupore il gigantesco poliziotto che lo aveva svegliato, ma il gigante si piegò su di lui e sussurrò: «Sono io, Klapaucius, ho dovuto occupare il corpo del Commissario… senza una carica ufficiale, non mi avrebbero lasciato entrare… e ho con me lo strumento, l’ho qui in tasca…»

Trurl si rallegrò nell’udire dello stratagemma di Klapaucius e si alzò dal letto, dichiarando a tutti che si era pienamente ristabilito. Più tardi, vestito di porpora e con in mano l’orbe e lo scettro regali, si sedette sul trono e impartì alcuni ordini.

Per prima cosa fece portare dall’ospedale il proprio corpo, quello con la gamba che Re Balerion si era lussato sui gradini del porto. E quando l’ordine venne eseguito, ingiunse ai medici reali di occuparsi del paziente con tutta la loro capacità e la loro sollecitudine. Infine, dopo una breve conferenza con il suo Commissario, ossia Klapaucius, Trurl proclamò di voler rimettere ordine nel regno e riportare le cose alla normalità.

La sua promessa era più facile a dirsi che a mantenersi, però, perché i torti da raddrizzare erano tanti. I costruttori, comunque, non avevano intenzione di riportare ai loro corpi tutte le personalità trasferite; la loro principale preoccupazione, in realtà, era che Trurl ritornasse Trurl il più presto possibile e Klapaucius Klapaucius. Che rientrassero, insomma, nei rispettivi corpi.

Trurl, di conseguenza, ordinò di prelevare in carcere il prigioniero (Re Balerion nel corpo del suo collega) e di portarlo dinanzi alla Sua Augusta Presenza. Eseguito immediatamente il primo trasferimento di personalità, Klapaucius tornò a essere se stesso, e il Re (ora nel corpo del Commissario di Polizia) dovette mettersi sull’attenti e sorbirsi una ramanzina assai sgradevole, al termine della quale venne assegnato alle carceri di palazzo, con la giustificazione che era caduto in disgrazia per non aver saputo risolvere certi rebus.

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