Ma io non avevo una casa. La Terra? Pensavo alle sue grandi città popolose e rumorose nelle quali mi sarei smarrito, nelle quali sarei scomparso completamente, allo stesso modo che se mi fossi gettato, come avevo pensato di fare due o tre notti prima, nell’oceano che ondeggiava pesantemente nelle tenebre. Sarei annegato tra la gente. Sarei diventato un compagno solerte e silenzioso, benvoluto da amici e da donne, magari avrei avuto una donna per me. Durante un certo periodo avrei dovuto sforzarmi, per sorridere, per salutare, per alzarmi, per fare le mille piccole cose di cui è intessuta la vita terrestre, finché non mi sarei più accorto dello sforzo.
Avrei trovato altri interessi, nuovi lavori. Ma non mi sarei più dato a questi interamente. Non mi sarei dato interamente a nulla e a nessuno, mai più. E forse, di notte, avrei fissato lo sguardo là dove, nel cielo, una nebulosa di tenebre nasconde come una membrana nera lo splendore dei due soli, ricordando tutto, anche quello che stavo pensando adesso, e ricordandolo con un sorriso ironico misto a una stilla di rimpianto per le mie follie e le mie speranze. Non credevo che nel futuro ci sarebbe poi stato qualcosa di migliore del Kelvin che era stato pronto a tutto per un progetto chiamato «Contatto». E nessuno avrebbe avuto il diritto di giudicarlo.
Nella cabina entrò Snaut. Girò gli occhi all’intorno, poi mi guardò. Mi alzai e mi avvicinai al tavolo.
— Volevi qualcosa?
— Mi sembra che tu non abbia niente da fare… — disse con una smorfia. — Potrei darti, sai, certi calcoli; non ne ho bisogno subito, però…
— Ti ringrazio — sorrisi, — non occorre.
— Sei sicuro? — domandò, guardando fuori dalla finestra.
— Sì. Pensavo a varie cose, e…
— Preferirei che tu pensassi un po’ meno.
— Ah, ma non sai a che cosa. Dimmi, tu credi in Dio?
Mi osservò attentamente. — Come? Chi crede, oggi… — scorgevo nei suoi occhi l’inquietudine.
— Non è così semplice — dissi in tono volutamente leggero.
— Non riguarda il Dio tradizionale delle religioni terrestri.
Non sono uno specialista di storia delle religioni, e forse non invento niente. Ma sai, per caso, se ci sia stata mai una fede in un Dio… imperfetto?
— Imperfetto? — ripeté alzando le sopracciglia. — Come lo intendi? In un certo senso il Dio di ogni religione è imperfetto, poiché carico di attributi umani. Il Dio dell’Antico Testamento esigeva il servilismo, pretendeva il sacrificio di vittime, era geloso degli altri dei… Presso i greci gli dei, con le loro beghe e liti in famiglia, erano quasi altrettanto imperfetti degli uomini.
— No — l’interruppi. — A me interessa un Dio nel quale l’imperfezione non derivi dall’ingenuità dei suoi creatori umani, e ne sia invece la principale caratteristica immanente. Dev’essere un Dio, limitato nella sua onniscienza e onnipotenza, che sbaglia nel prevedere il futuro delle proprie opere, e crea un corso di fenomeni che può destare orrore. Questo è un Dio… invalido, che vuole sempre più di quanto può, e che non se ne rende conto subito. Crea gli orologi, ma non il tempo che essi debbono misurare. Sistemi o meccanismi che dovrebbero servire a certi precisi scopi e invece li oltrepassano e li tradiscono. Ha creato l’infinito, che doveva essere la misura della sua potenza, e invece è diventato il metro della sua immane sconfitta.
— Un tempo il manicheismo… — incominciò a dire, titubante, Snaut. Il diffidente riserbo con cui si era rivolto a me negli ultimi tempi era sparito.
— Niente in comune col principio del bene e del male — lo interruppi. — Questo Dio non esiste fuori della materia e non può liberarsi da questa, e non vuole altro…
— Una religione simile non la conosco — disse dopo un istante di silenzio. — Non è mai stata… necessaria. Se ti ho capito bene, come temo, tu pensi a un Dio che si evolve, che si sviluppa nel tempo, che cresce e aumenta di continuo la propria potenza prendendo coscienza della propria impotenza.
Questo tuo Dio è un essere inserito nella divinità come in una situazione senza uscita, e che, sapendolo, se ne dispera.
Sì. Però il Dio disperato non è forse l’uomo, mio caro? Stai parlandomi dell’uomo… E’ una filosofia che non vale granché e una mistica che vale ancora meno.
— No — risposi ostinatamente. — Non parlo dell’uomo. Forse, in qualche particolare, l’uomo corrisponderebbe a questa definizione sommaria, ma solo per il fatto che è piena di lacune. L’uomo, contrariamente alle apparenze, non si crea degli scopi. Glieli impone il periodo nel quale nasce, ed egli può servirli o ribellarvisi, ma l’oggetto del suo servizio o della sua rivolta gli è dato dall’esterno. Per cercare i propri scopi in libertà assoluta l’uomo dovrebbe essere solo, e non può riuscire, poiché l’uomo che non è educato tra la gente non può diventare uomo. Quello… mio non può esistere al plurale, capisci?
— Ah — disse, — allora… — E indicò con la mano la finestra.
— No — negai. — Lui no. Lui ha certo sfiorato nel suo sviluppo la possibilità di essere Dio, ma si è chiuso in se stesso troppo presto. E’ un anacoreta, un eremita del cosmo, e non il suo Dio… lui si ripete, Snaut, e quello che ho in mente non lo farebbe mai. Forse nasce da qualche parte, in qualche angolo della galassia, e a momenti incomincerà, con l’ebbrezza dell’adolescente, a spegnere certe stelle e ad accenderne altre, e lo noteremo solo fra qualche tempo…
— Lo abbiamo già notato — disse Snaut con acidità. — Novae e supernovae… sono secondo te delle candele del suo altare?
— Se prendi le mie parole alla lettera…
— O forse Solaris è la culla del tuo Dio bambino — aggiunse Snaut. Assieme al suo sorriso si accentuavano le rughe della sua faccia. — Forse, secondo il tuo ragionamento, è lo stadio primitivo, l’embrione del Dio disperato. Forse la vitalità della sua infanzia supera ancora di troppo la sua intelligenza, e tutto ciò che contengono le nostre biblioteche di solaristica costituisce il voluminoso catalogo dei suoi riflessi infantili…
— Noi per un periodo di tempo siamo stati i suoi giocattoli — aggiunsi. — Sì, è possibile. E sai in che cosa sei riuscito? Nel creare un’ipotesi nuova di zecca sull’argomento Solaris… E non dico poco! Con essa tutto va a posto e si spiega: l’impossibilità di allacciare il contatto, la mancanza di risposta, e certe… stravaganze nel comportamento con noi; tutto corrisponde a una psicologia accentuatamente infantile…
— Rinuncio alla paternità dell’opera — borbottò, rimanendo sempre vicino alla finestra. Per un bel po’ guardammo le onde nere. Si intravedeva una piccola macchia pallida e oblunga nelle nebbie dell’orizzonte, a est.
— Come ti è saltata in mente l’idea del Dio imperfetto? — domandò improvvisamente, senza staccare gli occhi dal deserto luccicante.
— Non lo so. Mi è sembrata molto verosimile, sai? E’ l’unico Dio al quale sarei capace di credere. La sua sofferenza non è una redenzione, non salva niente, non serve a niente: semplicemente, è.
— Un mimoide… — disse piano Snaut, con un altro tono di voce.
— Cosa dici? Ah, sì. L’avevo notato. E’ molto vecchio.
Entrambi guardavamo l’orizzonte rugginoso e annebbiato.
— Esco in volo — dissi improvvisamente. — Fino ad ora non mi sono mai allontanato dalla stazione, e questa è una buona occasione. Torno tra mezz’ora…
— Che cosa dici? — Snaut spalancò gli occhi. — In volo?
Dove?
— Là. — Additai la macchia corposa nella nebbia. — Che male c’è? Prenderò il piccolo elicottero. Sarebbe comico, sai, se sulla Terra dovessi un giorno dire di essere un solarista che non ha mai messo piede sul suolo di Solaris…
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