Da lontano ho avvistato qualcosa di bianco che galleggiava, e ho subito pensato alla tuta di Fechner, tanto più che la forma ricordava quella di un essere umano. Ho fatto una virata molto brusca, perché temevo di oltrepassare il punto e di non ritrovarlo più; quella forma, o corpo, si muoveva leggermente, sembrava quasi che nuotasse o stesse in piedi fino alla cintola tra le onde. Avevo fretta e sono sceso talmente in basso che ho sentito il carrello urtare contro qualcosa di morbido; ho pensato che fosse la cresta di un’onda. Il corpo, che era proprio un corpo, non indossava la tuta, però si muoveva.
DOMANDA : Hai visto la sua faccia?
RISPOSTA DI BERTON : Sì.
DOMANDA : Chi era?
RISPOSTA DI BERTON : Era un bambino.
DOMANDA : Che bambino? L’avevi mai visto prima?
RISPOSTA DI BERTON : No, mai. Non ricordo di averlo mai visto. Del resto, quando mi sono avvicinato e tra me e lui c’è stata una distanza di quaranta metri, o forse anche meno, ho capito che qualcosa non quadrava.
DOMANDA : Che cosa intendi dire?
RISPOSTA DI BERTON : Mi spiego. Dapprima non ho capito di che cosa si trattasse. Solo dopo un momento me ne sono reso conto. Quel bambino era immensamente grande.
Dire immenso è poco. Credo misurasse quattro metri. Ricordo che, nel momento in cui ho urtato contro l’onda, la sua faccia era all’altezza della mia e, seduto com’ero nell’abitacolo, dovevo trovarmi a tre metri sopra la superficie dell’oceano.
DOMANDA : Se era così immenso, come hai capito che era un bambino?
RISPOSTA DI BERTON : Perché era un bambino piccolissimo.
DOMANDA : Non ti pare, Berton, che la tua risposta non sia logica?
RISPOSTA DI BERTON : Assolutamente no. Ho visto la sua faccia, e le fattezze del suo corpo: erano infantili. Mi sembrava quasi un neonato. No, forse esagero: poteva avere due o tre anni. Aveva capelli neri e occhi azzurri, immensi!
Ed era nudo, completamente nudo; come se fosse appena nato. Era bagnato, forse unto, la pelle gli brillava.
La sua presenza mi ha fatto un’enorme impressione. Non credevo più che fosse un miraggio. Lo vedevo troppo chiaramente. Si alzava e ricadeva con il moto ondoso. Era orrendo!
DOMANDA : Perché? Che cosa faceva?
RISPOSTA DI BERTON : Sembrava come in un museo.
Una bambola, ma viva. Apriva e chiudeva la bocca e faceva diversi movimenti. Orrendo. Sì, perché i suoi gesti non erano naturali.
DOMANDA : Che cosa vuoi dire?
RISPOSTA DI BERTON : Non mi sono avvicinato oltre i quindici o venti metri. Ma vi ho detto com’era grosso, perciò lo vedevo perfettamente. Gli brillavano gli occhi e pareva vivo; solo che quei movimenti erano come se qualcuno provasse… come se qualcuno riprovasse…
DOMANDA : Cerca di esprimerti più chiaramente.
RISPOSTA DI BERTON : Non lo so, non so se ne sarò capace. Ho avuto questa impressione. Era un’intuizione. Non ci riflettevo. Quei movimenti erano innaturali.
DOMANDA : Vuoi dire che, per esempio, le braccia non si muovevano come quelle umane, che hanno determinate limitazioni di movimento a causa delle articolazioni?
RISPOSTA DI BERTON : Assolutamente no. Solo che… quei movimenti non avevano alcun senso. Ogni movimento ha un suo significato, è funzionale a qualcosa…
DOMANDA : Credi? I movimenti dei neonati non hanno senso.
RISPOSTA DI BERTON : Lo so, ma i movimenti di un neonato sono disordinati e non coordinati. Generalizzati.
Questi invece erano, posso dire… metodici. Sembravano fatti prima a gruppi e poi in serie. Come se qualcuno volesse controllare che cosa fosse in grado di fare, quel bambino, con le mani, con la schiena, con la bocca. La faccia era la cosa più difficile, penso, perché la faccia esprime di più. Ma quella faccia… non saprei descriverla. Era viva, sì; ma non era umana. I tratti, gli occhi, l’aspetto, sì, ma l’espressione non andava.
DOMANDA : Faceva delle smorfie? Lo sai com’è la faccia di una persona durante un attacco epilettico?
RISPOSTA DI BERTON : Sì, ho visto un attacco del genere. Lo capisco. Ma era qualcosa di diverso. Durante l’attacco epilettico ci sono contrazioni e tremiti, ma questi erano movimenti completamente sciolti e regolari; si può dire, armoniosi. Non riesco a definirli in altro modo. Con la faccia era lo stesso. Una faccia non può essere per metà triste e per metà allegra, con una parte atterrita e l’altra esultante o qualcosa del genere; ma in quel bambino succedeva così. Poi, tutti quei movimenti e il gioco mimico avvenivano a una velocità incredibile. Mi sono fermato poco, forse dieci secondi.
Non so neanche se fossero dieci.
DOMANDA : Vuoi dire che hai visto tutto questo nel giro di così poco tempo? Ma come sai quanto è durato? Hai controllato con l’orologio?
RISPOSTA DI BERTON : No, non ho controllato con l’orologio, però volo da sedici anni. Nel mio lavoro si deve sapere valutare il tempo al secondo. Io ho in mente i tempi. E’ necessario per l’atterraggio. Il pilota che non è in grado di afferrare, indipendentemente dalle circostanze, se un fenomeno dura cinque secondi oppure dieci, non varrà mai un granché.
Con gli anni, impariamo a recepire tutto in tempo brevissimo.
DOMANDA : E’ tutto quello che hai visto?
RISPOSTA DI BERTON : No, ma il resto non lo ricordo esattamente. Penso che sia anche troppo. Avevo il cervello come tappato. La nebbia cominciava a chiudersi intorno a me e ho dovuto riprendere quota. Devo averlo fatto, ma non ricordo né come né quando. Per la prima volta nella mia vita, quasi capottavo. Le mani mi tremavano talmente che non ero in grado di tenere i comandi. Mi sembra di avere gridato e chiamato la base, sebbene sapessi di non essere collegato.
DOMANDA : Hai cercato di rientrare?
RISPOSTA DI BERTON : No. Quando ho finalmente raggiunto la quota limite, ho pensato di poter trovare Fechner in uno di quei pozzi. Lo so che sembra senza senso. Ma lo pensavo. «Poiché già succedono cose strane» pensavo «forse riuscirò a trovare Fechner.» Perciò ho deciso di entrare in ogni pozzo in cui fosse possibile. La terza volta, quando sono risalito, ho capito, dopo ciò che avevo visto, che non sarei riuscito a scendere ancora. Non ho potuto. Devo dire che, come si sa, ho avuto delle nausee, ho vomitato nell’abitacolo. Era strano. Io non ho mai sofferto di nausee.
DOMANDA : Era un sintomo di intossicazione, Berton.
RISPOSTA DI BERTON : Forse. Ma ciò che ho visto quella terza volta non l’ho inventato. Non era conseguenza dell’intossicazione.
DOMANDA : Come puoi saperlo?
RISPOSTA DI BERTON : Non erano allucinazioni; l’allucinazione è una cosa creata dal nostro cervello, vero?
DOMANDA : Sì.
RISPOSTA DI BERTON : Ebbene, il mio cervello non poteva inventare quel che ho visto. Non lo crederò mai. Non ne sarebbe stato capace.
DOMANDA : Di’ piuttosto che cos’era, per favore.
RISPOSTA DI BERTON : Prima, vorrei sapere come sarà valutato ciò che ho già riferito.
DOMANDA : Che importanza ha?
RISPOSTA DI BERTON : Per me, un’importanza vitale. Vi ho riferito che ho visto delle cose che non dimenticherò mai.
Se la commissione deciderà che ciò che ho detto è probabile, anche solo in minima parte, e che si dovranno cominciare delle ricerche in questo campo, a proposito dell’oceano, allora dirò tutto. Ma se la commissione riterrà che siano mie invenzioni, non dirò niente.
DOMANDA : Perché?
RISPOSTA DI BERTON : Perché il contenuto delle mie allucinazioni è una mia questione privata, e non ho da renderne conto. Delle mie osservazioni su Solaris, invece, sì.
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