Be’, un tuffo di una dozzina di metri non gli avrebbe fatto alcun male, ma anche lui dovette riflettere che sarebbe stato poco divertente. Se ne restò buono per almeno un minuto, e mi permise anche di tenergli un braccio attorno. Ma io mi stavo sempre preoccupando per quelle seppie. Un pesce morto in mare è una rarità, visto che di solito non fa in tempo a rendere l’anima che qualcosa lo ha già divorato. — Ho sentito dire che intorno alle Hawaii c’è una moria molto peggiore — osservai, e May disse:
— Oh, a proposito delle Hawaii, Jimmy Rex dovrà andare a far visita a sua nonna, la settimana prossima.
Io non dissi nulla ma il mio sguardo fu eloquente. — Andrà tutto bene — mi rassicurò lei.
— Andrà tutto bene se Pan e Jeremy staranno con lui — cercai di contrattare. Erano i due uomini della sicurezza che Jimmy Rex detestava di meno.
— Be’, se pensi che la sensibilità della nonna non ne sarà ferita… — Vide la mia espressione e tacque. — Va bene, andranno anche loro — promise. — Ma dopotutto gli Appermoy fanno parte della famiglia. E anche Betsy. Anzi, quando Jimmy Rex tornerà dalle Hawaii pensavo d’invitare qui alcuni dei suoi amici.
— Betsy è della famiglia — ammisi, — ma la spazzatura che si tiene intorno non c’entra niente.
— Però sono divertenti, Jason. E con tutto lo spazio che abbiamo ora sarebbe un peccato non invitare un po’ di gente.
— Questa — dissi, — è un’altra delle cose per cui preferivo la vecchia O.T.
Ma non avevo argomenti validi da opporre ai suoi discorsi sulla famiglia. E se dovevamo intrattenere gli amici di Betsy, lei avrebbe dovuto ospitare noi e i nostri; così May e Jeff e il bambino, insieme a me e alle quattro May, partimmo in volo per far visita alla regina Betsy. Le nostre ammiraglie non erano mai troppo distanti, di solito, almeno da un punto di vista geografico. Con gli esploratori delle due flotte sempre in cerca dei migliori delta-Ts (così chiamavamo le zone di mare con forti differenze termiche fra superficie e fondale) e gli idrologi che fornivano previsioni identiche sulla loro stabilità, e i navigatori ormai esperti nel tenere le isole galleggianti sulle zone più adatte dei delta, be’… c’erano poche soluzioni ottimali al nostro problema comune, specialmente quando ciascuna delle due flotte copiava la tecnologia dell’altra. Non c’era dunque da stupirsi se adottavamo le stesse soluzioni. E se avevamo gli stessi problemi, come mi resi conto allorché mi trovai accanto ad Havrila, sull’ammiraglia di Betsy. Gli indicai il mare. — Vedo che anche voi navigate in mezzo alle seppie morte.
— Anche la nostra flotta da pesce se ne lamenta — annuì gravemente lui, poi rise. — Ti dirò, avremmo potuto far di meglio che metterci nell’industria del pesce.
— Anche noi ci avevamo fatto un pensiero, per un po’ — dissi, — ma abbiamo preferito non occuparci dei prodotti deperibili. C’è fin troppo lavoro in altri campi.
Ed era vero. Stavamo spaziando in dozzine di attività. Estraevamo metalli pesanti dall’acqua sullo zoccolo continentale americano del Pacifico. Setacciavamo pallottole di manganese dal fondale oceanico. Il solo prodotto alimentare di cui ci occupavamo era l’acqua potabile non inquinata, sempre più rara sulla terraferma; avevamo costruito due enormi rimorchiatori sperimentali, a vela: macchine infernali che potevano essere usate per trainare icebergs dall’Antartide su fino al Golfo Persico.
Tutte le nostre iniziative prosperavano — benché nessuna come lo sfruttamento della differenza termica profondità-superficie, che era la base su cui poggiavamo — perfino gli icebergs. Questi erano la passione di Jefferson. Era un uomo legato alla terra, e qualunque cosa servisse a migliorare le condizioni di vita sui territori poco favoriti dalla sorte lo affascinava. Una settimana sì e una settimana no era fuori a supervisionare quei progetti. Ma non mi piaceva che lasciasse sola May. E la cosa mi piacque ancor meno quando in corrispondenza delle assenze di Jeff cominciarono ad arrivare parecchi degli spensierati amici di Betsy. Quello che capitava da noi più spesso era Dougie d’Agasto.
Quando i guai sono pronti per venire inevitabilmente vengono; durante una delle sue visite Dougie si trattenne un giorno di troppo. Jeff tornò a casa, e fin da prima che il jet toccasse la pista dovette notare dove si trovavano i suoi familiari, perché non andò a cercarli nella villa sul ponte anteriore. Consegnò la valigetta a un cameriere e venne direttamente in piscina. May, bella e provocante nel suo costume da bagno, stava sorvegliando che Jimmy Rex non rotolasse giù dal materassino galleggiante. Dougie d’Agastole s’era accostato e le mormorava qualcosa in un orecchio; il suo braccio sinistro era intorno alla vita di lei e con le dita giocherellava intorno all’elastico dei suoi slip. Jeff non era certo uno sportivo. Smilzo e basso, calvo, la sua unica attività fisica erano le passeggiate igieniche. Ma quando fece girare d’Agasto lo colpì con un gancio da manuale. Dougie volò indietro nella piscina, scomparve sott’acqua e quando riemerse gemeva e si palpeggiava il suo bel naso, ancora intatto ma sanguinante. Un’ora più tardi l’individuo era già lontano dall’isola galleggiante. Non so poi quali discorsi vi furono, in privato, fra May e Jefferson.
Ciò che so è quel che dissi io a May, appena mi capitò di trovarla da sola: — Sei una sciocca a rischiare di perdere Jeff per quel piccolo lenone di Miami.
Non erano affari miei? Be’, se non altro lei non disse questo. Ma mi fissò con serietà. — Non sto rischiando Jeff, zio Jason. Dougie è un rubacuori di professione, certo. Però è talmente un bel ragazzo.
— È un parassita.
— Fa quasi parte della famiglia.
— Ha un qualche genere di parentela con la tua ex suocera, sicuro, e fa parte della cerchia di Betsy. Ma quelli sono criminali, spacciatori di droga, gente violenta. E assassini.
Lei rise divertita e mi diede un buffetto su una guancia. — Dougie non ucciderebbe mai nessuno, Jason. Salvo forse qualche donna, amandola a morte. Ma hai ragione, non dovrei lasciargli pensare che lo incoraggio e non voglio affatto farlo.
Per sei mesi ebbi il piacere di non vedere più Dougie d’Agasto, ma sapevo che pochi giorni dopo quella scenata aveva scritto sia a May sia a Jefferson due untuose e striscianti lettere di scusa. Jeff mi fece capire d’averlo perdonato, ignorando il mio parere e i miei consigli. Poi Betsy venne da noi per un party, e portò d’Agasto con sé.
In quel periodo eravamo in competizione, e la visita era di piacere soltanto in parte poiché avremmo dovuto anche parlare d’affari. L’oceano è grande, ma esistono poche e sottili strisce di esso, sopra certe correnti sottomarine, dove la differenza di temperatura tra fondo e superficie può far girare al massimo le nostre turbine. Ambedue le flotte s’erano avvicinate molto all’equatore, inoltre: non tanto per il calore solare quanto perché dovevamo evitare il maltempo. Le isole galleggianti erano diventate un po’ troppo grosse e goffe per poter affrontare o evitare in fretta un uragano. E sull’equatore un uragano è un fenomeno quasi inesistente, perché l’effetto Coriolis comincia a farsi sentire sui venti soltanto più a nord o più a sud. Quell’inverno le zone in cui non si prevedevano forti tempeste erano ancor meno del solito.
Così l’orizzonte che ci vedevamo attorno non era mai vuoto. C’erano sempre diverse isole galleggianti in vista, a volte nostre, a volte di Betsy, o russe, o norvegesi o giapponesi. Prima del party vi furono dunque discussioni abbastanza incisive fra i comandanti di Betsy e i nostri, e onestamente devo dire che non mi preoccupai di sapere come avessero risolto la questione della spartizione territoriale. Comunque, i nostri ospiti gradirono molto il trattenimento. Era il primo dell’anno: i rinfreschi non mancavano, la gente era sparsa qua e là sull’isola in festicciole diverse e i membri dell’equipaggio erano i benvenuti nella nostra residenza. Vidi Betsy e May cantare Auld Lang Syne insieme al personale di cucina, e Dougie d’Agasto palpeggiare il sedere a un’operaia della sala turbine; se anche una volta, finita la festa, ci saremmo tagliati la gola l’un l’altro sui mercati di due continenti in quel momento tenevamo i coltelli nel fodero. La mattina seguente, con metà dell’equipaggio ancora sotto i postumi della sbornia, Jefferson Ormondo uscì a ispezionare le tubature per l’idrogeno che ci collegavano a una nave frigorifero appena giunta per fare il pieno.
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