Arkadi Strugatzki - È difficile essere un dio

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È difficile essere un dio: краткое содержание, описание и аннотация

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La repressione impazza ad Arkanar, nel paesaggio si stagliano le forche.
Il Re ha messo al bando tutti gli intellettuali.
Gli studiosi inviati dal pianeta terra, ormai pacifico ed evoluto,  cercano di confondersi tra gli abitanti di Arkanar, studiano, osservano, trasmettono informazioni.
Intervenire? Creare forzatamente nuovi equilibri, nuove alleanze?
Funzionerebbe? Sarebbe giustificabile eticamente?
Com'è difficile essere un dio!

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«Hitler era sostenuto dai capitalisti» pensò Rumata «ma non c’è nessuno dietro Don Reba. È inevitabile come il giorno dopo la notte che gli Sturmovik prima o poi lo ammazzino come una mosca». Eppure lui continuava a schivare i colpi, a tramare, a commettere una sciocchezza dopo l’altra, sfuggendo sempre alla rete che minacciava di intrappolarlo; imbrogliava e mentiva a se stesso giorno dopo giorno, ossessionato da un desiderio folle: distruggere tutta la cultura. Come Waga Koleso, non aveva un passato. Appena due anni prima tutti i parassiti aristocratici di corte ne parlavano con disprezzo, lo chiamavano imbroglione spregevole, ingannatore del Re. Invece adesso qualsiasi nobile si dichiarava parente stretto del ministro della Sicurezza, almeno da parte di madre.

«Ora sembra che abbia bisogno di Budach per qualche suo piano. Sarà l’ennesima calamità. Un altro disastro. Budach è un topo di biblioteca. Giù nella fossa! Facciamo un gran clamore, così tutti lo sapranno. Ma non c’è stato nessun clamore. Significa forse che Budach gli serve vivo? A che scopo? Reba non può essere tanto ingenuo da sperare di costringerlo a lavorare per lui. Ma forse dopotutto lo è. Potrebbe darsi che Don Reba sia solo un intrigante stupido ma abile, che non sa neppure lui cosa vuole, che si nasconde dietro una finta astuzia. È ridicolo. L’ho studiato per tre anni e ancora non riesco a definirlo. E se a sua volta mi osservasse non riuscirebbe a trarne migliori conclusioni. Ma tutto è possibile, questo è il bello. La teoria di base può elaborare un elenco articolato delle possibili mete psicologiche, ma in realtà esistono tanti obiettivi quanti esseri umani sulla Terra, e chiunque può raggiungere il potere. Anche uno che si dedica a truffare gli altri, a sabotarli, a rovinarli. Naturalmente alla fine sarà spodestato, ma intanto avrà avuto il tempo di mostrare il suo disprezzo per l’umanità, di danneggiarla il più possibile e, quel che è peggio, di rallegrarsi delle sue malefatte.

E non gli importa se la storia non si chiederà mai chi era, e se i suoi discendenti si spremeranno le meningi per classificare la sua condotta in modo da adeguarla alle teorie più avanzate sulle leggi della storia». Improvvisamente, Rumata si ricordò di Donna Okana. «Su, deciditi» pensò. «Comincia subito. Una volta che un dio si decide a spazzar via tutto, non ha bisogno di avere le mani pulite…» Il pensiero di ciò che l’aspettava gli dava la nausea. Ma era sempre meglio che uccidere. Meglio il letame del sangue.

In punta di piedi, per non svegliare Kyra, entrò nello studio e si cambiò. Indeciso, giocherellò con il cerchietto trasmittente, poi lo infilò risolutamente in un cassetto della scrivania. Si mise una piuma bianca dietro l’orecchio sinistro, simbolo della passione, si allacciò le due spade alla cintura e si avvolse nel mantello più elegante che aveva. Aprendo il portone, pensò: «Se Don Reba lo verrà a sapere, per Donna Okana sarà la fine. Ma è troppo tardi per tornare indietro».

Capitolo IV

Gli ospiti erano tutti riuniti, ma Donna Okana non era ancora arrivata. I comandanti della guardia reale, famosi per i loro duelli e le loro avventure amorose, stavano seduti intorno a un tavolino dorato come su un arazzo. Si sporgevano avanti con grazia quando bevevano, mettendo in mostra i deretani obesi. Accanto al camino sorridevano dame esangui che non si distinguevano per meriti particolari, e che proprio per questo erano state assegnate a Donna Okana come confidenti e amiche.

Stavano sedute in fila su divani bassi, e davanti a loro tre anziani gentiluomini non smettevano di ballare sulle gambe magre: celebri damerini dell’epoca del Re precedente, ultimi conoscitori degli aneddoti di corte che tutti gli altri avevano dimenticato. Tutti sapevano che, senza quei vecchi gentiluomini, un salotto non sarebbe stato degno di tale nome.

In mezzo alla sala Don Ripat, tenente della Guardia di Corte Grigia, stava in piedi a gambe larghe. Era un agente fidato e abile di Don Rumata. Aveva baffi splendidi, ed era completamente amorale. Con i pollici infilati nella cintura di cuoio stava ad ascoltare Don Tameo, che, con totale Mancanza di organizzazione e abbondanza di dettagli, cercava di presentare un progetto per rivitalizzare l’economia a spese dei contadini. Intanto Don Ripat puntava i baffi in direzione di Don Sera, che cercava a tastoni una qualche porta segreta nel muro. In un angolo sedevano due celebri ritrattisti che osservavano attentamente ogni cosa divorando un arrosto delle dimensioni di un coccodrillo; accanto alla finestra stava seduta una dama di mezza età vestita di nero: la chaperonne assegnata da Don Reba a Donna Oltana. Guardava fisso davanti a sé con espressione dura, e aveva un aspetto molto severo. Ogni tanto, improvvisamente, inclinava il corpo in avanti. Più in là, un personaggio di sangue reale e il segretario dell’ambasciata di Soan ammazzavano il tempo giocando a carte.

Il personaggio reale barava, e il segretario sorrideva indulgente. Era l’unica persona in quel salotto a occuparsi di qualcosa di serio: stava raccogliendo materiale per le spie della diplomazia.

Gli ufficiali della guardia, seduti ai tavolini dorati, salutarono Rumata con un grido amichevole. Rumata fece loro un cenno cameratesco e andò da un ospite all’altro.

Scambiò vari inchini con gli anziani damerini, fece qualche complimento alle confidenti di Donna Okana, che notarono immediatamente la piuma bianca dietro l’orecchio, diede una pacca sulla spalla al personaggio di sangue reale, poi rivolse la propria attenzione a Don Ripat e a Don Tameo. Mentre passava davanti alla finestra, la chaperonne cadde di nuovo in avanti con il busto; emanava un odore penetrante di decotto.

Non appena vide Rumata, Don Ripat tolse i pollici dalla cintura e batté i tacchi.

Don Tameo esclamò: «È lei, amico mio? È meraviglioso che siate venuto: avevo già perso ogni speranza. ‘Come cigno dall’ala spezzata, che sospira guardando una stella..? Ero così pieno di desiderio… E se non fosse stato per l’eccellente Don Ripat, sarei già morto di dolore!»

Era chiaro che Don Tameo aveva avuto le migliori intenzioni di restare sobrio fino all’ora di cena, ma sfortunatamente non gli era riuscito.

«Ma mio caro!» disse Don Rumata. «Da quando in qua citiamo i versi del sovversivo Zuren?»

Don Ripat si irrigidì, fulminando Don Tameo con gli occhi felini.

«Eh, eh…» biascicò confuso Don Tameo. «Zuren? Sì, infatti, e perché lo sto citando? Sì, sì, per così dire… con intenzione sarcastica, vi assicuro, signori! Sì, chi è questo Zuren? Soltanto un demagogo ingrato. Volevo solo far notare…»

«Che Donna Okana non è ancora arrivata» l’interruppe Rumata «e che siete stato costretto a bere senza la sua compagnia».

«Proprio così».

«A proposito, dov’è?»

«Dovrebbe essere qui da un momento all’altro» rispose Don Ripat, che si allontanò con un inchino.

Le confidenti della padrona di casa continuavano a guardare la piuma bianca a bocca aperta. I vecchi damerini sorridevano malignamente. Infine anche Don Tameo si accorse della piuma, e cominciò a tremare.

«Amico mio!» sussurrò. «Cosa significa? Se Don Reba dovesse vederla… Anche se non lo aspettiamo per stasera, ma non si può mai essere sicuri…»

«Andiamo, smettetela» disse Rumata percorrendo la stanza con uno sguardo impaziente. Voleva arrivare in fondo il più presto possibile.

Gli ufficiali della guardia si avvicinarono con dei bicchieri di vino in mano.

«Com’è pallido!» mormorò Don Tameo. «Capisco, questa è la passione… Ma, per san Michele, lo Stato dovrebbe venire prima di tutto! E poi è pericoloso, pericolosissimo… Un insulto ai sentimenti di Don Reba…»

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